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  • Martedì 19 aprile 2022

I timori per la vicina centrale nucleare slovena

Si trova a Krško, a 100 km dal confine con l’Italia, e secondo molte associazioni ambientaliste dovrebbe essere smantellata

La centrale di Krško (ANSA/Rolf Haid)
La centrale di Krško (ANSA/Rolf Haid)
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Il 28 e il 29 dicembre 2020 due terremoti di magnitudo 5.2 e 6.3 registrati nella regione di Sisak, nella Croazia centrale, causarono l’arresto automatico del reattore della centrale nucleare di Krško, in Slovenia, a 80 chilometri dall’epicentro del sisma e a poco più di 100 chilometri dal confine italiano. Il 31 dicembre la centrale nucleare fu riavviata: non furono riportate anomalie e dopo i controlli di sicurezza l’impianto venne dichiarato sotto controllo.

Il rischio sismico è la principale preoccupazione che ha spinto associazioni ambientaliste, attivisti e tecnici friulani a chiedere al governo italiano di dare parere contrario alla richiesta slovena di prolungare di vent’anni, dal 2023 al 2043, l’attività della centrale nucleare. Finora non ci sono state risposte ufficiali né dal governo, né dal ministero della Transizione ecologica.

In Italia si discute della centrale di Krško già da molti anni perché è una delle più vicine al confine italiano, a una distanza che in caso di incidente comporterebbe misure di sicurezza notevoli – soprattutto il riparo al chiuso e l’intervento di iodoprofilassi – anche nelle regioni del Nord Italia, come previsto dal piano nazionale per il rischio nucleare da poco aggiornato dall’ISIN, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione.

L’impianto di Krško venne costruito tra il 1975 e il 1981, in soli sei anni, ed entrò in funzione nel 1983, quasi quarant’anni fa. È gestito dalla società NEK, Nuklearna elektrarna Krško, controllata al 50 per cento dalla compagnia energetica pubblica slovena Gen Energija e per il restante 50 per cento dall’azienda pubblica croata Hrvatska elektroprivreda (HEP). Con il suo unico reattore da 700 megawatt, la centrale di Krško garantisce poco più di un terzo del fabbisogno di energia elettrica della Slovenia e un quinto di quello croato.

Quando fu costruita, il ciclo di vita previsto per la centrale era di 40 anni, con scadenza nel 2023. Nel 2015 la NEK chiese al governo sloveno di prolungare l’attività di altri 20 anni con una serie di interventi per rendere l’impianto più moderno e sicuro.

L’autorizzazione non è stata ancora concessa. Tra le procedure richieste per ottenere il prolungamento dell’attività della centrale, e quindi impedire l’imminente dismissione, c’è anche una VIA transfrontaliera, cioè una valutazione di impatto ambientale che oltre alla Slovenia coinvolge anche gli stati confinanti o vicini: Italia, Austria, Croazia, Bosnia, Ungheria. La fase di consultazione aperta agli enti locali, alle associazioni e a chiunque volesse presentare osservazioni si è chiusa il 14 aprile.

Oltre a iniziare il percorso per ottenere la proroga dell’apertura fino al 2043, l’anno scorso Gen Energija ha chiesto e ottenuto dal ministero delle Infrastrutture sloveno l’autorizzazione per iniziare a progettare un nuovo reattore nucleare, chiamato JEK2, da 1100 megawatt. L’obiettivo è produrre ogni anno poco meno di 9.000 gigawattora. Secondo il ministero, il nuovo reattore avrà un ciclo vitale di 60 anni e l’operazione sarà economicamente vantaggiosa nonostante un investimento stimato tra 5 e 6 miliardi di euro.

Nelle ultime settimane Legambiente e alcuni tecnici, sismologi e geologi hanno presentato osservazioni al ministero della Transizione ecologica per chiedere al governo italiano di schierarsi ufficialmente contro il prolungamento del ciclo di vita della centrale nella procedura di VIA transfrontaliera. Legambiente ha collaborato con associazioni ambientaliste austriache e slovene per studiare in modo approfondito lo stato della centrale che definiscono «una struttura ormai vecchia e obsoleta, costruita in una zona sismica, priva di un deposito per smaltire i rifiuti radioattivi».

Secondo i sismologi consultati da Legambiente, la centrale nucleare di Krško è stata costruita in prossimità di tre faglie attive, Orlica, Libna e Artiče, in grado di produrre nel peggiore dei casi terremoti di magnitudo fino a 7.

– Leggi anche: Questo posto potrebbe custodire tutte le nostre scorie nucleari

Uno dei sismologi italiani che più si sono occupati della centrale di Krško è Livio Sirovich, che in passato ha lavorato per l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste ed è stato consulente del primo governo sloveno intenzionato a chiudere la centrale.

Secondo Sirovich, tra tutte le centrali nucleari europee Krško è quella con la più alta sismicità e il più elevato grado di rischio sismico. «Quando la centrale fu progettata, non furono fatti studi probabilistici sul rischio sismico», ha spiegato Sirovich. «Non fu neppure fatto uno studio del terremoto del 1917». Diversi studi stimano che nel 1917 ci fu un terremoto di magnitudo 5.7 con epicentro proprio a Krško. Nel 1880, sempre secondo le stime, un altro terremoto di magnitudo tra 6.3 e 6.5 avvenne a 60 chilometri da Krško, provocando gravi danni a Zagabria, la capitale croata.

Sirovich sostiene inoltre che in caso di terremoto, la centrale nucleare potrebbe subire una “peak ground acceleration” (PGA), l’accelerazione del suolo indotta da un sisma, superiore a quella considerata quando fu progettato l’impianto.

La centrale, dice il sismologo, fu costruita per sostenere un’accelerazione massima di 0,3 g (cioè 0,3 volte l’accelerazione di gravità), mentre gli stress test condotti negli ultimi anni su indicazione dell’Unione Europea hanno indicato tra 0,8 e 0,9 g il limite oltre il quale la struttura si potrebbe danneggiare con fuoriuscita di materiale radioattivo: secondo lui questa soglia potrebbe essere superata in caso di terremoti con magnitudo elevata.

Durante la conferenza stampa organizzata dalle associazioni ambientaliste per presentare le osservazioni depositate al ministero della Transizione ecologica, Reinhard Uhrig, attivista di Global 2000, un’associazione austriaca per la tutela dell’ambiente, ha detto che i documenti forniti dalla società che gestisce la centrale di Krško hanno dati molto vecchi e non citano i risultati degli ultimi stress test.

«Questa rappresentazione riduttiva trasmette un’immagine abbellita del reattore, che ha oltre 40 anni di età», ha detto Uhrig. «Allo stesso tempo, le alternative quali il risparmio energetico o le energie rinnovabili vengono presentate come non idonee e non competitive a causa di premesse chiaramente sfavorevoli. Prima di prendere una decisione sull’estensione del ciclo di vita di Krško per altri 20 anni si devono eseguire studi internazionali aggiornati sull’invecchiamento del reattore e sul rischio sismico».

Un altro problema segnalato dalle associazioni riguarda la mancanza di un deposito definitivo per le scorie ad alta intensità, che finora la centrale ha stoccato in una vasca all’interno di un edificio all’interno dell’impianto.

Il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, ha chiesto al governo italiano di opporsi al prolungamento dell’attività e al raddoppio della centrale di Krško, una posizione che sarebbe in linea con i mandati dei referendum del 1987 e del 2011 che chiusero l’industria nucleare italiana. Secondo Ciafani, il nucleare «è una tecnologia superata dalla storia, surclassata da tecnologie più mature e competitive», e soprattutto insicura a causa del «rischio di incidenti, soprattutto in area sismica e con sistemi di sicurezza inadeguati rispetto alla potenza dei terremoti prevedibili in quell’area».

Finora l’unica posizione ufficiale contro l’estensione del ciclo di vita della centrale è stata presa dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia che lo scorso anno, a fine luglio, approvò una mozione presentata dal gruppo Patto per l’Autonomia che chiedeva alla Giunta regionale di opporsi.

Come dimostrano le dichiarazioni di Ciafani, la posizione delle associazioni ambientaliste sulla centrale di Krško è influenzata dalla generale contrarietà al nucleare, di cui si è tornati a discutere molto nelle ultime settimane per via della crisi energetica causata dall’invasione russa in Ucraina. Come avvenuto in passato, anche oggi il dibattito è molto vivace e decisamente polarizzato tra chi sostiene che sia indispensabile ripensare la contrarietà al nucleare e chi invece considera le centrali antieconomiche e contrarie alla transizione energetica.

In Slovenia, soprattutto grazie all’energia garantita dalla centrale di Krško, questa contrapposizione è meno evidente.

Nel 2021, presentando il progetto che secondo i piani del governo porterà alla costruzione del nuovo reattore, il ministro sloveno delle Infrastrutture Jernej Vrtovec ha spiegato che nei prossimi anni il fabbisogno energetico della Slovenia crescerà e che le fonti rinnovabili, su cui il paese sta comunque puntando, «sono ancora insufficienti, quindi servono alternative aggiuntive e stabili». Secondo il ministero, grazie all’energia garantita dal nuovo reattore la Slovenia riuscirà a raggiungere l’obiettivo “emissioni zero” entro il 2050.

Anche in merito alla sicurezza della centrale, in Slovenia le preoccupazioni sembrano essere marginali. Tecnici dell’impianto contattati dall’ANSA hanno detto che la centrale «si trova in un’area con un’intensità sismica attesa di otto sulla scala EMS, ma è progettata e costruita per operare in maniera sicura anche durante terremoti di intensità molto più forte».

Nell’ottobre del 2021 l’impianto è stato sottoposto a un’ispezione da parte dell’OSART, il team di revisione della sicurezza operativa dell’AIEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Tra il 4 e il 14 ottobre, dieci tecnici provenienti da Belgio, Ungheria, Pakistan, Spagna, Svizzera, Regno Unito e tre membri dell’AIEA hanno esaminato i piani di sicurezza e l’organizzazione della centrale. L’OSART ha certificato che la gestione operativa si può considerare corretta e completa, senza criticità e con misure di sicurezza adeguate.