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  • Venerdì 18 febbraio 2022

Il ritiro della Francia dal Mali

Le forze francesi sono impegnate dal 2013 in una lotta al terrorismo jihadista che è in gran parte fallita

Soldati francesi lasciano una base in Mali, nella regione africana del Sahel (AP Photo/Jerome Delay, File)
Soldati francesi lasciano una base in Mali, nella regione africana del Sahel (AP Photo/Jerome Delay, File)

Giovedì, durante una conferenza stampa, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che a breve inizierà il ritiro dei soldati francesi che da anni, in Mali, sono impegnati a contrastare il terrorismo jihadista nell’ambito della “Operazione Barkhane”. L’annuncio arriva in un momento complicato nella regione del Sahel, dove la presenza francese è sempre più malvista e oggetto di forte opposizione sia tra i governi sia tra la popolazione. I rapporti tra Mali e Francia, per esempio, peggiorano da mesi, e Macron ha accusato la giunta militare che governa il Mali grazie a un colpo di stato di ostacolare le operazioni francesi contro il terrorismo, dicendo che non ci sono più le condizioni per continuarle.

Il ritiro dei soldati inizierà a breve, anche se ancora non c’è una data precisa, e sarà graduale: Macron ha detto che ci vorranno dai quattro ai sei mesi. La Francia manterrà comunque i propri contingenti in altri paesi della regione subsahariana del Sahel: col ritiro dei soldati dal Mali, ha detto Macron, il centro delle operazioni si sposterà progressivamente in Niger, e la Francia svolgerà attività di antiterrorismo anche nei paesi che danno sul golfo di Guinea (quindi, tra gli altri, Ghana, Benin, Nigeria e Camerun), sempre più minacciati, ha detto, dal terrorismo jihadista e dall’estrema instabilità dell’area.

Quello di giovedì non è stato un annuncio particolarmente sorprendente: già lo scorso giugno Macron aveva annunciato la sospensione della cooperazione militare con il governo maliano e la fine della propria operazione militare nel Sahel. È comunque il segnale di un peggioramento dei rapporti tra il governo francese e la giunta maliana, che complica la missione della Francia nella regione. Tuttavia, come dimostra il mantenimento dei contingenti fuori dal Mali, la Francia non può permettersi ancora di ritirarsi completamente dal Sahel, la cui estrema instabilità rischierebbe di allargarsi ad altri paesi africani.

Oltre al Mali, il Sahel comprende anche stati come Burkina Faso, Ciad e Niger: è un’area povera di risorse, molto instabile, anche a causa del durissimo regime coloniale che la Francia vi ha attuato fino agli inizi del Novecento, e in cui si concentrano vari interessi che riguardano anche gli altri paesi europei (che in parte non sembrano avere nessuna intenzione di andarsene).

La missione francese nel Sahel, nota come “Operazione Barkhane”, era iniziata nel 2013 con l’obiettivo di combattere i numerosi gruppi jihadisti attivi da anni nell’area. Inizialmente comprendeva circa 3mila soldati e doveva durare qualche settimana: alla fine è durata anni e i soldati sono diventati circa 5mila, oltre a basi militari e vari armamenti, il che ha reso la Francia lo stato straniero con la maggior presenza militare nella regione. In Mali, la Francia aveva anche alcuni soldati all’interno della Task Force “Takuba”, avviata nel 2019 e che prevede l’addestramento e l’assistenza di forze locali da parte degli eserciti europei. Il ritiro dei soldati francesi dal Mali comprende anche quelli attivi in quest’operazione.

Nelle sue fasi iniziali l’operazione Barkhane aveva avuto un certo successo soprattutto in Mali: in quel periodo il paese rischiava di cadere sotto il controllo di gruppi jihadisti e l’arrivo dei soldati francesi fu accolto con ottimismo e festeggiamenti. Ma le cose peggiorarono rapidamente: le attività dei gruppi jihadisti non si interruppero e anzi, dopo un certo periodo tornarono a farsi molto cruente, soprattutto ai confini tra Mali, Burkina Faso e Niger. Inoltre la presenza del contingente francese divenne sempre più oppressiva e malsopportata dal governo locale e dalla popolazione.

L’operazione francese, in sostanza, è stata considerata da molti un fallimento: giudizio che Macron «rifiuta categoricamente», come ha detto durante la conferenza stampa di giovedì.

In Mali, l’aumento dell’instabilità era stato anche una delle ragioni che avevano portato al colpo di stato del 2020, con cui una parte dell’esercito, dopo varie proteste, aveva deposto il presidente Ibrahim Boubacar Keita e il governo guidato dal primo ministro Boubou Cissé. Tra le altre cose, le proteste avevano riguardato l’incapacità del governo di combattere i gruppi islamisti attivi soprattutto nel nord del paese. Nove mesi dopo c’era stato un secondo colpo di stato, guidato dallo stesso colonnello del primo, Assimi Goïta, che aveva preso il potere imponendo di nuovo il controllo dei militari sul governo civile.

Con il colpo di stato del 2020 i rapporti tra Francia e Mali erano rapidamente peggiorati (così come l’opinione della stessa popolazione maliana sulla presenza francese sul territorio). Ed è stato dopo il secondo colpo di stato, compiuto a maggio del 2021, che Macron aveva annunciato di voler interrompere ogni collaborazione militare col Mali. A quel punto la giunta militare maliana aveva preso accordi con soldati mercenari russi del Gruppo Wagner, noti per i loro abusi e le loro violazioni di diritti umani, per un intervento nel paese.

Una ventina di giorni fa, con un annuncio letto in televisione, la giunta militare al potere in Mali aveva anche annunciato l’espulsione dell’ambasciatore francese, Joël Meyer, a cui aveva dato 72 ore per lasciare il paese.

– Leggi anche: Il colpo di stato in Mali, nel 2020