• Moda
  • Giovedì 21 aprile 2022

Birkenstock contro i sandali troppo simili ai suoi

L'azienda combatte da anni contro copie e contraffazioni: ora sta cercando di convincere i rivenditori a non venderle più

(EPA/ Soeren Stache via ANSA)
(EPA/ Soeren Stache via ANSA)
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I sandali dell’azienda tedesca Birkenstock, famosa soprattutto per i modelli con la suola ortopedica in sughero, sono considerati da molti le “scarpe brutte” per eccellenza, ma da anni vanno di moda: sono apprezzati per la comodità e la praticità e sono indossati con una certa ironia proprio per la loro fama di bruttezza. Per questo alcuni marchi di lusso, tra cui Celine e Givenchy, hanno collaborato con Birkenstock facendo uscire delle proprie versioni care e stravaganti, mentre altre aziende realizzano, in modo non autorizzato, modelli molto simili ed economici. Birkenstock combatte da anni, anche con un certo successo, ogni tentativo di plagio e adesso, stando a informazioni ottenute dal Wall Street Journal, starebbe facendo pressioni su distributori e rivenditori per convincerli a non vendere prodotti troppo simili ai suoi.

Il Wall Street Journal scrive che alcuni rivenditori, tra cui la catena di grande distribuzione statunitense Nordstrom e il sito di abbigliamento e calzature online Zappos, avrebbero smesso di vendere alcuni modelli di sandali (ma non tutti) simili a quelli di Birkenstock, prodotti per esempio da aziende come Mephisto, Naot, Freedom Moses e Viking Sandals. Rusty Hall, direttore esecutivo della divisione americana di Mephisto, ha detto al Wall Street Journal che Birkenstock «fa bullismo nella concorrenza: non abbiamo violato nessun brevetto»; Hall sostiene che di recente Nordstrom e Zappos abbiano cancellato ordini per i modelli Harmony e Hester, in vendita da più di vent’anni, perché ricordano troppo il modello Arizona dell’azienda tedesca. Il Wall Street Journal ha provato a parlare con i rappresentanti di altri marchi di calzature che hanno preferito non rispondere.

Le accuse di prepotenza rivolte a Birkenstock da Mephisto non sono l’unico modo di guardare la questione, che può considerarsi un tentativo di proteggere i clienti dall’acquisto di copie fasulle. Per esempio Tracey Powers, responsabile per Nordstrom della gestione delle calzature, ha spiegato al Wall Street Journal che la catena vuole eliminare i doppioni: «cerchiamo sempre di fare attenzione con le scarpe che ricordano molto uno stile iconico, soprattutto se sappiamo che i nostri clienti amano l’originale».

Un portavoce del gruppo Birkenstock ha spiegato al giornale che sono i rivenditori a scegliere liberamente cosa vendere ma che l’azienda, per parte sua, ha il dovere di proteggere il marchio e che lo concederà solo ai rivenditori che ne garantiscono l’integrità. La stessa posizione era stata espressa nel settembre del 2020 da un rappresentante dell’azienda negli Stati Uniti in un’email – vista dal Wall Street Journal – inviata ad alcuni rivenditori, in cui accusava marchi come Freedom Moses e Viking Sandals di sfruttare il successo di Birkenstock copiandone alcuni modelli. Specificava che la scelta di chi rivendere spettava «solo ed esclusivamente» a loro ma aggiungeva che dall’anno successivo Birkenstock avrebbe continuato a lavorare «solo con chi apprezzava davvero la loro collaborazione». Il Wall Street Journal racconta che subito dopo aver ricevuto la mail, un piccolo rivenditore comunicò a un’azienda che produceva modelli simili alle Birkenstock che avrebbe interrotto la fornitura.

 

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La battaglia di Birkenstock per proteggere l’originalità del marchio aveva avuto un momento decisivo nel 2016 quando l’azienda aveva smesso di vendere direttamente su Amazon; si farà ancora più decisiva nel 2022, quando negli Stati Uniti nemmeno i rivenditori terzi saranno autorizzati a offrire prodotti Birkenstock su Amazon, almeno stando a un’email inviata da David Kahan, direttore esecutivo di Birkenstock Americas, visionata dal Wall Street Journal. Un portavoce dell’azienda con cui ha parlato il giornale spiega che «ci siamo resi conto che non stavamo facendo abbastanza contro i prodotti contraffatti e altre violazioni del copyright».

L’azienda di calzature Birkenstock fu fondata nel 1774 a Neustadt, a sud di Francoforte, dai fratelli Johannes e Johann Adam Birkenstock. Un secolo dopo, nel 1896, il loro erede Konrad Birkenstock mise a punto la tipica suola in sughero che nel giro di pochi anni fece conoscere i sandali tedeschi in tutta Europa. Negli anni Sessanta le Birkenstock arrivarono anche negli Stati Uniti, diventando di moda nel movimento hippy, e negli anni Novanta furono tra i simboli del cosiddetto stile “ugly chic”, l’estetica della bruttezza. Più di recente stilisti come Valentino, Rick Owens e Manolo Blahnik le hanno reinventate utilizzando materiali e colori nuovi, ma mantenendo sempre la loro forma classica.

Le tipiche suole di Birkenstock e alcuni suoi modelli più nuovi sono marchi registrati. In commercio, però, ci sono tanti prodotti simili da così tanto tempo che potrebbe essere «difficile per Birkenstock dimostrare di aver usato alcuni di questi modelli in via esclusiva» sostiene l’avvocata Megan Bannigan, che alcuni anni fa aveva rappresentato l’azienda di moda francese Yves Saint Laurent in una controversia su una scarpa con la suola rossa, considerata il marchio di fabbrica dall’azienda di calzature Christian Louboutin. Quella causa si era risolta a favore di Yves Saint Laurent: un tribunale federale aveva stabilito che la richiesta di Louboutin non si potesse applicare perché tutta la scarpa era rossa e non soltanto la suola.

Il problema della contraffazioni nella moda e in particolare nelle calzature è comunque molto diffuso e da anni le aziende tentano varie strategie per contrastarlo. Per esempio Nike aveva iniziato a vendere i suoi prodotti su Amazon nel 2017 per contrastare la circolazione di prodotti falsi ma due anni dopo aveva interrotto l’accordo, che non aveva funzionato: per l’azienda restava più semplice incoraggiare le persone a comprare direttamente sul proprio sito, con la garanzia di trovare i prodotti autentici.

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