Il mondo del bridge contro un italiano

Fulvio Fantoni fu squalificato quando era il più forte, con l'accusa di avere imbrogliato: poi è stato riammesso, ma i suoi avversari internazionali lo stanno boicottando

di Gabriele Gargantini

(Bruno Vincent/Getty Images)
(Bruno Vincent/Getty Images)

A fine agosto la European Bridge League, l’organizzazione che riunisce le federazioni nazionali europee del gioco di carte del bridge, ha organizzato una serie di partite tra varie rappresentative nazionali. In quella italiana c’era anche Fulvio Fantoni, che fino a qualche anno fa era uno dei più forti bridgisti al mondo, ma che dal 2015 – quando era primo nel ranking mondiale – era uscito dal giro dopo essere stato accusato di imbrogliare durante le partite. Era stato squalificato, e poi riammesso dopo l’annullamento della squalifica. Quelle di fine agosto avrebbero dovuto essere le sue prime importanti partite internazionali dopo anni, ma non è stato così: una dopo l’altra, tutte e trenta le squadre che avrebbero dovuto giocare contro di lui si sono rifiutate di farlo.

Fantoni è stato difeso da varie importanti figure del bridge italiano, secondo cui è in atto una specie di complotto ai suoi danni, portato avanti dai molti avversari internazionali che aveva battuto quando era tra i migliori al mondo. «Io non ho rubato mai niente» dice al Post Fantoni, anche lui convinto che il boicottaggio nei suoi confronti dipenda dal fatto che gli altri lo temono come avversario. Quella che lo riguarda è una vicenda controversa, e che contiene e spiega piuttosto bene vari problemi del bridge contemporaneo, legati agli imbrogli e ai presunti tali, ma anche a come è cambiata la disciplina da quando ha iniziato ad attrarre ricchi sponsor internazionali.

Quel che è successo alla European Bridge League si è fatto notare anche fuori dalla nicchia del bridge, perfino dal New Yorker che ci ha scritto attorno un lungo articolo intitolato “Il grande boicottaggio del bridge”. Fantoni si lamenta del fatto che il New Yorker gli abbia lasciato «poche ore» per rispondere all’articolo, uscito mentre era impegnato in alcune partite nazionali di bridge. La sua partecipazione al torneo incriminato peraltro era dovuta a una cortesia personale.

Il bridge, il cui nome pare derivare dal fatto che nel Diciannovesimo secolo certi soldati britannici fossero soliti attraversare un certo ponte di Istanbul per andare a giocarci, si gioca due contro due con un mazzo di 52 carte (quindi senza i jolly). In estrema sintesi, il suo meccanismo di base è quello della risposta a seme. All’inizio di ogni partita i quattro giocatori hanno 13 carte a testa: ne giocano una per turno, con l’obiettivo di fare più punti degli avversari, giocando e prendendo le carte giuste.

Una particolarità del gioco è che prima di ogni partita, ma dopo che le carte sono state distribuite, c’è un momento in cui ogni giocatore valuta e dichiara quante prese pensa di poter fare sulla base delle carte che ha in mano. La dichiarazione funziona un po’ come un’asta, nel senso che alla dichiarazione del primo giocatore il secondo può rilanciare dichiarando di poter fare più prese. Nel bridge agonistico (ne esistono varianti semplificate e approcci più rilassati) i giocatori di una stessa squadra non possono parlarsi, e per capire quale sia la migliore strategia di squadra devono basarsi su quanto dichiarato durante l’asta, conoscere a fondo lo stile di gioco del compagno e memorizzare le carte giocate.

Per come funziona, il bridge è un gioco che, come ha scritto il New Yorker, «rende facile barare e difficile individuare chi bara». E infatti la sua lunga storia è piena di casi di brogli veri o quantomeno presunti, diversi dei quali messi in atto da giocatori italiani.

Un’immagine del 1957 (Keystone/Getty Images)

Forse il più noto riguarda il “Blue Team”, il nome con cui è conosciuta nel mondo (bridgistico) la rappresentativa italiana che vinse 13 titoli mondiali tra gli anni Cinquanta e Settanta, 10 dei quali consecutivi, e che finì al centro di una lunga serie di accuse. È soltanto uno dei vari episodi della storia del bridge raccontati negli anni con toni romanzeschi, sotto a nomi come “battaglia dei sessi”, “battaglia dei giganti” e “battaglia del secolo”. Ci sono perfino un paio di celebri delitti legati al bridge, anche se furono molto più frequenti, fortunatamente, i casi in cui più semplicemente qualcuno imbrogliò platealmente.

Molte di queste storie sono state raccontate dal sito infobridge.it, gestito da Marco Troiani, un ex dirigente d’azienda ora in pensione da diversi anni, che si definisce «storico, studioso e statistico del bridge». Troiani spiega che è ormai qualche anno che è «lontano dal bridge giocato» e che comunque quando ci giocava lo faceva «per studiarlo». Racconta che nella storia i bridgisti «si sono inventati di tutto» per barare e fa l’esempio del «famoso segnale dell’ascensore», in cui i giocatori si scambiavano informazioni attraverso l’altezza a cui tenevano le carte.

Un po’ come succede in certi sport con il doping e l’antidoping, anche nel bridge è capitato che dopo qualche eclatante caso di presunto imbroglio, truffa o raggiro si prendesse una nuova precauzione, in una costante rincorsa fatta di mosse e contromosse. Già da alcuni decenni, per esempio, i tavoli delle competizioni più importanti sono divisi da sipari che impediscono a ogni bridgista di vedere il suo compagno, lasciando scoperta solo la parte del tavolo con uno dei due avversari.

Un’immagine fornita dalla Federazione Italiana Gioco Bridge

I tavoli sono spesso divisi anche sotto, per evitare contatti tra i piedi dei giocatori, dopo quanto successo nel 1975 al Bermuda Bowl (il nome dei Mondiali maschili di bridge, dal luogo in cui nel 1950 si organizzò la loro prima edizione). Pare infatti che quell’anno gli italiani Gianfranco Facchini e Sergio Zucchelli si toccassero i rispettivi piedi per darsi segnali sulle proprie carte (“pare” perché Zucchelli sostenne di avere mosso i suoi, di piedi, solo per nervosismo).

– Leggi anche: Il caso di doping nel bridge

Ma anche se non ci si può parlare e anche ora che non ci si vede in faccia, i modi per riuscire a barare non mancano. Troiani cita per esempio il caso di «un giocatore americano accusato di avere una tosse sospetta» durante la partita. Sempre secondo Troiani, spesso però «non c’è niente da fare», perché «il bridge è un gioco che non permette riscontro». In altre parole, in molti casi non c’è modo di provare con sufficiente certezza se, come e con quale efficacia qualcuno abbia effettivamente barato.

Le cose però sono in parte cambiate negli ultimi anni, perché grazie a internet e alle partite registrate certi esperti hanno potuto osservare e analizzare nel dettaglio le partite di alcuni giocatori. È quello che successe nel 2015 con le partite di Fantoni e del suo compagno di gioco Claudio Nunes (entrambi italiani, anche se allora gareggiavano per la squadra del Principato di Monaco). Fantoni e Nunes erano rispettivamente primo e secondo nel ranking mondiale del bridge, e talvolta si faceva riferimento a loro con il nome “Fantunes”. Finirono però in mezzo a quello che il Times definì «il più grosso scandalo nella storia del bridge».

Successe infatti che alcune loro partite disponibili online furono analizzate da una fisica olandese appassionata di bridge, che con il supporto di Boye Brogeland – bridgista professionista norvegese, parecchio attivo nel cercare di individuare casi di imbrogli – accusò Fantoni e Nunes di avere barato.

Secondo Brogeland, in decine di occasioni la coppia aveva disposto le carte sul tavolo in base a un codice che, a seconda che la carta fosse posizionata in orizzontale o in verticale, serviva a dare all’altro informazioni non consentite. Nella sintesi del New Yorker, «Fantoni e Nunes mettevano le carte in verticale se avevano ancora in mano un asso, un re o una regina dello stesso seme, in orizzontale se invece non avevano nessuna altra carta dello stesso seme».

A quell’accusa seguirono: una sentenza con cui la principale lega bridgistica americana impediva ai due di prendervi parte e li privava dei titoli vinti; una squalifica di cinque anni a livello europeo (con un divieto per i due di tornare a giocare insieme anche successivamente); una squalifica di tre anni da parte della federazione italiana. Fantoni e Nunes si appellarono però al TAS, il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, che nel 2018 annullò le squalifiche a livello europeo e italiano. Secondo il TAS (che per il suo giudizio si fece aiutare da due tecnici, uno per l’accusa e uno per la difesa) non c’erano, in estrema sintesi, elementi sufficienti per affermare che i due avessero infranto le regole in vigore.

È insomma a suo modo una vicenda intricata, ma sta di fatto che già da qualche tempo Fantoni e Nunes avevano potuto tornare a giocare a bridge, anche a livello internazionale. In un contesto, quello del bridge, in cui «ci sono decine di giocatori sospesi» per sospetti imbrogli, spiega Troiani. «Io ho lasciato le competizioni sette o otto anni fa, ma quando giocavo ormai era scontato che qualsiasi giocatore fosse convinto che la metà di quelli in sala con lui avessero i loro sistemi. Ma la passione per il gioco era così forte che diventava un male accettato, come quando fumi».

Da quando è tornato a giocare, Nunes non si è fatto notare granché. Fantoni invece ha ripreso a giocare con regolarità in competizioni italiane, e aveva scelto di partecipare alla competizione europea di fine agosto per amicizia verso la rappresentativa italiana, in sostituzione di un altro giocatore, in cambio delle sole spese di viaggio e soggiorno. «Ho ricevuto una chiamata a inizio agosto e mi hanno detto che uno dei giocatori non poteva partecipare per motivi di lavoro», spiega.

Alla fine agli European Bridge League Fantoni non ha giocato nemmeno una carta, in quanto boicottato da tutti gli avversari: i quali, ha scritto il New Yorker, «non lo hanno detto in modo esplicito», ma «hanno visto la sua inclusione nella squadra italiana come un atto ostile». Secondo il New Yorker ci sono infatti molti giocatori per i quali, nonostante la sentenza del TAS, «le prove contro Fantoni e Nunes sono inconfutabili, e le colpe imperdonabili». Steve Weinstein, un ex campione mondiale, ha detto: «Fantoni e Nunes hanno rovinato per anni gli annali del bridge, hanno rubato ai giocatori onesti i sogni, la gioia e le soddisfazioni».

Francesco Ferlazzo Natoli, avvocato e presidente della Federbridge, ha un’idea molto diversa. Secondo lui Fantoni è «una delle più vivaci menti bridgistiche italiane» e dice che agli European Bridge League «è stato trattato come un paria, un lebbroso», oggetto di una «campagna denigratoria e diffamatoria da parte di alcuni giocatori di livello che si ritengono il sale della terra bridgistica».

A fine agosto Ferlazzo Natoli aveva scritto una lettera di protesta contro il boicottaggio nei confronti di Fantoni, seguita da un lungo articolo intitolato “Il medioevo prossimo venturo” in cui, senza mai nominare Fantoni, esordiva citando Giovanbattista Vico e tra le altre cose citava il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani. È ancora convinto che quello contro il giocatore italiano sia stato «un comportamento inaccettabile dal punto di vista sportivo, e altrettanto inaccettabile dal punto di vista della civiltà». Spiega di aver mandato «per conoscenza» una lettera sull’accaduto al CONI e al CIO, il Comitato Olimpico Nazionale e quello Internazionale, e di essere deluso dalla mancanza di una «presa di posizione ufficiale».

Ferlazzo Natoli ci tiene inoltre a ricordare che Brogeland, il giocatore norvegese «da cui partì tutto», era stato compagno di squadra di Fantoni e Nunes, e che «insieme, a livello internazionale avevano vinto di tutto» (a bridge si gioca due contro due, ma le squadre sono composte da più giocatori).

I motivi per cui così tanti giocatori sono così intensamente contrari a Fantoni non sono totalmente chiari. Troiani dice che questo «accanimento particolare» è conseguenza del fatto che, in passato, «ha battuto talmente tante persone, che i nemici sono quantitativamente più numerosi». 

Fantoni spiega che al torneo di agosto avrebbe dovuto partecipare «con un compagno con cui non avevo mai giocato, una cosa che a bridge non ha quasi mai senso» e che per rimediare aveva passato buona parte delle sue ferie estive a studiare il suo codice, cioè lo stile di gioco. Inutilmente, visto che non ha potuto poi giocare: «Mi sono presentato a ogni incontro così come hanno fatto tutti i miei compagni di squadra, perché era giusto farlo e perché la Federazione appoggiava questa linea. Abbiamo subìto questa presa di posizione, non sappiamo se concordata o non concordata, ma certo lo possiamo supporre».

Delle accuse che lo ostracizzarono dal mondo del bridge dice che «non erano supportate da nessuna prova “bridgistica”» che dimostrasse che la disposizione delle carte avesse portato benefici. Dice di non sapere – «sono rimasto stupito anche io» – perché certe carte fossero effettivamente messe in un verso o nell’altro.

Ferlazzo Natoli ipotizza che il boicottaggio nei confronti di Fantoni possa essere legato «all’aspetto economico». Spiega infatti che «i grandi giocatori di bridge sono ingaggiati e sponsorizzati da magnati e da gente ricca che impazzisce per il bridge» e che ci sono, per esempio «giocatori italiani sponsorizzati da coreani». Secondo questa tesi, un giocatore forte in meno ai più importanti tornei con premi in denaro potrebbe quindi fare comodo a molti.

Se da un lato i grandi tornei internazionali non assegnano infatti premi particolarmente ricchi, ci sono altri tornei piuttosto lucrativi. E succede anche che certe squadre, a volte anche rappresentative nazionali, siano capitanate da persone particolarmente ricche e appassionate di bridge, che giocano pur non essendo particolarmente brave, facendosi però affiancare da alcuni dei più forti giocatori al mondo.

Tra marzo e aprile del 2022, a Salsomaggiore Terme in provincia di Parma, si terrà il più grande torneo internazionale del bridge, il Bermuda Bowl, cioè i “Mondiali”. Ferlazzo Natoli si aspetta che si giocherà «con meccanismo ordinario», quindi con i giocatori allo stesso tavolo con i sipari in mezzo, e non più, come successo in questi mesi, a distanza e via computer. Fantoni non parteciperà. Pochi giorni fa la squadra di cui faceva parte ha perso infatti le semifinali delle qualificazioni per scegliere quale gruppo di giocatori rappresenterà l’Italia ai Mondiali.

Le gare europee di agosto, invece, rappresentavano (tra le altre cose) una sorta di qualificazione a una competizione tra squadre non nazionali (una sorta di Champions League del bridge) a cui, come ha spiegato Ferlazzo Natoli, Fantoni aveva partecipato con «la squadra di Pescara che aveva vinto i campionati italiani», la quale lo aveva «ingaggiato e tesserato per l’occasione».

Fantoni, quindi, non giocherà né la “Champions League” (perché era stato ingaggiato in sostituzione di un giocatore ora tornato disponibile) e nemmeno i “Mondiali” (perché non ci si è qualificato). Spiega però che continuerà a giocare a livello nazionale, anche se ora guadagna grazie al bridge – che è ancora la sua principale attività – tra il 10 e il 20 per cento di quanto guadagnava fino a prima del 2015. Tra le altre cose, è inoltre collaboratore della “Fantoni Vacations”, che organizza viaggi bridgisti.

Ma i problemi del bridge prescindono da Fantoni. Una prima questione riguarda i soldi che ci girano: nel bridge, dice Troiani, «si è guastato tutto quando sono entrati gli sponsor». La seconda, evidentemente collegata, riguarda proprio gli imbrogli: come aveva detto Brogeland qualche tempo fa, «ogni buon giocatore che si metta davvero d’impegno per barare potrebbe diventare un giocatore di livello mondiale».

C’è però un possibile effetto collaterale: qualcuno ipotizza che questioni economiche, scandali e imbrogli possano in qualche modo incuriosire e avvicinare nuovi praticanti al bridge, uno sport non propriamente associato ai giovani. «L’effetto è stato simile a quello che gli abiti e gli arredi di La regina degli scacchi hanno avuto sugli scacchi», ha scritto il New Yorker: «hanno fatto interessare al bridge persone che non ci avevano mai giocato». Ma non è per nulla detto che sia davvero così. «In tutti i paesi del mondo i tesserati agonisti stanno diminuendo in maniera importante» dice Troiani. «In Italia ancor più che altrove, già da prima della pandemia».