Che fine ha fatto il vaccino di Johnson & Johnson

Ha finito per perdere la competizione coi concorrenti in Occidente, ma continua a essere importante nei paesi africani

(Getty Images)
(Getty Images)

Dalla fine del 2021 la multinazionale statunitense Johnson & Johnson (J&J) ha sospeso la produzione del proprio vaccino contro il coronavirus nello stabilimento di Leiden, nei Paesi Bassi, il principale dedicato a questo tipo di attività. Le notizie intorno alla sospensione non sono molte, ma si uniscono a quelle poco positive degli ultimi mesi per l’azienda, che ha faticato a produrre e vendere il proprio vaccino soprattutto in Occidente, rispetto alle sue concorrenti Pfizer-BioNTech e Moderna. Le difficoltà sono state tali da spingere alcuni analisti a parlare di un fallimento del vaccino di J&J, inizialmente visto come uno dei più promettenti per tenere sotto controllo la pandemia.

Monodose
Mentre alcuni produttori di vaccini come Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca avevano scoperto piuttosto velocemente dai test che la migliore combinazione prevedesse la somministrazione di due dosi, i gruppi di ricerca e i dirigenti di J&J avevano scommesso sulla possibilità di realizzare un vaccino monodose. La necessità di somministrare una sola dose avrebbe permesso di gestire più facilmente la logistica delle consegne e, soprattutto, di vaccinare molte più persone e più velocemente rispetto a uno schema basato su due dosi.

Lo sviluppo del vaccino di J&J era proceduto velocemente, anche grazie alla scelta di impiegare tecnologie già sperimentate da tempo nel settore, e meno innovative rispetto a quelle a mRNA di Pfizer-BioNTech e Moderna che ponevano qualche incognita in più non essendo mai state sperimentate su larga scala.

Dai laboratori di Janssen Pharmaceutica, società con sede in Belgio e controllata da J&J, era infine uscito un vaccino basato su un virus (Adenovirus 26, o Ad26), modificato per comprendere il materiale genetico con le istruzioni per produrre la proteina spike, che il coronavirus impiega per legarsi alle cellule e replicarsi. Dopo la vaccinazione, la sua presenza nell’organismo attiva il sistema immunitario, che nel tempo impara a riconoscere la minaccia in modo da poterla affrontare nel caso di una futura infezione causata dal virus vero e proprio.

Efficacia e trombosi
Dopo la somministrazione dell’unica dose prevista, i test clinici avevano fatto rilevare un’efficacia del 66 per cento nel prevenire i sintomi da COVID-19 e dell’85 per cento nel prevenire le forme gravi della malattia. Per quanto positivi, i risultati erano meno promettenti rispetto a quelli fatti rilevare dai vaccini a mRNA. Pfizer-BioNTech erano inoltre riuscite a svolgere più rapidamente i test e a ottenere prima le autorizzazioni necessarie negli Stati Uniti e nell’Unione Europea per distribuire il proprio vaccino.

Nei mesi dopo l’autorizzazione, il vaccino di J&J andò incontro ad altri problemi, simili a quelli fatti rilevare dalla soluzione di AstraZeneca. Emerse che in rarissimi casi il vaccino poteva causare alcuni seri problemi circolatori, con la formazione di coaguli che avrebbero potuto comportare trombosi. Le autorità sanitarie statunitensi ed europee aggiunsero indicazioni sui rischi e alcuni paesi decisero di limitare l’impiego del vaccino a specifiche fasce di età ritenute meno a rischio.

Italia
A fine aprile del 2021 in Italia si decise di vaccinare preferibilmente le persone con più di 60 anni con il vaccino di J&J, seguendo quanto era già stato deciso per il vaccino di AstraZeneca. Questa circostanza avrebbe determinato nel tempo un impiego sempre più limitato del vaccino di J&J, le cui forniture erano comunque basse.

Dall’inizio della campagna vaccinale in Italia sono stati somministrati poco più di 1,8 milioni di dosi del vaccino Janssen/J&J a fronte dei circa 90 milioni di dosi di Pfizer/BioNTech e dei 25 milioni di dosi di Moderna.

La scelta inizialmente era condizionata dalla limitata disponibilità di forniture, ma in seguito l’orientamento delle autorità sanitarie si era spostato sul privilegiare i vaccini a mRNA, disponibili in maggiori quantità e utilizzabili su tutte le fasce di età senza particolari problemi.

Altre difficoltà
Per il vaccino di J&J le cose sono ulteriormente peggiorate alla fine del 2021, quando le autorità sanitarie statunitensi hanno raccomandato l’impiego dei vaccini di Pfizer-BioNTech e di Moderna, al posto di quello di J&J. L’indicazione ha avuto un impatto non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto dell’Occidente, dove il vaccino era comunque sempre meno impiegato (nonostante fosse emerso che con una seconda dose di richiamo l’efficacia della vaccinazione raggiungesse il 91 per cento).

Nonostante le difficoltà, chi ha lavorato allo sviluppo del vaccino e i dirigenti di J&J dicono che il loro prodotto potrebbe rivelarsi migliore nel medio-lungo periodo dal punto di vista della durata della protezione. Le affermazioni sono basate per lo più sui dati raccolti negli anni sui vaccini con adenovirus, non disponibili per quelli a mRNA da poco tempo sul mercato.

Il vaccino di J&J può inoltre essere conservato più facilmente rispetto a quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna, per i quali sono necessari potenti congelatori. Questa circostanza rende il vaccino ideale per i paesi poveri e in via di sviluppo, dove è più difficile garantire la catena del freddo.

Produzione e consegne
J&J non è riuscita a mantenere i livelli di produzione auspicati. Nell’estate del 2021 l’azienda aveva previsto di poter consegnare più di un miliardo di dosi del proprio vaccino entro la fine dell’anno, ma ne ha consegnati poco più di 400 milioni. J&J ha comunque rispettato le consegne previste per l’Unione africana, che entro otto mesi riceverà complessivamente 220 milioni di dosi da distribuire in una decina di stati del continente.

Personale dell’UNICEF verifica una prima consegna di vaccini contro il coronavirus di J&J nell’ambito del programma COVAX all’aeroporto di Kabul, Afghanistan – 9 luglio 2021 (AP Photo/Mariam Zuhaib, File)

La mancanza di dosi ha influito soprattutto sul programma COVAX, avviato da un consorzio internazionale per garantire un’equa distribuzione delle dosi dei vaccini nei paesi più poveri. L’azienda si era ripromessa di consegnare fino a 200 milioni di dosi entro la fine del 2021, ma l’iniziativa ha ricevuto appena 4 milioni di dosi e il livello di forniture non sembra essere aumentato significativamente nelle prime settimane di quest’anno, al punto da spingere i responsabili di COVAX a studiare soluzioni alternative con altri produttori.

Sospensione
La sospensione delle attività a Leiden, inizialmente segnalata da un articolo del New York Times e successivamente confermata da J&J, è diventata la causa di nuove preoccupazioni per molti paesi poveri e per le iniziative di raccolta e distribuzione dei vaccini. Le forniture promesse all’Unione africana, per esempio, sarebbero dovute arrivare tutte da Leiden e non è chiaro come sarà ora soddisfatta la domanda. Ritardi o rallentamenti nelle forniture potrebbero indurre l’Unione africana a rinunciare a una successiva opzione di acquisto per altre 180 milioni di dosi.

Nel corso del 2021 J&J aveva comunque anticipato che in futuro avrebbe sospeso le attività legate al coronavirus a Leiden, per impiegare l’impianto nella realizzazione di altri prodotti. Per alcuni mesi la produzione non riguarderà il vaccino contro il coronavirus, ma un nuovo vaccino contro il virus respiratorio sinciziale umano (hRSV). Le dosi saranno impiegate per i test clinici e l’azienda ha una certa fretta, perché in caso di esito positivo potrebbe presentare prima di diversi concorrenti una richiesta di autorizzazione per il nuovo vaccino.

Terminata la produzione delle dosi contro l’hRSV, l’impianto di Leiden tornerà a produrre i vaccini contro il coronavirus, ma reimpostare la catena produttiva e ottimizzare i macchinari richiederà svariati mesi di lavoro. La produzione dovrebbe riprendere tra maggio e giugno: J&J sostiene che le forniture non subiranno particolari rallentamenti perché l’azienda possiede milioni di dosi in magazzino e continua comunque a produrne di nuove in altri stabilimenti in giro per il mondo.

Ricavi e concorrenza
Il maggior successo dei vaccini a mRNA, le limitazioni decise dalle istituzioni sanitarie e i problemi di produzione sono stati tra i principali fattori dei risultati al di sotto delle aspettative per il vaccino di J&J, come è diventato evidente a fine gennaio con la presentazione degli ultimi dati finanziari da parte dell’azienda.

J&J nel 2021 ha venduto dosi del proprio vaccino contro il coronavirus per 2,4 miliardi di dollari, una cifra un po’ inferiore rispetto ai 2,5 miliardi di dollari delle previsioni dello scorso anno. Circa due terzi delle vendite sono avvenuti nell’ultimo trimestre del 2021 e circa tre quarti di queste al di fuori degli Stati Uniti. Il risultato non ha avuto comunque un particolare impatto per una società che vende praticamente di tutto, dai cerotti ai prodotti per l’igiene orale passando per farmaci e creme per la pelle. L’azienda aveva inoltre scelto di produrre il vaccino con modalità non-profit, per lo meno nella fase acuta dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia.

Per il 2022, J&J prevede di vendere vaccini per 3-3,5 miliardi di dollari, una cifra relativamente contenuta se confrontata con il suo fatturato globale di 93,8 miliardi di dollari l’anno scorso. Pfizer-BioNTech non hanno ancora comunicato i loro risultati consolidati per il 2021, ma prevedono comunque di vendere vaccini contro il coronavirus per 29 miliardi di dollari nel 2022, mentre Moderna ha fatto previsioni su vendite per 18,5 miliardi di dollari.