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  • Mercoledì 19 agosto 2020

Come siamo arrivati al colpo di stato in Mali

Breve storia di una crisi iniziata dalla destituzione dell'ex presidente libico Muammar Gheddafi e arrivata fino a oggi

Militari maliani a Bamako, 18 agosto 2020 (EPA/MOUSSA KALAPO)
Militari maliani a Bamako, 18 agosto 2020 (EPA/MOUSSA KALAPO)

Tra martedì e mercoledì in Mali c’è stato un colpo di stato compiuto da una parte dell’esercito contro il presidente Ibrahim Boubacar Keita e il governo guidato dal primo ministro Boubou Cissé. Keita, che era presidente dal 2013, si è dimesso e ha sciolto il parlamento, dopo che diversi ministri erano stati arrestati dai militari nella capitale Bamako. Il colpo di stato è stato deciso dopo le crescenti proteste contro Keita, accusato di avere “rubato” le ultime elezioni parlamentari, tenute a marzo. Ma è stato anche il risultato di frustrazioni e malcontenti accumulati per anni, che tra le altre cose hanno riguardato l’incapacità del governo di combattere la corruzione e i gruppi islamisti armati attivi soprattutto nel nord.

Quello che sta succedendo in Mali è importante non solo per il futuro del paese, ma anche per l’intera regione dell’Africa occidentale, senza contare che da anni nel territorio nazionale sono presenti soldati occidentali (statunitensi e francesi) impegnati contro i gruppi jihadisti.

La crisi in Mali è iniziata nel 2012, quando ribelli e jihadisti presero il controllo di ampie parti del nord del paese, al confine con l’Algeria e il Niger. L’anno precedente si era combattuta la guerra civile in Libia contro l’allora presidente Muammar Gheddafi, a cui avevano partecipato anche potenze straniere, soprattutto Francia e Stati Uniti. Dopo la destituzione di Gheddafi, centinaia di ribelli armati maliani, tra cui membri di al Qaida che avevano combattuto a fianco del leader libico, erano tornati in Mali e avevano attaccato le città del nord, prendendone il controllo.

Le aree governate dai jihadisti furono costrette a seguire rigidissime regole religiose, e molti siti storici furono distrutti. L’instabilità del nord fu la ragione più importante per il successivo colpo di stato compiuto dai militari, che destituì l’allora presidente maliano Amadou Touré. Fu nel successivo vuoto di potere che emerse la figura di Keita.

Il presidente maliano Ibrahim Boubacar Keita mentre annuncia le sue dimissioni dopo il colpo di stato (ORTM TV via AP)

Ibrahim Boubacar Keita era allora un politico molto popolare. Era stato primo ministro e presidente del parlamento e aveva l’appoggio soprattutto dei giovani, che in un popolo giovane come quello maliano significava avere già fatto una buona parte del lavoro. Era visto come un politico onesto e giusto, ha scritto il New York Times, che allo stesso tempo aveva legami con ricchi finanziatori maliani. Nell’agosto 2013, un anno e mezzo dopo il colpo di stato, Keita fu eletto presidente a larghissima maggioranza, anche grazie alla promessa di combattere la corruzione.

Negli ultimi anni, tuttavia, la popolarità di Keita è scesa progressivamente, così come è peggiorata sensibilmente la sicurezza del Mali, nonostante l’intervento di forze straniere.

Nella regione del Sahel, quella fascia di territorio dell’Africa subsahariana che include anche il Mali, sono attivi da diverso tempo soldati e programmi militari di Stati Uniti e Francia. Negli ultimi due anni il dipartimento di stato americano ha destinato 323 milioni di dollari per l’addestramento di forze di sicurezza e per altre forme di assistenza ai cosiddetti “paesi del G5”, cioè Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad e Mauritania. La Francia è diventato lo stato straniero con la maggior presenza militare nella regione: circa 5mila soldati, oltre che diverse basi da cui vengono gestiti droni sofisticati.

Durante la presidenza di Keita, e dopo l’avanzata dei gruppi islamisti nel nord del paese, la Francia aiutò le forze maliane a riprendere il controllo dei territori perduti: l’intervento fu un iniziale successo, ma poi i ribelli si rifugiarono nelle zone rurali dove continuarono a compiere attacchi contro la popolazione civile. Da allora le attività dei gruppi jihadisti si sono “metastatizzate” lungo i confini con Burkina Faso e Niger, due paesi che negli ultimi anni sono stati colpiti da diversi attentati.

– Leggi anche: I misteriosi attacchi in Burkina Faso

L’incapacità di Keita di garantire sicurezza ai cittadini maliani sembra essere stato il principale motivo dell’ultimo colpo di stato, accolto nelle strade della capitale Bamako con festeggiamenti e slogan a favore dei militari. I critici hanno accusato Keita di non essere riuscito a migliorare la situazione economica del paese e di non avere mantenuto una delle sue più importanti promesse elettorali: cioè quella di combattere la corruzione. Nel corso del tempo, la fiducia dei cittadini maliani verso di lui è scesa progressivamente: nel 2018 Keita era stato rieletto presidente, ma con una maggioranza molto più bassa rispetto alle elezioni trionfali di cinque anni prima, e tra accuse di brogli e irregolarità.

La cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le ultime elezioni parlamentari, che hanno provocato manifestazioni antigovernative di decine di migliaia di persone.

Manifestazione antigovernativa a Bamako, 11 agosto 2018 (EPA/LEGNAN KOULA)

I problemi sono iniziati alla fine di marzo, pochi giorni prima delle elezioni, quando uno dei leader dell’opposizione, Soumaila Cisse, fu sequestrato da uomini armati non identificati nel centro del paese, tra le molte preoccupazioni di sicurezza dovute sia alla pandemia da coronavirus sia alle attività di gruppi islamisti. Contro Keita e il suo partito, alle accuse di non saper garantire la sicurezza dei propri cittadini si aggiunsero quelle di avere rubato le elezioni. Alla fine di aprile, infatti, la Corte costituzionale del Mali aveva ribaltato gli esiti elettorali relativi a 31 seggi parlamentari, permettendo così al partito di Keita di avere la maggioranza in parlamento.

I principali partiti di opposizione si riorganizzarono, collaborando con gruppi della società civile, e formarono una nuova alleanza chiamata “Movimento del 5 giugno”, che iniziò a chiedere le dimissioni di Keita. Proprio il 5 giugno ci fu una grande protesta antigovernativa a Bamako guidata per lo più da un importante leader musulmano maliano, Mahmoud Dicko, che fu seguita da molte altre proteste, continuate nonostante la promessa di Keita di fare riforme politiche.

Il 10 agosto hanno giurato nove nuovi giudici della Corte costituzionale, risultato della proposta dell’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) di risolvere la crisi. Come ha notato tra gli altri Nicolas Hacque, giornalista di Al Jazeera esperto di Mali, i nuovi giudici erano però stati nominati da un alleato di Keita: la nomina ha alimentato l’idea tra i manifestanti che Keita stesse abusando del suo potere.

Non sono ancora chiari i motivi per cui l’esercito – o parte dell’esercito – abbia deciso di compiere il colpo di stato contro Keita. Tra le altre cose si è parlato di mancato pagamenti degli stipendi e una generale insoddisfazione legata al continuo conflitto contro le forze jihadiste in alcune aree del paese. Keita, comunque, ha annunciato le proprie dimissioni dopo la mezzanotte tra martedì e mercoledì, dicendo di non avere provato a resistere all’arresto da parte dei militari per evitare «spargimenti di sangue».