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  • Giovedì 6 gennaio 2022

Un gruppo di paesi guidati dalla Russia manderà truppe in Kazakistan

Per aiutare il regime a reprimere le proteste che da giorni mettono in difficoltà il governo, mentre continuano gli scontri con i manifestanti

La polizia del Kazakistan in tenuta antisommossa (AP Photo/Vladimir Tretyakov)
La polizia del Kazakistan in tenuta antisommossa (AP Photo/Vladimir Tretyakov)

Un’alleanza militare di paesi ex sovietici, guidata dalla Russia, invierà truppe in Kazakistan per aiutare il governo a reprimere le proteste che da alcuni giorni sono in corso nel paese, e che hanno costretto il presidente Kassym-Jomart Tokayev a imporre lo stato di emergenza e a chiedere l’aiuto degli alleati ex sovietici. Il Kazakistan è un enorme paese dell’Asia Centrale con quasi 19 milioni di abitanti governato in maniera autoritaria fin dalla caduta dell’Unione Sovietica, dove le manifestazioni di dissenso sono assai rare.

L’annuncio dell’invio di truppe – ufficialmente con funzioni di peacekeeping, cioè di stabilizzazione e mantenimento dell’ordine – è stato fatto da Nikol Pashinyan, il primo ministro dell’Armenia, che è presidente di turno dell’alleanza militare di cui fanno parte anche Russia e Kazakistan, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO). Pashinyan ha scritto su Facebook che le truppe rimarranno in Kazakistan «per un periodo di tempo limitato».

La protesta, cominciata domenica a causa della decisione del governo kazako di eliminare il limite massimo al prezzo del GPL (gas di petrolio liquefatto), è diventata in poco tempo una rivolta più ampia contro il governo, considerato autoritario e corrotto. Tra gli obiettivi delle migliaia di manifestanti non c’è soltanto il presidente Tokayev, ma anche il suo predecessore Nursultan Nazarbayev, che ha governato il paese come una dittatura tra il 1990 e il 2019, ha scelto Tokayev come suo successore e continua a mantenere ampi poteri.

Alle proteste, il presidente Tokayev ha risposto con durezza: ha sciolto il governo, nominando a capo del nuovo esecutivo l’ex vice primo ministro Alikhan Smailov, ha dichiarato lo stato di emergenza, che prevede un coprifuoco e limitazioni ad alcune libertà, e ha ordinato alle forze di sicurezza di reprimere con violenza le proteste. Da mercoledì pomeriggio è stato inoltre bloccato l’accesso a Internet su tutto il territorio nazionale.

Ad Almaty, la città più grande del paese, ci sono stati gli scontri più duri: i manifestanti hanno occupato e dato alle fiamme l’edificio del comune, e per un certo periodo di tempo sono arrivati a occupare anche l’aeroporto, provocando l’interruzione dei voli.

Le forze di sicurezza hanno risposto con violenza, e in alcune circostanze avrebbero sparato direttamente sui manifestanti.

Non è chiaro quante persone siano rimaste ferite o uccise negli scontri. Il governo ha parlato di otto morti tra la polizia e le forze di sicurezza, e ha citato vagamente la possibilità che siano state uccise «decine» di manifestanti.