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  • Lunedì 14 febbraio 2022

Il campione di pattinaggio che vuole aiutare gli altri a batterlo

Dopo aver vinto due ori a Pechino, Nils van der Poel ha spiegato per filo e per segno come si è allenato e cosa lo ha motivato

(Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)
(Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

Nel 2018, alle Olimpiadi invernali di PyeongChang, il pattinatore di velocità svedese Nils van der Poel, allora ventunenne e alle sue prime Olimpiadi, arrivò 14° nei 5.000 metri, con quasi dieci secondi di ritardo dal vincitore. Non riuscì nemmeno a qualificarsi nei 10mila, una gara affascinante e sfibrante. Per un paio di anni lasciò quindi il pattinaggio di velocità su ghiaccio e si dedicò ad altro: l’esercito, il ciclismo e le ultramaratone, per esempio. Dopodiché riprese a pattinare e nel febbraio 2021 vinse due ori Mondiali, nei 5.000 e soprattutto nei 10.000, la “gara regina” del pattinaggio su ghiaccio, in cui stabilì un nuovo record del mondo.

Pochi giorni fa, alle Olimpiadi di Pechino, van der Poel ha vinto l’oro nei 5.000, distanza su cui da dicembre detiene il record del mondo, e pure quello nei 10.000, peraltro migliorando il suo record precedente su una pista considerata tutt’altro che veloce.

Dopo i suoi due ori, van der Poel ha pubblicato un dettagliatissimo documento di 62 pagine che riporta rigorosissime informazioni sui suoi allenamenti, unite a considerazioni generali sullo sport e la sua vita da sportivo: alcune sono serissime e piuttosto profonde, altre sono invece divertenti e scanzonate. Il documento, ha detto van der Poel, vuole essere d’aiuto a chi voglia provare a ottenere risultati simili ai suoi. Visto che, a quanto pare, lui vuole ritirarsi dal pattinaggio: almeno per ora. Ma è uno sportivo eccentrico e fenomenale, e quindi chissà se, quando e dove, risalterà fuori.

(Richard Heathcote/Getty Images)

Nils van der Poel è nato il 25 aprile 1996 a Trollhättan, nel sud della Svezia. I nonni materni arrivarono lì dall’Ungheria, il nonno paterno dai Paesi Bassi: motivo per cui sebbene sia svedese van der Poel ha un cognome tipicamente olandese (tra l’altro uguale a quello di Mathieu van der Poel, grandissimo ed eclettico talento del ciclismo). Iniziò a dedicarsi al pattinaggio di velocità su ghiaccio (un’attività molto olandese e non granché svedese) da ragazzo, con l’iniziale obiettivo di diventare un miglior giocatore di bandy, uno sport di squadra perlopiù scandinavo, piuttosto simile all’hockey su ghiaccio. «Il bandy era per l’80 per cento pattinaggio» ha raccontato «quindi a otto anni iniziai il pattinaggio su velocità, perché ero molto motivato nello sport».

Ebbe un’ottima carriera giovanile e poi arrivarono le Olimpiadi del 2018, dopo le quali ha ricordato di aver pensato: «il pattinaggio di velocità non fa per me, diventerò un soldato». Dopo le Olimpiadi e dopo aver già deciso di arruolarsi, nel marzo 2018 andò comunque ai Mondiali di Pattinaggio di Amsterdam e vinse l’oro nei 10.000, davanti a due olandesi. «Fu una grande esperienza, ma sapevo che non avevo in me l’ispirazione necessaria per fare altri quattro anni» ha detto alla Federazione mondiale del pattinaggio su ghiaccio (ISU). «Mi serviva una pausa».

Essenzialmente la “pausa” ha consistito in un anno da militare, seguito da «una ventina di ultramaratone» (gare di corsa su distanze superiori ai 42 chilometri della maratona), «un migliaio di salti col paracadute» e – parole sue – «tante feste». Sempre van der Poel ha detto, di quel periodo: «ho fatto tanto snowboard, molto scialpinismo, e ho girato in bici la Svezia». In un’occasione da Riksgränsen, duecento chilometri a nord del Circolo polare artico, fino a Smygehuk, il punto più a sud della Svezia.

Van der Poel ha detto che nel periodo di assenza dal pattinaggio gli capitò di pensare più volte: «perché mai dovrei volere pattinare in tondo su ovali di 400 metri più veloce che posso?». Capì poi che se era uno dei più bravi al mondo a fare una cosa valeva la pena provare a diventare il più bravo di tutti, per «ispirare altri a fare lo stesso». Sempre all’ISU, van der Poel ha detto: «gli atleti sono clown e ballerini, siamo intrattenitori e figure di riferimento, è l’unica spiegazione ragionevole che trovo per voler fare sport».

Dopo il ritorno, van der Poel si è effettivamente dimostrato più forte di tutti, più volte. Il record del mondo del 2021 lo fece peraltro al livello del mare, che come ha scritto il giornalista Rai Stefano Rizzato è «qualcosa di inconcepibile, in uno sport che da anni vede tutti i propri record realizzati in altura» dove l’aria è più rarefatta e quindi c’è meno attrito. Ha vinto sempre, talvolta stravinto staccando gli avversari di alcuni secondi: come ha notato il New York Times, «un’eternità, in uno sport che spesso si decide per centesimi di secondo».

Subito dopo i due ori di Pechino, per la Svezia i primi in quelle discipline in oltre trent’anni, van der Poel ha dato alcune interessanti interviste (una delle quali con Rizzato) in cui, tra le altre cose, ha detto: «quando sei un atleta professionista in uno sport che fa così schifo come il pattinaggio di velocità, devi trovare un modo per riuscire a renderlo meno schifoso».

Poi, soprattutto, van der Poel ha pubblicato quel suo documento di 62 pagine dal titolo: “Come pattinare i 10mila …e metà 10mila». La cosa migliore, per chiunque sia appassionato – allo sport e all’allenamento in generale, non solo al pattinaggio sul ghiaccio – è leggerselo. Anche perché, come fa notare Rizzato, «è scritto in inglese impeccabile, molto dettagliato e di approccio assolutamente scientifico».

Altrimenti, il Wall Street Journal lo ha sintetizzato così: «c’è dentro tutto, spiegato con dovizia di particolari, dagli allenamenti a intervalli a come si sentiva dopo ogni sessione», ed è «una ricetta completa per un oro olimpico nel pattinaggio su ghiaccio».

Il testo pubblicato da van der Poel racconta come, anzitutto, per un anno non fece nulla su ghiaccio, concentrandosi invece a sviluppare la sua capacità aerobica, per esempio pedalando per oltre 30 ore settimanali. Spesso imprimendo sui pedali una potenza che, ha scritto il Wall Street Journal, «non era lontana da quella dei ciclisti professionisti». Il documento parla delle 7mila calorie di cui van der Poel aveva bisogno in certi giorni e di come, tra le altre cose, tutte quelle calorie – poi consumate con ore e ore di allenamento quotidiano – creino però problemi ai denti.

Van der Poel poi si è dedicato solo al ghiaccio, senza alternare al pattinaggio attività di altro tipo, per esempio – come fanno gli atleti di quasi ogni sport – con sessioni in palestra. «Non illuderti» scrive van der Poel nel documento di cui è autore analizzante e protagonista analizzato, «non sacrificare ore di sessioni essenziali per fare altro che suona più facile o più piacevole: sì, vero, la palestra è calda e accogliente, ci sono specchi ovunque così che tu veda la tua bella faccia e i tuoi muscoli attraenti […]. Ho tagliato completamente quello che pensavo fosse sub-ottimale così da aumentare le sessioni ottimali». Ammette però che, col senno di poi, un poco più di stretching non sarebbe stato una cattiva idea.

Gran parte degli allenamenti di van der Poel è stata fatta e gestita da solo, con rigorosa dedizione e con grandi attenzioni alla parte tecnica del pattinaggio. Ma il documento parla anche della possibilità di svagarsi – «a volte tutto quel che mi serviva era una birra, o otto birre» – e della necessità di alternare lunghi giorni di allenamento con altri di distensione, fisica e mentale. Molto semplicemente, ogni settimana van der Poel si allenava per 5 giorni e si riposava, uscendo e vedendo persone, per 2 giorni.

Tra le tante riflessioni, divise e organizzate per argomento, van der Poel ha scritto: «non ho mai pattinato un 10.000 senza essermi chiesto perché abbia deciso di diventare un pattinatore di velocità».

All’inizio del suo resoconto, scrive:

«Un mio amico pensa che il mio successo sia basato soprattutto sul mio talento. Che i piani di allenamento che mi hanno divorato non darebbero gli stessi risultati con chiunque non sia me. Forse ha ragione, forse no. Io penso che abbia un po’ ragione e un po’ no. Mi piace pensare di essermi guadagnato il mio successo. E mi auguro che questo sport continui a migliorare e che i miei record possano essere battuti».

Van der Poel aggiunge di non credere che sarà lui ad abbattere il muro dei 6 minuti nei 5.000 metri e quello dei 12 minuti e 30 secondi nei 10.000 metri (due soglie importanti e significative, i cui record ora sono a poco più e poco meno di un secondo), «ma che forse qualcun altro ci riuscirà».

Cosa farà lui nei prossimi mesi o anni è ancora più difficile dirlo. Sembra voglia ritirarsi, e ha detto a Rizzato: «ora tornerò in Svezia, ma non so nemmeno a quale indirizzo. Finirò la stagione [di pattinaggio], poi tornerò a fare le ultramaratone o le adventure race [corse su percorsi non battuti]».

– Leggi anche: Le prime Olimpiadi invernali, che non sapevano di esserlo