La longeva tradizione della musica mariachi in Messico

Storia del genere musicale diventato popolarissimo anche grazie al cantante Vicente Fernández, morto pochi giorni fa a 81 anni

Vicente Fernandez, al centro, si esibisce con il figlio Alejandro e il nipote Alex ai Latin Grammy Awards a Las Vegas, il 14 novembre 2019 (AP/ Chris Pizzello, archivo)
Vicente Fernandez, al centro, si esibisce con il figlio Alejandro e il nipote Alex ai Latin Grammy Awards a Las Vegas, il 14 novembre 2019 (AP/ Chris Pizzello, archivo)

Il 12 dicembre è morto a 81 anni Vicente Fernández, considerato l’ultimo grande cantante della canzone ranchera e della musica mariachi (si legge “mariaci”), il tradizionale genere musicale messicano diventato un simbolo della cultura del paese a livello internazionale. Fernández, soprannominato anche “el Rey” (il re) oppure “Chente”, dall’abbreviazione del suo nome, aveva contribuito a rendere popolarissimo uno stile di musica che ancora oggi è indispensabile nelle occasioni speciali in Messico e che peraltro fa anche parte della Lista dei Patrimoni Culturali Immateriali dell’UNESCO.

Nella sua carriera, Fernández ha registrato più di 100 album e venduto oltre 65 milioni di copie in tutto il mondo, ottenendo vari Grammy e Latin Grammy, gli importanti premi musicali dedicati alla musica latina. Nato il 17 febbraio del 1940 a Guadalajara, nello stato occidentale di Jalisco, ricevette la sua prima chitarra in regalo a 8 anni. Cominciò a esibirsi per strada e a 14 anni vinse il primo premio in un concorso amatoriale della sua città, iniziando così a suonare nei ristoranti e durante varie cerimonie nel suo stato, considerato il luogo in cui si sviluppò la musica mariachi.

Ebbe grande successo dopo essersi trasferito a Città del Messico negli anni Sessanta, e nel decennio successivo divenne famoso a livello internazionale grazie al brano Volver, Volver, del 1972. In più di 55 anni di carriera, fu conosciuto come uno dei più grandi artisti del genere con canzoni come El Rey, forse la sua più famosa, o Hermoso Cariño, che è stata ascoltata più di 82 milioni di volte su Spotify e come osserva BBC Mundo viene cantata ogni anno durante le celebrazioni della Madonna di Guadalupe, il cui culto è uno dei più importanti in tutta l’America Latina, e che si festeggia il 12 dicembre – lo stesso giorno della morte di Fernández.

In un lungo articolo dedicato alla grande rilevanza del genere, El País ha definito il mariachi «la massima espressione della epoca più recente del folklore messicano» e «un’istituzione simbolica non solo della musica, ma anche della cultura» del paese.

Il termine “mariachi” indica sia la persona che fa parte del gruppo di suonatori sia la banda e lo stile musicale, e compare per la prima volta associata alla musica in una lettera del 1852. Sull’origine del genere, che è antichissimo, ci sono varie teorie, ma si sa che nacque e si diffuse soprattutto nella parte occidentale del Messico, in particolare in quelli che oggi sono gli stati di Jalisco, Nayarit, Michoacán e Colima.

Dapprima la musica mariachi era legata agli ambienti umili e alle aree rurali, e combinava elementi della musica tradizionale dei popoli indigeni con quelli importati dagli spagnoli e con altre influenze. Poi a poco a poco diventò di moda anche negli ambienti borghesi, finendo con l’essere rivalutata, copiata e arricchita con elementi di altri generi, come il bolero e la cumbia, soprattutto dopo la Rivoluzione messicana di inizio Novecento.

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Generalmente una banda di mariachi è composta da almeno otto persone, che suonano rispettivamente due trombe, tre violini, una chitarra, una vihuela e un guitarrón, che sono due strumenti a corda tipici della tradizione folkloristica messicana, simili a chitarre. A volte i componenti sono di meno, mentre altre sono molti di più, e suonano anche strumenti diversi, come l’arpa o la fisarmonica.

I mariachi si distinguono anche perché si esibiscono in costume, con abiti che richiamano il vestiario del “charro”, il tradizionale cowboy messicano, che comprende pantaloni con fibbie e giacca corta coordinata, cravattino di seta e, molto spesso, il tradizionale cappello a tesa larga adornato.

La musica mariachi parla soprattutto di amore e di temi patetici come tradimenti, morte, vendette e ubriacature di tequila, ma anche di religione, della cultura del paese e degli eroi della rivoluzione messicana. La cultura mariachi è spesso anche associata al machismo e a una concezione svilente della donna: i mariachi sono praticamente sempre maschi, anche se le cose negli ultimi tempi stanno cambiando e ci sono alcune interpreti donne famose.

Come nel caso di Fernández, può esserci una voce principale, ma di norma tutti i membri possono cantare.

Per quanto il genere sia legato a radici umili, il mariachi contemporaneo cominciò a essere popolare a Città del Messico a partire dagli anni Venti, diventando un simbolo del nazionalismo: i presidenti cominciarono ad assoldare bande di mariachi per accompagnare gli eventi politici, e nei decenni successivi la radio e il cinema contribuirono a far diventare popolare lo stile e la sua cultura, facilitando la contaminazione con altri generi e il successo commerciale anche all’estero.

Ancora oggi le canzoni dei mariachi sono indispensabili nelle celebrazioni più importanti, dagli eventi familiari a quelli ufficiali, e sono elementi culturali popolarissimi anche nel cinema e nelle serie TV. In Plaza Garibaldi, un noto luogo di ritrovo di Città del Messico, si può ancora ingaggiare una banda di mariachi che suoni per serenate e occasioni speciali.

Dal 24 novembre del 2011 la musica mariachi è inserita nella Lista dei Patrimoni Culturali Immateriali dell’Umanità dell’UNESCO per la sua capacità di trasmettere «valori che incoraggiano il rispetto del patrimonio naturale dei territori messicani e della storia locale, sia in spagnolo che nelle diverse lingue indigene della parte occidentale del paese».

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