C’è anche #FreeKesha

Oltre a quello per sostenere Britney Spears, un movimento di fan protesta da anni per la brutta storia che riguarda la cantante e il produttore Dr. Luke

Kesha alla premiere della seconda stagione della serie "Ted Lasso" a Los Angeles, nel luglio del 2021 (Amy Sussman/ Getty Images)
Kesha alla premiere della seconda stagione della serie "Ted Lasso" a Los Angeles, nel luglio del 2021 (Amy Sussman/ Getty Images)

La settimana scorsa è stato pubblicato il nuovo EP della cantante dance-pop Kim Petras che si chiama Slut Pop, ha contenuti espliciti (“slut” in inglese vuol dire puttana) ed è stato prodotto dal produttore discografico americano “Dr. Luke”, pseudonimo di Łukasz Sebastian Gottwald. Come era già accaduto dopo la pubblicazione del disco di esordio di Petras, scritto sempre assieme a Dr. Luke nel 2019, la loro collaborazione ha rianimato le polemiche intorno al produttore e attirato nuove critiche: nel 2014 infatti era stato accusato di abusi e violenze sessuali da parte della popstar americana Kesha, cosa che portò a una serie di cause giudiziarie che stanno andando avanti ancora oggi.

Dopo la pubblicazione di Slut Pop, sui social network è tornato a essere virale l’hashtag #FreeKesha, con cui moltissimi utenti stanno manifestando la propria solidarietà alla cantante, che nonostante quanto successo è ancora vincolata al contratto col produttore. Per molti versi la storia di Kesha ricorda quella della famosissima cantante Britney Spears, che per più di 13 anni è stata sottoposta alla tutela legale del padre in seguito a una grave crisi nervosa. Anche in quel caso, la cantante era stata sostenuta da un’estesa mobilitazione dei fan associata all’hashtag #FreeBritney.

Kesha, il cui nome completo è Kesha Rose Sebert, ha 34 anni ed era diventata molto famosa grazie al singolo “Tik Tok”, uscito nel 2009 (non parlava dell’omonimo social network, nato soltanto molti anni dopo). Quattro anni prima aveva iniziato a lavorare con Dr. Luke, che si era fatto notare per aver co-prodotto la hit di Kelly Clarkson “Since U Been Gone” e per le collaborazioni con cantanti come Katy Perry, Rihanna e Miley Cyrus.

Nell’ottobre del 2014 Kesha aveva accusato Dr. Luke di averla molestata e di aver abusato sessualmente di lei fin da quando avevano iniziato a collaborare, accusando Sony – che controllava l’etichetta discografica del produttore – di non aver preso provvedimenti; inoltre aveva chiesto a un giudice di rescindere il contratto che la legava professionalmente a lui. Dr. Luke negò tutte le accuse, sostenendo che con Kesha avesse sempre avuto un ottimo rapporto (definito in più occasioni “fraterno”) e che la cantante si fosse inventata le accuse per svincolarsi dal contratto.

Nel 2016 il tribunale respinse la richiesta della cantante, spiegando che non c’erano elementi sufficienti per confermare le accuse e che «non esistevano prove di un danno irreparabile» nei suoi confronti. Pochi mesi dopo Kesha decise di ritirare le accuse di abusi sessuali, dicendo che però la sua «battaglia» sarebbe andata avanti. Nel frattempo Dr. Luke fece a sua volta causa per diffamazione a Kesha, a sua madre e al suo avvocato, sostenendo che avessero insinuato che lui avesse abusato sessualmente anche di Katy Perry (che negò la cosa) e di Lady Gaga, una delle molte cantanti e attrici che avevano mostrato solidarietà per lei. La causa per diffamazione e le dispute sul contratto sono andate avanti negli anni e ancora oggi sono in corso.

Da sinistra a destra, il produttore svedese Max Martin, Dr. Luke e la cantante Kesha durante gli ASCAP Pop Music Awards del 2011 a Los Angeles (AP Photo/ Chris Pizzello, file)

Già nel reality di MTV My Crazy Beautiful Life, del 2013, Kesha aveva detto che Dr. Luke aveva avuto il pieno controllo sulla produzione del suo secondo disco, Warrior, uscito l’anno precedente. Fu in quel periodo che sui social network cominciò a circolare l’hashtag #FreeKesha, creato dai fan della cantante per protestare contro il fatto che il produttore la obbligasse a cantare «le solite generiche e prevedibili canzoni pop riciclate». In quasi dieci anni tuttavia le cose non sembrano essere cambiate granché.

Come ha spiegato su Twitter il compositore Ben Abraham, che ha scritto per Kesha la canzone “Praying” nel 2017, la cantante ha ancora un contratto con l’etichetta di Dr. Luke e dopo otto anni lui «controlla ancora le sue uscite discografiche»: vale a dire che Kesha non può collaborare con altri artisti, pubblicare musica o contenuti musicali sui social network senza il suo consenso. Tra le altre cose, molti ritengono che “Praying”, una canzone che parla di una persona che le “ha fatto passare le pene dell’inferno”, sia dedicata proprio a Dr. Luke.

Nel 2017 il suo album Rainbow fu nominato per un Grammy, mentre nell’agosto del 2021, un anno e mezzo dopo l’uscita del quarto disco High Road, Kesha tornò a esibirsi dal vivo con una serie di concerti, dopo essersi occupata anche di un podcast dedicato alla fantascienza e all’intelligenza artificiale. Nelle sue ultime interviste e sui social network non ha più fatto riferimento alle vicende con Dr. Luke, ma in seguito alle recenti critiche alcuni fan hanno lanciato una petizione per chiedere che il produttore sciolga il contratto con Kesha, in modo che lei possa continuare a scrivere musica e a esibirsi indipendentemente da lui.

Nell’aprile del 2021 una corte di appello aveva invece confermato una precedente sentenza di un tribunale secondo cui Kesha era colpevole di diffamazione nei confronti di Dr. Luke. Due mesi dopo tuttavia un tribunale di New York aveva stabilito che in base ai nuovi provvedimenti legali contro la Strategic Lawsuit Against Public Participation (che hanno l’obiettivo di impedire alle persone di rilievo di intimidire gli individui con cui sono in causa), Kesha avrebbe potuto fare ricorso. Ora per avere ragione Dr. Luke dovrà provare in maniera esauriente che da parte di Kesha ci sia stata malafede.

– Leggi anche: La tutela di Britney Spears, dall’inizio