No, la Polonia non sta per uscire dall’Unione Europea

Nonostante si parli molto di "Polexit", sembra una possibilità molto remota per tante ragioni

di Luca Misculin

(EPA/ALBERT ZAWADA POLAND OUT)
(EPA/ALBERT ZAWADA POLAND OUT)

Da qualche giorno si parla esplicitamente della possibilità che la Polonia esca dall’Unione Europea a causa di una sentenza della Corte Costituzionale polacca che ha stabilito la supremazia delle leggi polacche su quelle europee, venendo meno a uno dei principi fondativi dell’Unione. Da allora dentro e fuori la Polonia si discute apertamente di “Polexit”, un termine che ricalca Brexit e che ha utilizzato anche il principale quotidiano polacco non legato al governo, Gazeta Wyborcza, per descrivere lo situazione politica. In realtà l’ipotesi che la Polonia esca davvero dall’Unione Europea è molto, molto remota.

Per prima cosa, sono pochissimi i polacchi che auspicano una “Polexit”. La Polonia è un paese assai povero in confronto agli altri dell’Unione e tutti i partiti dell’arco istituzionale sono ben consapevoli che senza i generosi fondi dell’Unione Europea l’economia polacca collasserebbe.

Dall’anno del suo ingresso nell’Unione al 2020, la Polonia è il paese che ha ricevuto la quantità maggiore di fondi europei: 127 miliardi di euro, un terzo del suo PIL annuale nel 2020. Dall’adesione a oggi, inoltre, 2,03 milioni di polacchi si sono trasferiti in un altro paese dell’Unione Europea – uno su tre in Germania – per vivere e lavorare. E nel frattempo il PIL pro capite polacco è passato dal 45 per cento al 70 per cento di quello medio all’interno dell’UE.

Ciascuno schieramento politico, poi, ha le proprie ulteriori ragioni per apprezzare l’Unione Europea. La destra nazionalista e anticomunista, come il partito che dal 2017 controlla il governo, Diritto e Giustizia, considera l’adesione all’UE come la naturale conseguenza dell’appartenenza alla NATO, cioè l’alleanza atlantica nata nel 1949 in funzione antisovietica e ancora oggi molto ostile alla Russia (che per ragioni storiche rimane il paese che la Polonia e i polacchi temono di più).

L’elettorato moderato e progressista aspira invece ad avvicinare sempre di più il proprio paese agli standard europei per qualità della vita, rispetto dei diritti civili e protezione delle minoranze: per questo, ogni volta che il governo semi-autoritario di Diritto e Giustizia litiga con l’Unione Europea, questo elettorato moderato si esibisce in partecipate manifestazioni di piazza, come accaduto anche domenica dopo la sentenza della Corte Costituzionale polacca.

Il risultato di queste due pulsioni è che la stragrande maggioranza dell’elettorato polacco – e quindi anche i partiti, a prescindere dalla loro identità – intende rimanere all’interno dell’Unione Europea. Secondo un sondaggio realizzato a metà settembre dal quotidiano economico Dziennik Gazeta Prawna, l’88 per cento dei polacchi vuole che la Polonia rimanga membro dell’UE, e il 57 per cento di loro non ritiene “Polexit” uno scenario realistico. Lo stesso governo ha smentito categoricamente di volere uscire dall’Unione Europea.

Nemmeno l’Unione Europea, del resto, ha un vero interesse a cacciare la Polonia. Sia perché vorrebbe evitare di ritrovarsi a gestire un caso politico come Brexit, che per anni ha drenato risorse ed energie dei migliori funzionari europei, e oscurato dal punto di vista mediatico molte cose fatte dall’Unione. Sia perché i governi europei, più pragmaticamente, non vogliono privarsi dell’apporto dei polacchi in alcuni settori centrali dell’economia, dai trasporti alle cure domiciliari.

La recentissima penuria di autotrasportatori nel Regno Unito, per fare un solo esempio, è stata causata in parte dal fatto che diversi camionisti che facevano avanti e indietro dalle coste britanniche erano polacchi, e l’aumento dei controlli dovuti a Brexit li ha convinti a cambiare lavoro o regione d’Europa in cui operare.

Ma i paesi europei non vogliono nemmeno rinunciare all’accesso privilegiato al mercato polacco, il più grande dell’Europa orientale con i suoi 38 milioni di abitanti. Nel 2018 il 69 per cento delle importazioni in Polonia proveniva da paesi dell’Unione Europea: il principale esportatore fra l’altro è la Germania, il più potente e influente paese europeo, mentre al secondo e terzo posto ci sono altri due paesi di primo piano come Paesi Bassi e Italia.

L’ultimo elemento che rende estremamente difficile l’uscita della Polonia dall’Unione Europea, ma non il meno importante, è che l’Unione non ha gli strumenti giuridici necessari per sospendere o espellere uno stato membro, se anche decidesse di farlo.

Nel Trattato di Lisbona, l’ultimo importante aggiornamento del trattato fondativo dell’Unione Europea, esiste un meccanismo che permette di «sospendere» alcuni diritti di uno stato membro, come per esempio il diritto di voto nelle sedi istituzionali, in caso di violazione dell’articolo 2 del Trattato: cioè quello che fra le altre cose impegna l’Unione e gli stati membri a «combattere le discriminazioni, promuovere la giustizia e la protezione sociale».

Il Trattato di Lisbona però prevede che per sospendere il diritto di voto ad un certo paese serva il voto di tutti gli altri; per disinnescarlo, quindi, è sufficiente che la Polonia si accordi con un altro stato a guida semi-autoritaria – come l’Ungheria, per esempio – per proteggersi a vicenda ed evitare la sospensione forzata. «La situazione attuale, in cui lo stato di diritto è stato smantellato in due stati nello stesso momento, ci ha condotti a un vicolo cieco», ha osservato qualche tempo fa su EuObserver Tom Theuns, che insegna Politiche europee all’università di Leiden, nei Paesi Bassi.

Poi c’è il problema che la rivista Carnegie Europe definisce «effetto casa di vetro»: i leader dei paesi europei sono storicamente molto restii a criticare un loro pari grado, consapevoli che potrebbero attirare attenzioni indesiderate su di sé. «Nessun paese europeo ha una storia immacolata quando si parla di diritti e principi», hanno scritto qualche anno fa i politologi Heather Grabbe e Stefan Lehne: «in passato le istituzioni e i paesi europei hanno chiuso un occhio, per esempio, riguardo alla posizione dominante di Silvio Berlusconi sui media italiani o sulla fragilità dell’architettura istituzionale in Grecia».

Criticare la Polonia per la corruzione della sua classe dirigente o il controllo che esercita sulla magistratura potrebbe rinnovare l’attenzione per alcune situazioni simili in vari altri paesi dell’Est o del Sud Europa.

Qualche esperto ha suggerito di interpretare in maniera creativa l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, quello che per intenderci ha permesso al Regno Unito di uscire dall’Unione: ma diversi studiosi ritengono che alcuni pezzi dell’articolo 50 – fra cui il comma secondo cui il processo deve partire da una decisione autonoma dello stato coinvolto – non permettano l’espulsione unilaterale di uno stato.

In altre parole: se un paese membro vuole rimanere all’interno dell’Unione Europea e può disporre di uno o più alleati, è praticamente impossibile sospendere la sua partecipazione alla vita politica comunitaria o espellerlo.

E quindi?
La decisione della Corte Costituzionale sarà legalmente vincolante solo quando sarà pubblicata dalla gazzetta ufficiale del governo polacco, che forse nel frattempo spera di trovare un accordo più ampio con la Commissione Europea: è uno scenario previsto anche da alcuni esperti di diritto europeo. Ma forse l’ipotesi più probabile l’ha sintetizzata efficacemente il New York Times: «né Varsavia né Bruxelles hanno alcun interesse a forzare una rottura, e probabilmente si accontenteranno di avviare tediosi negoziati che dureranno molti mesi o addirittura molti anni», per trovare un qualche tipo di compromesso sulla sentenza della Corte Costituzionale e le sue applicazioni.