Il luminoso presente dei film in bianco e nero

Anche quest'anno ce n'è uno che punta all'Oscar, e forse è un segno del fatto che non se ne andranno mai

Per molti il bianco e nero nel cinema è legato soprattutto al passato, a qualcosa da guardare con ammirazione e nostalgia o che invece fa sbuffare o sbadigliare in quanto noioso e pretenzioso. Comunque, il passato. Diversi esempi recenti mostrano invece che il bianco e nero è una rilevante parte del cinema contemporaneo, e perfino di qualche serie. Per motivi e con obiettivi tra loro molto diversi, a volta perfino opposti, a usarlo sono insomma in tanti: c’è chi lo sceglie per cercare maggior realismo e chi per evocare un mondo immaginario; chi lo usa per farci concentrare di più sulle immagini e chi per toglierci distrazioni cromatiche, chi per film d’azione, chi per raccontare drammi o commedie. E tra chi lo sceglie ci sono registi tra loro parecchio diversi come Wes Anderson e Joel Coen.

Tra gli altri, se ne sono accorti il New York Times, che ha parlato di un “boom del bianco e nero”, e Vox, che ha scritto: «ritrovandosi ora in un cinema, un viaggiatore nel tempo in arrivo dal 1921 avrebbe molto di cui stupirsi (i sedili reclinabili! il suono surround!), ma si chiederebbe anche perché il colore non abbia poi avuto così tanto la meglio». Sempre Vox ha aggiunto che «di recente c’è stato un inequivocabile aumento dei film in bianco e nero» e che in particolare si è fatto notare questo ultimo anno.

In effetti, tra i film del 2021 (la maggior parte dei quali ancora deve uscire in Italia) ci sono molti indizi che fanno una prova. È quasi tutto in bianco e nero Belfast, il film di Kenneth Branagh in odore di Oscar. Sono in bianco e nero il film Due donne – Passing, da poco disponibile su Netflix, e The Tragedy of Macbeth, scritto e diretto da Joel Coen (per la prima volta senza il fratello Ethan). È in bianco e nero C’mon C’mon, con Joaquin Phoenix protagonista, e sono in bianco e nero alcune scene di The French Dispatch e di Being the Ricardos, rispettivamente diretti da Anderson e Sorkin.

Prima ancora, ma sempre in questo secolo, c’erano stati tra gli altri: Malcom e Marie, con Zendaya e John David Washington; Gunda, un documentario su una scrofa, due mucche e una gallina con una zampa sola; Mank e Roma, coi quali Netflix puntò al bersaglio grosso degli Oscar; e The Artist, che l’Oscar lo vinse. E ancora: Frances Ha, Nebraska, Cold War, The Lighthouse, A Girl Walks Home Alone at Night, Time, El abrazo de la serpiente The Eyes of My Mother. A cui si aggiungono le non poche versioni in bianco e nero di film che prima erano usciti a colori: è successo con Parasite e con Mad Max: Fury Road (la cui versione black and chrome è la preferita di George Miller, che pare volesse farlo così sin dall’inizio), ma anche con Logan Noir e Justice League: Justice Is Gray, le versioni in bianco e nero di due film di supereroi.

In questi anni il bianco e nero è stato scelto per opere prime e piccoli progetti indipendenti, ma anche per film ad alto budget e, seppur solo dopo, grandi blockbuster d’azione. E c’è del bianco e nero anche altrove: nella serie Marvel WandaVision, nella serie HBO Watchmen, e pure in Lucifer, Pretty Little Liars, Smallville e Black Mirror.

È sbagliato parlare di un ritorno del bianco e nero, il quale a ben vedere non se ne era mai davvero andato, e che quasi fin da subito dovette fare i conti con il colore.

Come mostra e racconta il libro Fantasia of Color in Early Cinema già nell’Ottocento una rilevante quota dei film proiettati era in qualche modo tinta o colorata: «dal 1895 fino all’arrivo del sonoro la maggior parte delle persone vide film colorati» ha scritto Vox, «pensiamo al Viaggio nella Luna di Georges Méliès o all’horror Il gabinetto del dottor Caligari come a film in bianco e nero, ma in realtà al tempo ne furono mostrate versioni colorizzate».

Oltre alle pellicole colorate (peraltro, spesso da artiste donne), già tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento furono sviluppate tecniche per girare a colori: nel 1908 arrivò il Kinemacolor e già nel 1914 il ben più famoso Technicolor, usato per la prima volta in alcune scene di The Gulf Between, un film muto del 1917. The Viking, il primo lungometraggio tutto in Technicolor – una tecnologia che fu usata fino al Padrino – Parte II – è invece degli anni Venti. Più in generale, nei primi decenni del cinema, le tecniche e le tecnologie usate per avere immagini colorate furono tantissime. Ci furono iniziali difficoltà nel conciliare sonoro e colore, ma alla fine ci si riuscì.

– Leggi anche: Quando Chaplin parlò

Se il sonoro rese subito obsoleto il cinema muto, lo stesso non si può dire per il colore. Per molti decenni colore e bianco e nero riuscirono a coesistere. Un po’ perché per molto tempo il bianco e nero continuò a costare meno, un po’ perché certi registi e perfino certi produttori continuarono a preferirlo. «Dal 1939 al 1967 vennero assegnati», come fa notare Vox «due Oscar per la miglior fotografia, uno per quella a colori e un altro per quella in bianco e nero». Ancora verso la metà degli anni Cinquanta, «più o meno un film di Hollywood su due era in bianco e nero», e prima di The Artist e di Schindler’s List l’ultimo film in bianco e nero a vincere l’Oscar per il miglior film era stato, nel 1961, L’appartamento di Billy Wilder.

Alla lunga il colore prevalse perché era più efficace nei film che andavano per la maggiore (per esempio i colossal), perché costò sempre meno e perché – insieme agli schermi sempre più grandi, ai suoni sempre più potenti, ai sedili sempre più comodi e agli effetti sempre più speciali – fu uno dei modi con cui il cinema provò a tenere testa alla tv. Negli anni Settanta il colore divenne largamente prevalente, non solo a Hollywood, ma per quanto riguarda il colore è sbagliato pensare a un prima e dopo nel cinema. Via col vento, del 1939, è a colori. Il settimo sigillo, del 1959, è in bianco e nero. Psyco uscì nel 1960 ed è in bianco e nero; e anche Il Mago di Oz nel 1939 aveva i colori.

Detto che il colore c’è sempre stato e che il bianco e nero ha sempre resistito, è comunque indubbio che stia andando più forte rispetto a qualche anno fa. Non esiste un solo motivo per spiegare il perché, e come anticipato qualche paragrafo fa le ragioni sono varie, con diverse sfumature. Si può tuttavia provare a elencare una serie di motivi per cui, in alcuni casi, si sceglie il bianco e nero. Anche oggi che per fare un film in bianco e nero lo si gira quasi sempre a colori, in digitale, e lo si fa diventare in bianco e nero solo dopo, in postproduzione.

Spesso e molto semplicemente, il bianco e nero è scelto per evocare il passato. Perché sebbene ovviamente non lo fossero, certi momenti nel passato ai nostri occhi e nella nostra memoria sono senza colori. Può quindi succedere che se si vuol raccontare qualcosa avvenuto negli anni Venti del Novecento, si scelga di farlo in bianco e nero, per provare a portare gli spettatori indietro nel tempo. Un’altra sfumatura riguarda invece il voler omaggiare e quasi emulare lo stile, le tecniche e l’estetica del cinema del passato. Il neorealismo italiano e la Nouvelle Vague francese erano (spesso per assenza di alternative) in bianco e nero. Per fare film che ammiccano a quelle correnti cinematografiche si sceglie quindi il bianco e nero.

È parte del motivo per cui è in bianco e nero Mank, sullo sceneggiatore di Quarto Potere, anch’esso in bianco e nero. E sembra avere ragioni simili la scelta fatta da Anderson per alcune scene di The French Dispatch o da Coen per The Tragedy of Macbeth, che secondo Vox «usa il linguaggio visivo di registi che lavorarono con le scale di grigio, in particolare l’espressionismo tedesco degli anni Venti del Novecento».

Il bianco e nero può anche essere una scelta legata al tipo di film: nella fantascienza viene comprensibilmente scelto di rado, mentre è parecchio più facile che succeda nel noir.

Altre volte, il bianco e nero è usato per rendere visivamente certe distinzioni, un po’ come capita che succeda quando certe scene – spesso quelle ambientate nel passato – stanno nello schermo con un formato diverso da quello a cui siamo abituati. Il bianco e nero può quindi essere il ricordo, il sogno, l’incubo o la fantasia.

In molti altri casi è scelto invece a prescindere dal periodo che si vuole raccontare, con lo scopo di usarlo per veicolare un certo messaggio o servire meglio il racconto. In Passing (comunque ambientato un secolo fa) serve per esempio a rendere più ambigue certe premesse relative a due donne nere che si fanno passare per bianche e, al contempo, a rendere più esplicite certe considerazioni su quel che viene mostrato.

Nel più semplice dei livelli il bianco e il nero permette inoltre di rappresentare il bene, il male, ed eventuali chiaroscuri tra l’uno e l’altro. Darth Vader veste tutto di nero e anche da quello si capisce che è malvagio, mentre delle barbe bianche di Gandalf o Albus Silente si tende invece a fidarsi. Nel Settimo Sigillo, la Morte ritiene che giocare con i pezzi neri le «si addice».

Eduard Grau, direttore della fotografia di Passing, ha raccontato che prima delle riprese tolse i colori dal suo iPhone, così da abituarsi all’estetica del bianco e nero: «per allenare il cervello a dimenticare i verdi e i rosa e notare solo i livelli di oscurità e luminosità», e che non aveva mai girato una scena tanto illuminata quanto la prima di Passing.

Nello spiegare perché scelse di rinunciare al colore per Schindler’s List (tranne che per un cappotto rosso), Steven Spielberg disse: «l’Olocausto era vita senza luce. Per me il simbolo della vita è il colore. Un film sull’Olocausto doveva essere in bianco e nero».

Spesso il bianco e nero è poi una questione estetica. Perché permette di agire per sottrazione e attirare l’attenzione su luci e ombre, ma anche su forme, linee ed espressioni dei volti. Haris Zambarloukos, direttore della fotografia di Belfast, ha parlato del bianco e nero come qualcosa di «realistico, ma con qualcosa di magico» e ha aggiunto: «tutto il film è illuminato come fosse un concerto di Beyoncé, cosa che crea ombre molto molto dure. A colori sarebbero insopportabili, ma così sono stupende».

A proposito invece di realismo e “qualcosa di magico”, anche qui, per il bianco e nero non è tutto o bianco o nero. Qualcuno lo sceglie infatti per il contrario del realismo, cioè per ricordare sempre che quello che si sta vedendo è un film, visto che la maggior parte di noi è abituata a vedere immagini a colori. In questo senso, la scelta è quella di straniare un poco gli spettatori. «Serve a dare teatralità» ha detto Bruno Delbonnel, direttore della fotografia per The Tragedy of Macbeth, «a uscire dal tempo».

Ma c’è anche chi pensa che togliendo distrazioni cromatiche, il bianco e nero permetta di concentrarsi meglio sui personaggi, parole e storia. C’è chi ritiene, per esempio, che i film facciano più paura in bianco e nero perché esistono meno appigli per evitare lo spavento. Allo stesso tempo, è però innegabile che certe cose – per esempio un prato verdeggiante – a colori sono oggettivamente molto meglio.

Infine, non è da escludere che alle volte il bianco e nero sia scelto per fare un po’ i sofisticati, per darsi un tono. Parlando della versione in bianco e nero del suo Parasite il sempre piuttosto schietto e scherzoso Bong Joon Ho disse: «forse è solo vanità, ma se penso ai classici sono tutti in bianco e nero, quindi ho pensato che se facevo diventare in bianco e nero i miei film, allora sarebbero diventati classici».

In effetti, come dice Thomas Flight in un video che analizza proprio pro e contro della versione in bianco e nero di Parasite, «i film in bianco e nero tendono a sembrare classici senza tempo perché la maggior parte dei film in bianco e nero che abbiamo visto sono classici senza tempo».

Proprio nel recensire la versione senza colori di Parasite, Peter Bradshaw scrisse invece sul Guardian: «c’è qualcosa di sorprendente in questa versione, ed è che mi ha fatto tornare la voglia di vedere ancora il film, a colori».