L’aumento dei prezzi di grano e fertilizzanti rischia di causare una crisi alimentare globale

È una delle conseguenze della guerra in Ucraina, e potrebbe interessare milioni di poveri che già patiscono la fame

(AP Photo/Vitaly Timkiv, File)
(AP Photo/Vitaly Timkiv, File)

L’invasione militare russa dell’Ucraina ha ridotto sensibilmente la disponibilità di grano e orzo, due dei cereali più importanti per l’alimentazione e l’allevamento, con un forte aumento dei prezzi e rischi sempre più concreti di una crisi alimentare globale per i più poveri. L’Ucraina è uno dei più grandi produttori ed esportatori di grano, mentre la Russia produce una quota rilevante di fertilizzanti, che in questa fase non può esportare per le dure sanzioni economiche imposte dall’Occidente.

La minore disponibilità di cereali e fertilizzanti si è riflessa sui mercati globali piuttosto velocemente. A distanza di un mese circa dall’avvio dell’invasione, il prezzo dell’orzo è aumentato del 33 per cento, quello del grano del 21 per cento e quello di numerosi tipi di fertilizzanti del 40 per cento. La riduzione della produzione, causata dalla guerra, combinata alla minore disponibilità di fertilizzanti, per via delle sanzioni, potrebbero avere un forte impatto a livello globale, peggiorando soprattutto le condizioni di vita dei più poveri e che già prima del conflitto pativano la fame.

Negli ultimi cinque anni Ucraina e Russia da sole hanno gestito il 30 per cento delle esportazioni mondiali di grano, il 32 per cento di quelle di orzo e il 75 per cento delle esportazioni di semi di girasole. L’olio derivato da questi ultimi è in molti paesi la base per buona parte degli alimenti prodotti industrialmente o in ambito domestico.

Mentre la Russia non può provvedere alle esportazioni a causa delle sanzioni economiche, l’Ucraina non riesce a portare all’estero buona parte dei propri prodotti a causa dei blocchi da parte russa dei suoi principali porti nel Mar Nero. La guerra ha inoltre reso più difficile il trasporto delle materie prime alimentari tramite le ferrovie, rendendo complicate anche le esportazioni via terra verso i paesi che a ovest confinano con l’Ucraina.

Le preoccupazioni non sono solamente legate alla possibilità di esportare, ma anche a quella di effettuare i raccolti.

In Ucraina è sempre più difficile trovare il carburante, essenziale per far funzionare i macchinari agricoli per il mantenimento dei campi e la raccolta. Buona parte del carburante è stata destinata ai mezzi militari dell’esercito ucraino. Per questo motivo nelle scorse settimane ci sono stati svariati appelli da parte del governo dell’Ucraina agli altri paesi europei, chiedendo forniture di carburante da impiegare in ambito agricolo nelle aree del paese non ancora interessate direttamente dall’invasione militare russa.

Con l’avanzare dell’offensiva della Russia c’è però il rischio che fino a un terzo delle aree coltivate in Ucraina diventi zona di guerra, rendendo impossibile la coltivazione dei cereali e di altre materie prime. Tra i milioni di sfollati che cercano posti più sicuri e protezione, sia all’interno del paese sia negli stati confinanti, ci sono inoltre numerosi agricoltori, che non potranno quindi lavorare ai prossimi raccolti.

Le minori esportazioni di grano dall’Ucraina stanno spingendo i compratori a rivolgersi ad altri paesi, che devono fare i conti con una domanda molto più alta del normale e che non può essere pienamente soddisfatta. A queste difficoltà si aggiungono quelle legate agli eventi atmosferici, che condizionano sempre disponibilità e capacità produttiva di alcuni paesi.

Lo scorso anno un protratto periodo di alluvioni in parte della Cina ha fatto sì che la produzione di grano nel paese sarà insufficiente quest’anno, di conseguenza la Cina dovrà acquistarne maggiori quantità dall’estero. Il governo cinese ha spiegato che non c’è alternativa, dopo avere stimato che le inondazioni abbiano reso inutilizzabili al momento della semina circa un terzo dei campi coltivati a grano nel paese.

Una minore disponibilità di fertilizzanti avrà ulteriori ripercussioni sulla produzione a livello globale. Negli ultimi mesi molti produttori europei avevano ridotto le loro attività a causa dell’alto prezzo dell’energia, il cui consumo è elevato nei processi di produzione dei fertilizzanti. In Russia la produzione non aveva subìto particolari flessioni grazie alla maggiore disponibilità di petrolio e gas per la produzione di energia elettrica, ma con le nuove sanzioni i ritmi produttivi sono stati rivisti a causa delle minori opportunità di esportazione e di un successivo blocco imposto dallo stesso governo russo. Il prezzo dei fertilizzanti è via via aumentato, spingendo gli agricoltori a ridurre il loro impiego e a esporsi a maggiori rischi di una resa minore dei loro campi.

Le sanzioni hanno avuto ripercussioni anche sulla Bielorussia, altro importante produttore di alcuni tipi di fertilizzanti a base di potassio usati per molte colture, specialmente mais e soia. Quest’ultima è ampiamente utilizzata per l’allevamento di animali, soprattutto in Cina: un suo aumento comporterà costi più alti per gli allevatori e di conseguenza prezzi in crescita delle carni sui mercati.

Il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (PAM), che si occupa di assistenza alimentare, ha stimato che l’invasione militare dell’Ucraina porterà fino a 13 milioni di persone in più a soffrire la fame, peggiorando una situazione resa già molto difficile dagli effetti della pandemia da coronavirus. Prima del 2020, il problema riguardava circa 720 milioni di persone in giro per il mondo, ora si stima che riguardi almeno 811 milioni di individui.

Il direttore esecutivo del PAM, David M. Beasley, ha detto che l’invasione dell’Ucraina «ha solo messo una catastrofe sopra un’altra catastrofe. Non ci sono precedenti paragonabili a questo dalla Seconda guerra mondiale». Il Programma si occupa di nutrire circa 125 milioni di persone ogni giorno e negli ultimi mesi ha dovuto affrontare un aumento dei costi di circa 70 milioni di dollari al mese. Queste condizioni rendono necessario un taglio delle forniture alimentari per quasi 4 milioni di persone e una revisione delle priorità.