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  • Domenica 26 dicembre 2021

Boris Johnson sta fallendo

Non a causa dei continui piccoli scandali del suo governo, ma perché non sta realizzando le cose per cui era stato eletto, dicono alcuni analisti

(AP Photo/Matt Dunham)
(AP Photo/Matt Dunham)

Per il primo ministro britannico Boris Johnson gli ultimi due anni sono stati piuttosto intensi. Ha divorziato e si è sposato per la terza volta. Ha avuto due figli, il sesto e il settimo. Ha ottenuto un’amplissima vittoria elettorale per il partito Conservatore, si è malato gravemente di COVID-19, ha ospitato il G7 e la conferenza mondiale sul clima, e completato l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Dato che ne ha passate così tante, nelle ultime settimane diversi analisti e commentatori stanno provando a tracciare un bilancio del suo mandato da primo ministro: e i giudizi sono quasi tutti negativi. L’Economist lo reputa un primo ministro meno brillante di David Cameron, che viene ricordato soprattutto per la sconfitta al referendum su Brexit. L’Atlantic scrive che nemmeno i suoi alleati politici, in questo momento, lo definirebbero un buon primo ministro.

Il 15 dicembre il Guardian si era chiesto se Johnson sarebbe arrivato a Natale senza ulteriori scandali. La risposta è no, perché nel frattempo ce ne sono stati almeno altri due: le foto di una festa tenuta nella residenza del primo ministro durante il primo lockdown e le dimissioni a sorpresa del capo negoziatore di Brexit, David Frost.

Tralasciando le ultimissime notizie, le cause del brutto periodo di Johnson sembrano piuttosto profonde. «Ciò che rende disperati i suoi sostenitori è che si tratta più di uno stallo che di una crisi», scrive l’Economist: «Su molti fronti la rivoluzione promessa da Johnson nel 2019 durante i negoziati per Brexit e in campagna elettorale si è arenata. L’idea che il Johnsonismo potesse essere un nuovo modello di governo, come il Thatcherismo e il Blairismo, ora sembra malriposta».

(Hollie Adams/Pool via AP)

Johnson è sempre stato un politico peculiare, apparentemente più interessato al consenso personale che all’amministrazione. «Come ogni rivoluzionario che si rispetti, Johnson riteneva che i problemi irrisolvibili come le diseguaglianze fra le regioni del Regno Unito o l’immigrazione irregolare potessero essere risolti con la sola forza di volontà. La prudenza veniva minimizzata come pessimismo. “Governare è noioso”, ha raccontato un suo collega, “e per lui è faticosissimo”», nota ancora l’Economist.

Per un certo periodo sembrava che la forza delle sue idee fosse sufficiente per garantire al suo governo l’energia e il consenso necessari per tirare avanti.

Johnson era riuscito a imporsi come leader dei Conservatori e a stravincere le elezioni del 2019 puntando su alcune idee forti: l’idea di rendere il Regno Unito un paese sempre più proiettato fuori dall’Europa, capace di attirare le migliori aziende e talenti individuali da tutto il mondo, e di commerciare con chiunque; il rinnovamento della pubblica amministrazione con competenze diverse e più moderne, pescando fuori da Londra e dalle solite università; al contempo, una maggiore attenzione alle aree interne del paese, che avevano votato in massa per uscire dall’Unione Europea.

Su questi tre fronti, ritenuti dai commentatori i pilastri del “Johnsonismo”, non sono stati fatti dei passi avanti significativi e non sembra che ce ne saranno a breve.

Il Regno Unito è molto lontano dal diventare la Global Britain promessa da Johnson. Gli accordi commerciali con paesi come l’Australia e il Giappone non compenseranno minimamente le perdite economiche che deriveranno da Brexit, cioè da un legame commerciale meno forte con l’Unione Europea. Nel frattempo il Regno Unito non ha stretto accordi commerciali significativi né con gli Stati Uniti né tantomeno con la Cina, e l’accordo con l’India è assai simile a quello stretto soltanto quattro giorni dopo dall’Unione Europea.

La gestione del governo Johnson di Brexit ha anzi causato sempre più ostacoli al progetto di far diventare il Regno Unito un punto di riferimento mondiale per il libero mercato. Per quanto riguarda il reclutamento di lavoratori specializzati, per esempio, negli ultimi mesi il governo britannico ha cercato disperatamente migliaia di autotrasportatori e di allevatori di pollame, senza successo, proprio per via delle stringenti regole sull’immigrazione interna disposte dopo Brexit.

Nel frattempo, secondo le stime dell’Ufficio per la responsabilità del bilancio (OBR), un’agenzia indipendente del governo, il PIL britannico si sarebbe contratto dello 0,5 per cento nei primi quattro mesi del 2021 a causa della confusione e della riorganizzazione dovuta al nuovo accordo commerciale fra il Regno Unito e i paesi dell’Unione Europea, e a lungo termine Brexit costerà all’economia britannica circa il 4 per cento del PIL.

– Leggi anche: Le conseguenze di Brexit, finora

«Meno di un anno dopo il completamento dell’uscita del Regno Unito dall’UE, la promessa dei sostenitori di Brexit che un roseo futuro commerciale attendeva il Regno Unito nel mercato globale si è rivelata un sogno irrealizzabile», ha sintetizzato a metà dicembre un’analisi dello European Council on Foreign Relations (ECFR).

Il rinnovamento della pubblica amministrazione si è sostanzialmente bloccato dopo le dimissioni di Dominic Cummings, uno dei principali collaboratori di Johnson. Ci aveva investito moltissimo, spiegando che il governo avrebbe dovuto assumere «gente bizzarra, artisti, persone che non sono mai andate all’università e hanno lottato per venire fuori da un postaccio», oltre che «matematici, fisici, informatici, analisti dei dati» che «ragionino fuori dagli schemi». Oggi che Cummings è fuori dal governo da circa un anno, «quello che rimane delle sue proposte di riforme è convenzionale e condiviso», commenta l’Economist, lasciando intendere che senza uno sforzo deciso sia praticamente impossibile riformare la burocrazia britannica.

Per quanto riguarda investimenti e attenzioni alle aree interne, in due anni è stato fatto pochissimo. Un documento interno al governo che delineasse una strategia coerente è stato rinviato più volte e non è ancora uscito. I ministri del governo Johnson hanno posizioni diverse sul garantire maggiore autonomia decisionale agli enti locali.

Il governo non ha nemmeno messo a disposizione risorse efficienti per dimostrare che fa sul serio. Un ambizioso piano per collegare l’Inghilterra del nord e del centro con la ferrovia ad alta velocità, presentato a novembre, è stato assai depotenziato rispetto alle prime bozze. I sussidi per gli agricoltori presentati un anno fa sono stati molto inferiori rispetto a quelli previsti dalla PAC, la Politica Agricola Comune dell’Unione Europea.

Johnson potrebbe addurre di non essere ancora riuscito a realizzare la sua visione non perché le sue premesse fossero fragili, ma perché ha dovuto governare durante una pandemia e una crisi globale dei commerci. Per Johnson, quindi, potrebbe esserci ancora tempo per rimediare, spiega l’Atlantic.

La speranza, per come ne parla il sondaggista di Johnson, James Johnson, è che i britannici continuino a considerarlo una persona che fa le cose, anche se stanno diventando sempre più insofferenti per i suoi comportamenti.

Sebbene non abbia ancora subito una singola umiliazione che metta a rischio ciò che il suo governo è stato eletto per fare, potrebbe essere solo una questione di tempo: la storia dimostra che ostacoli del genere sono difficili da superare senza una vera strategia che li renda comprensibili da spiegare in una narrazione vincente. È quando i primi ministri si mettono nei guai da soli – oppure vengono percepiti come lontani dalle loro promesse – che sono davvero a rischio.