Blue Origin vuole costruire una stazione spaziale

Orbital Reef aprirà alle attività commerciali in orbita: parteciperanno aziende e istituzioni, ma costi e tempi sono ancora incerti

di Emanuele Menietti – @emenietti

Orbital Reef in un'elaborazione grafica (Blue Origin)
Orbital Reef in un'elaborazione grafica (Blue Origin)

Blue Origin, l’azienda spaziale del miliardario Jeff Bezos, ha da poco annunciato un ambizioso progetto per la costruzione di Orbital Reef, una nuova stazione orbitale intorno alla Terra. I suoi moduli potranno essere utilizzati per iniziative di ricerca e industriali, collaborazioni tra diverse aziende pubbliche e private. Il piano è visto come un nuovo sviluppo nell’evoluzione dell’industria spaziale, che per le attività nell’orbita terrestre si sta sempre più spostando dagli investimenti pubblici a quelli del settore privato.

Orbital Reef
Orbital Reef avrà dimensioni paragonabili a quelle della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), da oltre 20 anni il più importante laboratorio scientifico al di fuori del nostro pianeta. Potrà ospitare un equipaggio di dieci persone, che vivranno in varie aree dedicate alla vita di tutti i giorni, alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi sistemi di produzione nella microgravità, la condizione in cui oggetti e persone sembrano essere privi di peso.

Alla costruzione di Orbital Reef parteciperà Sierra Space, una società controllata da Sierra Nevada Corporation, azienda statunitense che si occupa di soluzioni per il trasporto cargo e di equipaggi in orbita e per la loro permanenza nello Spazio. Sierra Space è conosciuta soprattutto per avere avviato lo sviluppo di Dream Chaser, una sorta di Space Shuttle in miniatura che nelle intenzioni dell’azienda dovrebbe rendere più frequenti i voli spaziali verso la ISS e altre destinazioni in orbita, come nuove stazioni spaziali.

Il nuovo progetto comprende varie altre aziende, compresa Boeing, che sta sviluppando ormai da diversi anni una propria capsula per il trasporto degli astronauti in orbita per conto della NASA e di altre agenzie spaziali.

Il sistema, chiamato Starliner, ha però dato finora risultati deludenti e deve entrare ancora in servizio, in sensibile ritardo rispetto alla capsula da trasporto Crew Dragon di SpaceX, che ha già iniziato a trasportare gli equipaggi verso la ISS consentendo agli Stati Uniti di tornare a effettuare lanci con equipaggi dal proprio suolo, dopo dieci anni di pausa in seguito al pensionamento degli Space Shuttle (per raggiungere la ISS, gli astronauti dovevano farsi dare un costoso passaggio dalle Soyuz del programma spaziale russo).

La capsula spaziale Crew Dragon “Resilience” collegata al razzo Falcon 9 (SpaceX)

I privati fanno da sempre parte delle attività spaziali della NASA e delle altre principali agenzie spaziali, ma con appalti e commissioni per progetti organizzati e gestiti dai governi. Negli ultimi anni si è invece passati a un approccio diverso, con le aziende che si occupano di buona parte degli aspetti organizzativi e gestionali, fornendo servizi completi alle agenzie spaziali che possono risparmiare tempo e grandi quantità di denaro, concentrandosi su altro.

Quanto e quando
Nonostante l’annuncio dato con toni molto enfatici, ci sono ancora numerosi dettagli da chiarire su tempi, costi e funzioni di Orbital Reef. Nel corso di una conferenza stampa, i responsabili di Blue Origin hanno sostenuto che la stazione manterrà una certa flessibilità nell’organizzazione degli spazi per svolgere varie attività.

L’azienda metterà a disposizione i moduli, il trasporto del materiale e degli equipaggi, le proprie conoscenze tecnologiche e altri servizi, mentre spetterà ai clienti programmare le attività a bordo.

I responsabili del progetto non hanno però fornito stime su quanto costerà la realizzazione di Orbital Reef, sostenendo che dettagli sui prezzi per le aziende e le istituzioni che vorranno partecipare saranno comunicati in un secondo momento. Sui costi incideranno modalità e tempi con cui sarà costruita la nuova stazione spaziale, non ancora noti.

In linea di massima, il trasporto del materiale e degli equipaggi avverrà tramite Dream Chaser e Starliner, due sistemi non ancora pronti. Mentre lo sviluppo di Starliner è quasi completato, seppure con notevoli ritardi, quello di Dream Chaser è in corso e lo spazioplano non ha finora lasciato la Terra. Sierra Space confida di avviare i primi test durante il prossimo anno, ma dovrà coordinarsi con gli altri soggetti che collaborano al progetto.

Dream Chaser non è potente a sufficienza per raggiungere l’orbita da solo. Per farlo ha bisogno di essere montato su un razzo, che gli dia la giusta spinta per vincere la forza di gravità terrestre. In una prima fase potrà utilizzare i razzi Atlas V di United Launch Alliance (ULA), azienda spaziale frutto di una collaborazione tra Lockheed Martin e Boeing, mentre in un secondo momento i razzi Vulcan Centaur, che però non saranno sperimentati prima del prossimo anno da ULA.

Al ritorno sulla Terra, Dream Chaser potrà invece fare tutto da solo, compiendo il rientro nell’atmosfera e planando poi per atterrare come un aeroplano, proprio come facevano gli Space Shuttle.

Dream Chaser (Sierra Space)

Prima di raggiungere Orbital Reef sarà naturalmente necessario costruirla, e per farlo servirà un razzo potente a sufficienza per portare in orbita i moduli pesanti e ingombranti che assemblati formeranno gli ambienti della stazione spaziale. Blue Origin sostiene di poterli trasportare facilmente con il suo nuovo razzo New Glenn, ma c’è un dettaglio non indifferente: New Glenn non ha ancora compiuto nemmeno un volo sperimentale ed è ancora in una fase di sviluppo, per quanto avanzata.

Una volta completato, il nuovo razzo avrà la capacità di trasportare a ogni lancio fino a 45 tonnellate di materiale in orbita bassa, quella dove si troverà la stazione spaziale a 500 chilometri dalla Terra. Il razzo sarà alto quasi 100 metri, quanto un palazzo di 30 piani, e sarà il più grande e potente mai costruito da Blue Origin. La società di Bezos per ora utilizza solamente il più piccolo New Shepard per far sperimentare per qualche minuto la microgravità ai suoi passeggeri, ma senza compiere un volo orbitale. Blue Origin non ha comunque escluso che altre aziende potranno contribuire al trasporto in orbita dei componenti meno pesanti di Orbital Reef.

Stazioni spaziali
Il nuovo progetto può apparire come un caso isolato e per questo poco significativo, se non privo di senso, ma in realtà è parte di un piano più ampio che potrebbe cambiare la gestione delle attività spaziali in orbita bassa.

Nel 2020 la NASA aveva incaricato l’azienda spaziale Axiom di sviluppare almeno un modulo abitabile da collegare alla Stazione Spaziale Internazionale, e che in un secondo momento potrebbe essere impiegato per allestire una nuova stazione, in grado di essere completamente autonoma e scollegata dalla ISS.

Quest’anno la NASA ha invece avviato l’iniziativa Commercial Low Earth Orbit Development (CLD), un programma che ha l’obiettivo di incentivare la progettazione e lo sviluppo di nuove stazioni spaziali private. La parte iniziale di CLD prevede lo stanziamento di 400 milioni di dollari per finanziare la progettazione di 2-4 basi orbitali nel corso dei prossimi anni. In appena otto mesi dal lancio di CLD, la NASA ha ricevuto una decina di proposte da valutare.

Il programma è visto come un primo passo verso la fine degli impegni della NASA e di altre agenzie spaziali nel mantenere la Stazione Spaziale Internazionale, che un giorno potrà essere sostituita da un certo numero di stazioni orbitali gestite dai privati con collaborazioni con gli enti governativi (la Cina sta seguendo una direzione opposta, e ha da poco avviato la costruzione di una propria stazione). La ISS è del resto in orbita da più di 20 anni e inizia a dimostrare la propria età, nonostante i numerosi lavori di manutenzione svolti per mantenerla attiva. Sarà ancora utilizzata almeno fino al 2024 e ci sono concrete possibilità di un’ulteriore estensione fino al 2028, ma il suo mantenimento è comunque costoso.

La Stazione Spaziale Internazionale, con la Terra sullo sfondo (NASA)

La NASA spende tra i 3 e i 4 miliardi di dollari ogni anno per la ISS. L’alternativa privata consentirebbe di ridurre i costi, permettendo al tempo stesso alla NASA e alle altre agenzie spaziali di concentrarsi nell’esplorazione dello Spazio profondo con esseri umani, oltre la Luna e verso Marte.

I privati saranno comunque coinvolti anche in questi progetti, a cominciare dal programma Artemis per tornare sulla Luna con il primo allunaggio di un’astronauta. SpaceX ha di recente ricevuto un contratto da 2,9 miliardi di dollari per mettere a punto un sistema per raggiungere il suolo lunare, partendo da Starship, la grande astronave che il CEO della società, Elon Musk, ritiene che potrà anche essere utilizzata un giorno per raggiungere Marte. Blue Origin ha presentato un ricorso contestando la scelta della NASA, che aveva invece escluso una sua proposta. Il contenzioso è ancora in corso e mostra quanto sia agguerrito Bezos nella nuova corsa allo Spazio che coinvolge alcune delle persone più ricche del pianeta.

Bezos aveva del resto le idee abbastanza chiare già da giovane. A 18 anni disse che avrebbe voluto costruire alberghi, parchi divertimento e colonie per milioni di persone in orbita, in modo da trasformare la Terra in una sorta di enorme area naturalistica per preservarla. Un paio di anni dopo fondò Amazon, società che ha avuto un enorme impatto nel settore delle vendite online, secondo alcuni con effetti per lo meno in contraddizione con l’idea di preservare il nostro pianeta.

Orbital Reef non risolverà quei problemi, ma potrebbe essere una prima dimostrazione pratica di un futuro in orbita immaginato 40 anni fa.