La maggioranza ha risolto la questione delle spese militari

Il “decreto Ucraina" è stato approvato dal Senato, dopo l'eliminazione di un ordine del giorno molto contestato dal M5S

Il presidente del Consiglio Mario Draghi 
(ANSA/ALESSANDRO DI MEO)
Il presidente del Consiglio Mario Draghi (ANSA/ALESSANDRO DI MEO)

Il Senato ha approvato la conversione in legge del cosiddetto “decreto Ucraina”, contenente diversi provvedimenti tra cui l’invio di armi all’esercito ucraino, che era già stato approvato dalla Camera. Il decreto, su cui il governo aveva posto la questione di fiducia, è stato approvato come previsto senza difficoltà (con 214 voti favorevoli, 35 contrari e nessuna astensione), soprattutto visto che allegato al testo non c’era più un ordine del giorno sull’aumento delle spese militari che era stato molto contestato dal Movimento 5 Stelle, al punto da mettere apparentemente a rischio la stabilità del governo.

L’ordine del giorno prevedeva un aumento della spesa militare italiana fino al 2 per cento del prodotto interno lordo (PIL) entro il 2024. Era stato approvato in prima lettura dalla Camera e avrebbe dovuto ottenere l’approvazione delle commissioni congiunte Esteri e Difesa del Senato, prima del voto finale. Ma le commissioni non avevano potuto votare emendamenti e ordini del giorno, in quanto non erano arrivati in tempo i pareri sul testo da parte della commissione Bilancio. Il decreto era stato presentato quindi in Senato senza relatore, e questo aveva comportato il decadimento di tutti gli emendamenti e ordini del giorno, compreso quello sull’aumento delle spese militari.

L’ordine del giorno era stato criticato soprattutto dal Movimento 5 Stelle, nonostante inizialmente alla Camera avesse votato a favore. Il leader del partito, Giuseppe Conte, aveva anche minacciato di votare contro il decreto se non si fosse trovato un accordo sulla questione delle spese militari, opponendosi all’aumento nelle modalità indicate nell’ordine del giorno. Con la questione di fiducia il Movimento 5 Stelle si è trovato di fatto obbligato a votare a favore del decreto per non far cadere il governo, ma l’assenza dell’ordine del giorno ha reso tutto più facile.

L’ordine del giorno, che era stato presentato alla Camera dalla Lega, seguiva l’indicazione arrivata dal presidente del Consiglio Mario Draghi lo scorso primo marzo nel suo discorso al Senato sulla situazione in Ucraina, in cui aveva parlato della necessità di aumentare la spesa destinata alla Difesa «più di quanto abbiamo mai fatto finora», portandola dagli attuali 25 miliardi di euro annui a circa 40 miliardi.

Era a sua volta una decisione frutto di un impegno preso nel 2014 dall’Italia e da altri paesi della NATO a portare le spese militari al 2 per cento del PIL entro dieci anni, e gli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina avevano spinto il governo ad accelerare questo processo.

Conte aveva spiegato di non volere mettere in dubbio gli accordi del 2014, anche perché proprio quando era al governo Conte aveva provveduto a un aumento delle spese militari verso il 2 per cento del PIL, ricordando che i tempi di realizzazione non potevano essere «un dogma indiscutibile». Aveva quindi invitato i partiti della maggioranza a ridiscutere i termini di questo incremento, e il Partito Democratico si era fatto da mediatore con gli altri partiti che sostengono il governo proponendo un aumento graduale delle spese militari.

Alla fine mercoledì il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, del PD, aveva detto che l’obiettivo del governo è rispettare gli impegni presi con la NATO con gradualità, come richiesto dal Movimento 5 Stelle: Guerini aveva detto che l’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del PIL dovrà avvenire entro il 2028, e non più entro il 2024 come era previsto inizialmente dall’ordine del giorno approvato alla Camera.

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