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  • Sabato 16 aprile 2022

Tonga, tre mesi dopo

La ricostruzione dopo lo tsunami del 15 gennaio procede, ostacolata dalle difficoltà logistiche e dalla pandemia

Una foto aerea di una delle isole di Tonga coperta di cenere vulcanica subito dopo l'eruzione
(Getty Images)
Una foto aerea di una delle isole di Tonga coperta di cenere vulcanica subito dopo l'eruzione (Getty Images)

Sono passati tre mesi dalla violenta eruzione del vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, e del conseguente tsunami che ha causato gravi danni lungo le coste dell’arcipelago di Tonga: era il 15 gennaio.

Tre mesi dopo, la ricostruzione di Tonga sta lentamente progredendo, e si hanno informazioni più precise sull’impatto del disastro. La scorsa settimana, il primo ministro ha consegnato le chiavi della prima delle 468 case che il governo intende ricostruire su tre delle isole più colpite come parte del suo piano di recupero.

Sono circa 3000 le persone le cui case sono state distrutte o danneggiate dallo tsunami: inizialmente avevano trovato rifugio in sale comunali o centri di evacuazione. Le persone colpite o coinvolte in vario modo dalle conseguenze dell’eruzione, però, sono molte di più: sono l’80 per cento della popolazione, che è composta da circa 105mila persone.

Nei giorni prima della potente eruzione, il vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha’apai sembrava essere in una fase di relativa calma, dopo alcuni giorni più turbolenti alla fine del 2021. Il 15 gennaio, però, in poche ore aveva prodotto un’alta colonna di fumo, una quantità notevole di fulmini e infine un’eruzione con la produzione di una potente onda d’urto che aveva viaggiato per migliaia di chilometri e contribuito a produrre maremoti. Le onde più grandi avevano causato danni lungo le coste dell’arcipelago di Tonga, mentre altre di minori dimensioni erano state rilevate a migliaia di chilometri di distanza, nel Nordamerica e nel Sudamerica.
Secondo gli esperti, un’eruzione di questo tipo con conseguenze praticamente globali si verifica ogni mille anni.

Lo tsunami a Tonga aveva causato la morte di quattro persone; la Banca Mondiale aveva poi stimato danni per 83 milioni di euro circa, circa il 18 per cento del prodotto interno lordo dell’arcipelago. Tra i settori più colpiti ci sono ovviamente molte attività turistiche costiere, ma hanno sofferto anche l’agricoltura e la pesca.

La comunità internazionale era intervenuta rapidamente: circa 7 milioni di euro di aiuti erano arrivati dalla Banca Mondiale, e circa 9 milioni di euro dall’Asian Development Bank. Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Unione Europea, Stati Uniti e Cina avevano prestato assistenza umanitaria. C’erano comunque volute circa cinque settimane per ripristinare il servizio Internet nell’arcipelago.

Il processo di recupero e ricostruzione, inoltre, era stato rallentato dalla pandemia: il primo focolaio di COVID-19 potrebbe essere stato causato da equipaggi stranieri accorsi poco dopo il disastro per consegnare gli aiuti. Per gestire l’epidemia, nell’arcipelago erano stati imposti alcuni lockdown: il paese rimane in uno stato di emergenza.

Sione Taumoefolau, segretario generale della Croce Rossa di Tonga, ha detto ad Associated Press che c’è ancora molto da fare e che alcuni cittadini dovranno essere ricollocati in zone diverse da quelle in cui abitavano prima. È complicato, inoltre, portare rifornimenti alle isole più remote, molte delle quali sono ancora senza internet.

«Tre mesi dopo, le persone stanno cominciando a tornare alla normalità», ha detto Taumoefolau «ma c’è ancora bisogno di sostegno psicologico e sociale per le persone più colpite, in particolar modo per quelle che dovranno trasferirsi».

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