Governo ed enti locali discutono sulla riapertura delle scuole

Soprattutto dopo che in Campania è stato deciso di tenerle chiuse fino a fine mese, contro il volere del governo

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Negli ultimi giorni la decisione del governo di non rinviare l’apertura delle scuole e di ridurre al minimo possibile l’utilizzo della didattica a distanza (DAD) ha creato diverse polemiche e sta provocando anche qualche scontro politico, soprattutto dopo che Vincenzo De Luca, il presidente della regione Campania, ha firmato un’ordinanza per tenere chiuse le scuole dell’infanzia, elementari e medie fino al 29 gennaio. Il governo si è detto contrario a questo provvedimento, e sostiene peraltro che De Luca non abbia l’autorità per emanarlo.

In teoria, le scuole avrebbero dovuto riaprire il 7 gennaio, alla fine delle festività natalizie. Oltre la metà delle regioni, poi, aveva deciso di posticipare l’apertura al 10. Ma negli ultimi giorni, davanti al grande aumento di contagi da coronavirus provocato dalla variante omicron, diversi operatori scolastici e sanitari, oltre che vari presidenti di regione e amministratori locali, hanno cominciato a chiedere un rinvio più lungo, di almeno due settimane.

Venerdì più di 2mila dei circa 8mila dirigenti scolastici italiani hanno firmato un appello online, rivolto a governo, regioni e ministero dell’Istruzione, in cui hanno chiesto che la ripartenza della scuola in presenza venga posticipata di due settimane, prospettando che in caso contrario ci sarà «una situazione ingestibile che provocherà con certezza frammentazione, interruzione delle lezioni e scarsa efficacia formativa». Lo stesso giorno anche Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, aveva definito «una decisione di buonsenso» il rinvio dell’apertura delle scuole e il recupero a giugno delle lezioni perse.

Poi sono arrivate le ordinanze degli amministratori locali. La più notevole è quella di De Luca in Campania, che ha giustificato il rinvio dell’apertura delle scuole al 29 gennaio dicendo che è necessario «sviluppare quanto più possibile la campagna di vaccinazione per i bambini più piccoli». Hanno firmato ordinanze simili anche i sindaci di alcune città in tutta Italia, la più popolosa delle quali è Messina, dove il sindaco Cateno De Luca ha deciso di tenere le scuole chiuse fino al 23 gennaio.

Il governo però intende mantenere l’apertura delle scuole nelle date prestabilite, senza eccezioni. In un’intervista al Corriere della Sera, il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha detto che «la nostra intenzione è procedere con i calendari già definiti», e ha ricordato che finora nessun paese europeo ha previsto una chiusura delle scuole. A proposito della DAD, ha aggiunto: «Si possono far scattare le lezioni a distanza solo in casi eccezionali. Ma il ricorso massiccio alla DAD, oggi, come se i vaccini non ci fossero, sarebbe un errore».

Soprattutto, Bianchi ha detto che De Luca e gli altri amministratori locali non avrebbero l’autorità per decidere la chiusura delle scuole in questo momento: «La legge è molto chiara: permette ai presidenti di Regione di intervenire solo in zona rossa e in circostanze straordinarie. Queste condizioni oggi non ci sono». Il governo, ha detto Bianchi, potrebbe decidere di impugnare l’ordinanza della Campania.

Nel decreto annunciato il 5 gennaio ed entrato in vigore l’8, il governo ha approvato nuove regole per limitare i contagi nelle scuole, che tra le altre cose, a seconda del grado di istruzione, introducono differenze tra studenti vaccinati e non vaccinati contro il coronavirus.

In base alle nuove regole nelle scuole dell’infanzia e negli asili nido non cambierà nulla: la sospensione dell’attività didattica inizierà al primo caso di contagio e durerà 10 giorni. Per le scuole elementari, invece, se in una classe ci sarà un caso positivo l’attività proseguirà in presenza ma tutti gli studenti dovranno fare immediatamente un test antigenico rapido o molecolare (detto “T0”), e ripeterlo dopo cinque giorni (“T5”). In presenza di due o più positivi è prevista per tutta la classe la didattica a distanza per dieci giorni.

Per le scuole medie e superiori sono previste maggiori differenze, a seconda che gli studenti siano vaccinati o meno. Il motivo di questa distinzione è che circa tre quarti degli studenti nella fascia di età tra 12 e 19 anni ha completato il ciclo primario di vaccinazione, ovvero ha ricevuto due dosi di vaccino.

Se nella classe verrà rilevato un caso di positività si applicherà solo l’autosorveglianza. La didattica resterà in presenza e varrà l’obbligo di indossare le mascherine FFP2. Con due casi positivi nella stessa classe è prevista la didattica a distanza per 10 giorni per gli studenti che non hanno avuto la dose di richiamo (che al momento è stata somministrata a circa il 5 per cento della popolazione tra 12 e 19 anni), per quelli che hanno completato il ciclo vaccinale primario da più di 120 giorni e per chi è guarito dal COVID-19 da più di 120 giorni. A tutti gli altri si applicherà invece l’autosorveglianza con l’obbligo di utilizzo di mascherine FFP2. Nel caso in cui invece ci si siano almeno tre contagiati nella classe, si applica a tutti la didattica a distanza per dieci giorni.

Il governo ha anche stanziato oltre 92 milioni di euro per consentire a tutti gli studenti a cui verrà applicata l’autosorveglianza di effettuare i test gratuitamente in farmacia e nelle strutture convenzionate.