• Konrad
  • Martedì 30 novembre 2021

L’Unione Europea ha un piano contro gli investimenti della Cina in Africa

Verrà presentato in settimana e prevede l’investimento di 300 miliardi di euro da qui al 2027, secondo le bozze citate da Politico

La sede della Commissione Europea (Sean Gallup/Getty Images)
La sede della Commissione Europea (Sean Gallup/Getty Images)

Lunedì i capi di dipartimento della Commissione Europea hanno approvato il Global Gateway, un imponente piano di investimenti esteri con cui l’Unione Europea intende contrastare l’influenza della Cina nell’economia globale. Il Global Gateway prevede l’investimento di circa 320 miliardi di euro da qui al 2027 per finanziare servizi e infrastrutture in vari paesi del mondo: verrà presentato mercoledì, ma diversi giornali ne hanno già anticipato i punti principali.

Il Global Gateway è stato annunciato lo scorso 15 settembre dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Il piano non menziona esplicitamente la Cina, ma che l’obiettivo finale sia quello di contrastarne l’influenza è opinione condivisa e ripresa da diversi analisti e giornali internazionali.

In particolare, il Global Gateway punta a contrastare l’influenza guadagnata dalla Cina a livello globale attraverso la Belt and Road Initiative, nota anche come “nuova via della seta”, cioè l’enorme programma di investimenti cinesi per la costruzione di infrastrutture commerciali in circa 70 paesi del mondo, considerato da alcuni esperti lo strumento con cui la Cina intende influenzare alcuni dei paesi più poveri al mondo anche dal punto di vista politico ed economico. Non è l’unico programma della Cina in questo senso: nei paesi europei la Cina ha promosso anche la formazione del gruppo 17+1, il progetto di cooperazione per affari e investimenti tra la Cina e alcuni paesi dell’Europa centro-orientale, considerato come uno degli elementi cardine dell’influenza cinese in Europa.

Il Global Gateway, per capirci, potrebbe essere definito una specie di ambiziosa “via della seta europea”.

Nel concreto, il piano prevede l’investimento di circa 300 miliardi di euro tra fondi pubblici e privati, da investire entro il 2027 in diversi paesi del mondo per costruire infrastrutture fisiche come autostrade, reti elettriche e impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, oltre che per sostenere servizi come sanità e istruzione. La cifra totale, se confermata, sarà comunque circa un quarto di quanto la Cina dovrebbe spendere per la Belt and Road Initiative da qui al 2027.

Secondo le anticipazioni di Politico e del Financial Times, basate sulla lettura del piano, dei 323 miliardi circa 135 arrivano dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD), un fondo della Commissione Europea per i finanziamenti esteri per lo sviluppo sostenibile, e altri 25 dalla Banca europea per gli Investimenti, l’istituzione comunitaria che finanzia gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi politici dell’Unione Europea. Ci sono poi circa 18 miliardi che arrivano da programmi europei di assistenza esterna e circa altri 145 miliardi di euro, quindi quasi la metà dei fondi per il piano, provenienti da altre istituzioni europee per lo sviluppo, per ora non specificate. 

Non si conoscono ancora i dettagli sui paesi destinatari degli investimenti né su come verranno gestiti, ma è comunque possibile farsi qualche idea preliminare.

Le anticipazioni parlano per esempio di ingenti investimenti per la produzione di energie rinnovabili in Africa: pare che l’Unione Europea utilizzerà circa 2,4 miliardi di euro nell’Africa subsahariana e circa 1 miliardo di euro in Nord Africa per sostenere la produzione dell’idrogeno rinnovabile, l’idrogeno cioè prodotto da fonti rinnovabili e la cui produzione è priva di emissioni CO2, detto anche “idrogeno pulito” o “idrogeno verde”.

L’investimento sarebbe vantaggioso per entrambi i partner: l’importazione di idrogeno rinnovabile permetterebbe all’Unione Europea di velocizzare il proprio raggiungimento della neutralità climatica, cioè il saldo zero di emissioni nette (come detto dalla stessa von der Leyen, le infrastrutture finanziate dal Global Gateway dovranno soddisfare gli obiettivi climatici dell’Unione Europea). Da parte loro, i paesi destinatari degli investimenti potranno esportare l’idrogeno rinnovabile, guadagnando, e approfittando di prezzi e pratiche burocratiche vantaggiose. Politico dice che il piano parla anche della possibilità di creare uno strumento europeo di credito volto proprio a sovvenzionare le esportazioni, per facilitarle.

In Africa, tra l’altro, gli investimenti cinesi non hanno sempre avuto buoni risultati e non hanno sempre portato, per varie ragioni, a un reale arricchimento degli stati destinatari: con il Global Gateway, l’Unione Europea ambisce a proporsi come alternativa, non solo favorendo l’esportazione di energie rinnovabili, ma sostenendo lo sviluppo di infrastrutture e tecnologie locali di cui possano beneficiare i paesi partner, incoraggiandone al contempo la transizione ecologica.

– Leggi anche: Le “emissioni zero”, spiegate bene

Con il Global Gateway l’Unione Europea punta a guadagnare un ruolo primario negli investimenti globali, cercando di diventare un partner particolarmente attraente dal punto di vista economico. Ma l’Unione Europea punta anche a contrapporsi alla Cina dal punto di vista etico: come anticipato da Ursula von der Leyen a settembre, quando annunciò il piano, e come ribadito nel piano stesso, il Global Gateway punta a «creare legami, e non dipendenze» coi paesi esteri destinatari degli investimenti, al contrario di come agisce la Cina.

La proposta della Commissione andrà esaminata anche dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea, cioè l’organo in cui sono rappresentati i 27 governi nazionali dell’Unione, che però non dovrebbero mettersi eccessivamente di traverso: l’opposizione politica ed economica alla Cina è uno dei rari punti di contatto trasversali sia all’interno dell’Unione sia con gli altri partner occidentali, come gli Stati Uniti.