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  • Sabato 29 gennaio 2022

Come si rappresentano le Olimpiadi invernali

I loghi dei Giochi hanno quasi sempre avuto due elementi, la neve e il ghiaccio, ma ci sono state edizioni più originali di altre

(AP Photo/Jae C. Hong)
(AP Photo/Jae C. Hong)

Rappresentare graficamente i Giochi olimpici è un lavoro complesso ed esigente che difficilmente mette d’accordo, e lo stesso vale quando si parla di Olimpiadi invernali. Rispetto a quelli estivi, i Giochi invernali hanno due elementi preponderanti: la neve e il ghiaccio, e da lì non si scappa. Tutte le gare si svolgono su queste due superfici, tra montagne e palazzetti, peraltro in un arco di tempo più breve rispetto ai Giochi estivi.

Arrivati alla ventiquattresima edizione, gli organizzatori ancora non sono riusciti a creare un nuovo immaginario per le Olimpiadi invernali, e continuano ad affidarsi agli elementi più tradizionali, anche se in chiave via via più moderna.

Il logo pensato per i Giochi di Pechino, che iniziano il 4 febbraio, mostra il carattere cinese 冬 (che indica l’inverno) in un simbolo che secondo gli ideatori riproduce un atleta freestyler, in alto, e uno sciatore in basso, divisi dalle montagne e dalle piste del paese ospitante. Anche i colori hanno un loro significato. Il blu «rappresenta i sogni, il futuro e la purezza del ghiaccio e della neve»; il rosso e il giallo, colori della bandiera nazionale cinese, «simboleggiano passione, giovinezza e vitalità».

Per le prime sette edizioni, dal 1924 al 1956, i Giochi invernali vennero rappresentati più da illustrazioni che da loghi veri e propri, come del resto si usava all’epoca anche per le Olimpiadi estive.

L’immagine pensata per l’edizione di Cortina d’Ampezzo del 1956 fu il primo momento di svolta. Nonostante l’evocazione di un immaginario comune con l’illustrazione di una cresta del Monte Cristallo, fu uno dei primi veri e propri loghi olimpici, perché realizzato completamente a colori e racchiuso nel cerchio di una medaglia che nei contorni richiamava un fiocco di neve.

Quasi cinquant’anni dopo, il logo realizzato per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 confermò invece la scelta dei comitati organizzatori italiani di mantenere sempre un chiaro riferimento all’identità storico-geografica del paese, senza grandi innovazioni. Nel logo di Torino 2006 fu infatti riprodotta la sagoma della Mole Antonelliana composta da fiocchi di neve stilizzati che davano un certo senso di dinamicità.

Nella sua analisi sui loghi olimpici, il grafico newyorkese Milton Glaser scrisse: «È ambiguo e difficile da capire, la relazione con la tecnologia a cui allude è insufficiente. Tenta di apparire contemporaneo, ma non convince».

Fra i loghi più apprezzati dagli esperti di comunicazione c’è quello di Nagano, città giapponese che ospitò i Giochi del 1998. Il designer giapponese Fumi Sasada ha raccontato: «L’emblema doveva avere una dimensione globale, non poteva rappresentare solamente la comunità giapponese, perché i Giochi fanno parte della storia di tutti. Le Olimpiadi sono la storia di ogni paese». Fu quindi ideato un fiore invernale sbocciato su sfondo bianco, come fosse su una montagna innevata, i cui petali colorati prendevano la forma di atleti di varie discipline. Fu inserito anche un elemento territoriale, ma per nulla ingombrante. Da città con una lunga tradizione pirotecnica, il logo richiamò anche l’esplosione di un fuoco d’artificio. Durante le cerimonie di apertura e chiusura, i fuochi d’artificio sparati sopra lo Stadio Olimpico di Nagano ripresero a loro volta le forme e i colori del logo.

Nagano fu uno dei pochi casi in cui non fu utilizzato un fiocco di neve, l’elemento di gran lunga più associato ai Giochi invernali. Negli anni, tuttavia, alcuni organizzatori riuscirono ad applicarlo a idee tutto sommato originali. È il caso di Calgary 1988, per esempio, dove il fiocco prese la forma della foglia d’acero, simbolo nazionale del Canada ed elemento centrale della sua bandiera.

Il logo di Salt Lake City 2002 fu uno dei primi ad avere l’esigenza dell’adattabilità, ovvero di funzionare fra decine di applicazioni diverse, visto la nuova epoca tecnologica che il mondo all’epoca stava accogliendo.

Dave Thomas, che lavorò nel comitato organizzatore, ha spiegato: «I Giochi comportano così tante sfide, così tanti dettagli che se ci si pensa bene rimani paralizzato. Tutto ciò che riuscivamo a pensare era che dovevamo creare un simbolo eccezionale». Il risultato fu sì un fiocco di neve, ma strutturato in tre parti: una montagna innevata nella parte bassa, due sci incrociati nel mezzo e per finire un tramonto, il tutto rappresentato con i colori dei caratteristici tramonti dello Utah. Lo stile della composizione ricordò inoltre la simbologia dei nativi americani, dalla cui cultura derivava anche il nome dello stato in cui si svolgevano quei Giochi.

Un logo più divisivo fu quello realizzato dal grafico bosniaco Miroslav Roko Antonic per Sarajevo, allora ancora parte della Jugoslavia. Fu il primo caso in cui il logo presentato per la candidatura venne confermato anche dopo l’assegnazione, con qualche piccola variazione.

Come motivo principale fu scelta una simbiosi tra un cristallo di neve stilizzato e un ricamo tradizionale di quella regione balcanica, in un risultato che per molti ricorda ancora oggi la corrente architettonica brutalista. Per “ammorbidire” il logo e dargli anche un significato di fratellanza, i cinque cerchi olimpici furono aggiunti come parte integrante e “non separabile” del logo.

Tra le proposte più recenti, l’edizione di Vancouver fu la seconda organizzata dal Canada, nonché quella ospitata dalla città più grande nella storia delle Olimpiadi invernali (prima dell’assegnazione a Pechino, con i suoi 21 milioni di abitanti). Per l’occasione il comitato canadese organizzò un concorso aperto ai designer di tutto il mondo, non solo canadesi.

Vinse la proposta di Elena Rivera MacGregor, messicana cresciuta in Canada, che con l’idea di rappresentare l’accoglienza del suo paese al resto del mondo, scelse di riprodurre un inukshuk, le antiche strutture di pietra con cui le popolazioni Inuit del nord erano solite comunicare tra loro dalla distanza.

Per Sochi 2014 fu scelta invece una proposta che rifletteva in chiave moderna il paesaggio di Sochi, con le montagne a picco sul Mar Nero. Nel logo di solo lettering le scritte Sochi e 2014 sono riflesse, come le montagne sull’acqua attorno a Sochi. A questa composizione fu aggiunta la sigla .ru, ossia il dominio internet del paese organizzatore, «indicatore dei tempi» e del fatto che quei Giochi sarebbero stati usufruiti in digitale molto più delle edizioni precedenti.

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