Torino aspetta il cambiamento, ancora

Quello promesso da Appendino non è arrivato, le periferie continuano ad avere i loro problemi, e la città fatica a immaginare il futuro

di Emanuele Menietti – @emenietti

L'ex stabilimento Grandi motori FIAT in Barriera di Milano, Torino (LaPresse/Giordan Ambrico)
L'ex stabilimento Grandi motori FIAT in Barriera di Milano, Torino (LaPresse/Giordan Ambrico)

Usciti dal Palazzo Civico di Torino, nel cuore del centro storico della città, svoltando a sinistra in via Milano si raggiunge Porta Palazzo, il mercato all’aperto più grande d’Europa, con le sue colorate e rumorose bancarelle che invadono l’ampia spianata di piazza della Repubblica. Oltre il mercato, corso Giulio Cesare eredita da via Milano la responsabilità di collegare sullo stesso asse il centro con la periferia nord di Torino. È uno dei corsi più estesi della città, attraversa la Dora Riparia (“la Dora” e basta per i torinesi), il quartiere Aurora e diventa infine il corso più importante di Barriera di Milano, borgo storicamente proletario e operaio, descritto spesso come uno dei quartieri più difficili e l’emblema del mancato cambiamento promesso alle elezioni comunali di cinque anni fa.

Il tema delle periferie è sempre presente nei programmi elettorali di chi si candida a guidare una città, ma a Torino non è emerso più di tanto in questa campagna elettorale descritta da molti osservatori come priva di grandi spunti e idee, spesso con posizioni molto simili tra i candidati. Nel programma del 2016 di Chiara Appendino, la sindaca uscente, era centrale e rivendicato con una certa fierezza: Barriera di Milano e gli altri quartieri periferici erano in difficoltà, con la crescente sensazione di non essere più compresi – se non proprio abbandonati – dal centrosinistra che governava ininterrottamente Torino dal 1994.

Appendino si fece interprete di quei disagi, promise di ricucire la distanza tra centro e periferia, criticò aspramente i cinque anni da sindaco di Piero Fassino (Partito Democratico) e cavalcò la voglia di cambiamento e di novità che trasmetteva il Movimento 5 Stelle. Al ballottaggio in diverse aree periferiche Appendino superò Fassino di quasi 30 punti: nella Circoscrizione 6 – quella che comprende Barriera di Milano – ottenne circa il 63 per cento delle preferenze, una percentuale assai superiore al 40 per cento di elettori che avevano votato per lei in centro.

Povertà, disoccupazione e microcriminalità sono problemi ricorrenti nelle periferie delle città più grandi e hanno numerose cause, spesso di sistema e che non dipendono solamente dalle amministrazioni locali. Molti quartieri periferici di Torino scontano ormai da decenni la chiusura o il progressivo ridimensionamento delle attività industriali, a cominciare da quelle della FIAT e del suo indotto, un vuoto non ancora completamente colmato da altre opportunità lavorative, specialmente per i più giovani.

Nessuno si aspettava che in cinque anni di giunta Appendino i problemi delle periferie scomparissero, ma viste le promesse c’erano comunque alte aspettative, soprattutto per Barriera di Milano nella Circoscrizione 6, dove vivono 106mila persone con il maggior numero di residenti stranieri tra i quartieri di Torino: circa il 35 per cento.

La zona aveva già vissuto le grandi migrazioni dal Sud Italia negli anni del cosiddetto “boom economico”, con migliaia di famiglie meridionali che si erano trasferite in città per lavorare nelle fabbriche. Oggi le opportunità di lavoro sono diminuite, e la disoccupazione giovanile si fa sentire in un’area dove circa un terzo dei residenti ha meno di 20 anni.

Stranieri residenti a Torino (Dall’ebook “Storia elettorale di Torino: Città al voto | 2021” di YouTrend)

Daniele Viotti, ex europarlamentare del Partito Democratico, vive nella zona e non ha mai risparmiato critiche nei confronti della giunta Appendino, ma riconosce qualche risultato delle iniziative per aiutare le periferie degli ultimi anni: «Qualcosa si è mosso, sulle attività culturali hanno prodotto un buon bando per avviarle all’interno di ex spazi commerciali dismessi da tempo. Non è la gentrificazione cui si è assistito in altre occasioni con le multinazionali: è qualcosa di integrato».

Secondo Viotti sono però mancati altri provvedimenti per affrontare il tema centrale: «C’è un crescente problema di povertà, che si è acuito con la pandemia. I “compro oro” nel quartiere sono aumentati, mentre a fine mese quando ci sono le bollette da pagare vedi i presta soldi fuori dai tabaccai. So bene che il problema della povertà non può essere risolto da una giunta comunale, ma i tagli per il risanamento del bilancio cittadino non hanno certo aiutato».

Appendino ha rivendicato di avere ridotto il debito di Torino, tra le città più indebitate in Italia, portandolo da 3,4 a 2,9 miliardi di euro nei suoi cinque anni da sindaca. Un risultato importante, ma criticato da chi ritiene che fossero prioritarie nuove politiche espansive e non tagli per ridurre l’indebitamento. I più critici segnalano che con la minore spesa si sono ridotti i servizi, dai trasporti agli asili nido, e il turismo stesso a causa della mancanza di iniziative culturali di rilievo finanziate dal comune.

Valentina Sganga (Fabio Ferrari / LaPresse)

Valentina Sganga, la candidata a sindaca di 35 anni scelta dal M5S per succedere ad Appendino, sostiene che rimettere a posto i conti fosse essenziale per gravare meno sulla cittadinanza nei prossimi anni. Sganga è laureata in Scienze del governo e dell’amministrazione e negli ultimi cinque anni è stata capogruppo del M5S nel Consiglio comunale. Non è molto conosciuta in città e per gli osservatori ha poche possibilità di arrivare al ballottaggio.

Sganga ha fatto campagna elettorale sui temi che il M5S aveva già promosso alle precedenti elezioni, a cominciare da un ripensamento della mobilità cittadina per renderla più sostenibile e dall’ambiente (si presenta alle elezioni anche con Europa Verde, nato dall’unione della Federazione dei Verdi con altre associazioni). In cinque anni i problemi di viabilità non sono stati pienamente risolti, anche a causa del difficoltoso salvataggio dal dissesto economico della GTT, l’azienda di trasporto pubblico locale. La costruzione di nuove piste ciclabili è talvolta avvenuta in maniera disordinata, senza incontrare grande favore nella cittadinanza. Sganga è fermamente contraria alla TAV, la discussa linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe unire Torino e Lione, verso Parigi, in linea con l’amministrazione Appendino e le sue numerose delibere per ostacolarne la realizzazione.

Secondo Lorenzo Pregliasco, torinese e direttore di YouTrend, il M5S «ha dovuto fare una scelta di totale ripiegamento su se stesso, non potendo contare sulla ricandidatura di Appendino. Esce con un consenso modesto e paga sia per le dinamiche nazionali sia per quelle locali, dove si è dovuto misurare con le difficoltà del governare. Paga inoltre più di altri la promessa di un cambiamento non all’altezza di quello che molti suoi elettori si aspettavano. Appendino non ha lasciato un segno evidente di trasformazione per la città».

Il tema del mancato cambiamento è stato al centro della campagna elettorale, seppure spesso sotto traccia nel confronto tutto sommato pacato dei candidati. Chi ha cercato di sfruttare l’effetto novità è stato soprattutto Paolo Damilano, imprenditore candidato dal centrodestra con nessuna esperienza politica di rilievo alle spalle. Damilano ha provato a farne un punto di forza, promuovendosi come un moderato, anche se la coalizione che lo sostiene comprende la Lega e Fratelli d’Italia, alla ricerca di consensi soprattutto nelle periferie rimaste deluse; non a caso entrambi i partiti hanno scelto di stabilire le proprie sedi locali in Barriera di Milano.

Paolo Damilano con il leader della Lega, Matteo Salvini (LaPresse – Fabio Ferrari)

Damilano ha quasi 56 anni e gestisce con il fratello Mario l’azienda Pontevecchio, che controlla vari marchi come quello dell’acqua minerale Valmora e diverse cantine nelle Langhe, dove oltre ai vini gestisce un ristorante stellato Michelin. La sua candidatura è stata fortemente voluta da Giancarlo Giorgetti della Lega, che nelle ultime settimane di campagna elettorale si è speso molto per promuovere Damilano.

Il centrodestra arriva alle amministrative di Torino dopo una serie di importanti risultati elettorali in città, che hanno via via visto un trasferimento di voti dal M5S verso Lega e Fratelli d’Italia, specialmente nelle periferie. I partiti hanno fatto leva sui problemi di sicurezza, reali o percepiti a seconda dei casi, e sull’aumento in alcuni quartieri della quota di residenti stranieri. Damilano si è inserito in questa narrazione, cercando al tempo stesso di presentarsi come un moderato per avere consensi nei quartieri del centro e della collina, che dal Partito Democratico di Renzi in poi votano soprattutto per il centrosinistra.

Damilano si presenta con la lista “Torino bellissima”, un nome che strizza l’occhio a un certo orgoglio sabaudo, e usa lo slogan «C’è da fare» per comunicare di essere una persona pragmatica, come dimostrato col lavoro nelle proprie aziende. Il programma elettorale punta molto sulla necessità di rendere nuovamente rilevante Torino, soprattutto dal punto di vista degli eventi e del turismo, promuovendo «tartufo & barolo» per far guadagnare alla città nuova fama internazionale. Le idee su come affrontare in modo strutturale i temi del lavoro, della povertà e della migrazione, soprattutto nelle periferie, sembrano essere più vaghe, anche se ai critici Damilano risponde sostenendo che «anche gli stranieri che vengono qui, se lavoriamo per integrarli, arriveranno a mangiare tartufo e barolo».

Alcune idee sono parse fuori misura se confrontate con i cauti investimenti degli ultimi cinque anni. Damilano ha per esempio proposto la costruzione di un tunnel sotterraneo sull’asse nord-sud sotto la riva sinistra del Po, in modo da ridurre il traffico stradale e i tempi di percorrenza della tangenziale. I metodi di finanziamento per un’infrastruttura di questo tipo, che non potrebbe dipendere dal solo comune, non sono stati chiariti nel dettaglio e secondo gli altri candidati si scontrano con le esigenze di mobilità sostenibile, per ridurre in generale la quantità di veicoli in circolazione. Damilano ha comunque anche proposto incentivi, come la riduzione delle tasse sui rifiuti per le aziende che sostituiranno i loro veicoli commerciali inquinanti con quelli a zero emissioni.

Mentre prospettava nuove politiche per il turismo e la mobilità cercando l’interesse dei moderati, i partiti più strutturati a sostegno di Damilano facevano una campagna elettorale più aggressiva nei quartieri periferici. Lo scorso giugno Fratelli d’Italia ha organizzato un presidio “anti spaccio” in Barriera di Milano, sostenendo che la vendita di stupefacenti tiene «in ostaggio» diversi quartieri ed è un pericolo per la sicurezza. Gli episodi di microcriminalità non mancano, come del resto nelle periferie di tutte le grandi città, ma sono comunque compresi in un quadro di complessiva riduzione dei reati, calati del 20 per cento a Torino e provincia negli ultimi 30 anni.

«Guardare all’ambito civico era l’unica operazione fattibile per il centrodestra», spiega Pregliasco analizzando la candidatura di Damilano: «È un candidato che ha più possibilità degli altri candidati del centrodestra nelle grandi città, ma è difficile stabilire quanta presa possa avere sull’elettorato». Le periferie “rosse” cinque anni fa si colorarono di giallo, passando al M5S, e ora potrebbero esprimere una marcata preferenza per Fratelli d’Italia e la Lega. Il centrodestra potrebbe inoltre puntare a “perdere un po’ meglio” tra gli elettori del centro e della collina, anche se lì il voto per il centrosinistra sembra essersi radicato.

Stefano Lo Russo con Pierluigi Bersani (Marco Alpozzi – LaPresse)

Sugli elettori tra centro e collina punta molto Stefano Lo Russo, il candidato del centrosinistra già capogruppo del Partito Democratico nel Consiglio comunale. Tramontata la possibilità di trovare un accordo tra M5S e PD, tentativo nato a livello nazionale e fortemente osteggiato a livello locale dopo cinque anni di fortissimi attriti, Lo Russo ha vinto le primarie di coalizione del centrosinistra dello scorso giugno, poco partecipate a ulteriore indicazione di una certa stanchezza da parte dell’elettorato: 11mila votanti contro gli oltre 50mila per le primarie vinte nel 2011 da Piero Fassino.

Lo Russo ha 45 anni, è torinese, ha insegnato Geologia al Politecnico ed era stato eletto per la prima volta in Consiglio comunale nel 2006 nella lista dell’Ulivo. Era l’anno della vittoria quasi plebiscitaria al primo turno di Sergio Chiamparino, rieletto pochi mesi dopo i successi delle Olimpiadi invernali che avevano portato grande risalto internazionale alla città (e parte del suo debito). Viene descritto come un profondo conoscitore della macchina amministrativa e nel corso della campagna elettorale si è presentato come una nuova opportunità di cambiamento, nonostante provenga da un’area politica che ha espresso tre sindaci su quattro negli ultimi 20 anni.

Gli ex sindaci Valentino Castellani e Chiamparino, molto amati a Torino e con una certa trasversalità, hanno partecipato alla campagna elettorale per Lo Russo, mentre Fassino ha mantenuto un profilo più basso e defilato, pur avendo ampi consensi in parte della città. Hanno organizzato dibattiti con il loro candidato, che nel corso dell’estate ha adottato un format molto informale per incontrare la popolazione nei mercati rionali e nei luoghi di aggregazione: piazzare un paio di sedie pieghevoli e conversare con i potenziali elettori.

Nel corso di questi confronti e di quelli ufficiali con gli avversari, Lo Russo ha ammesso gli errori del passato, specialmente prima delle elezioni del 2016, quando la giunta di centrosinistra cercava di dare rilevanza alla città lasciando in secondo piano analisi più approfondite sul disagio sociale ed economico in molti quartieri di periferia e di altre aree comprese tra il centro e quelle periferiche. Lo Russo ha riconosciuto alcuni errori nella gestione del dopo Olimpiadi, pur rivendicando un evento all’epoca definito di grande trasformazione per la città. Ma quell’occasione si spense velocemente, tra la crisi economica del 2008 e il rapido ridimensionamento delle ultime grandi attività industriali presenti sul territorio.

Con lo slogan «Per Torino, grande, forte, unita», Lo Russo ha proposto un programma articolato con iniziative a sostegno dei piccoli esercizi commerciali, ritenuti una risorsa importante per la vita nei quartieri, e l’impiego temporaneo di spazi dismessi per attività sociali, culturali e ricreative, una strada che aveva già intrapreso la giunta Appendino, ma con qualche difficoltà organizzativa e burocratica. Lo Russo ha inoltre sostenuto un piano per semplificare le procedure di assegnazione degli spazi per l’edilizia residenziale pubblica e la dismissione dei numerosi immobili inutilizzati del Comune.

Sulla mobilità e i trasporti le proposte non sono orientate alla costruzione di nuove grandi infrastrutture come propone Damilano, ma al miglioramento e all’integrazione di quelle esistenti, a partire dal passante ferroviario il cui interramento completato una decina di anni fa ha permesso di ricucire interi pezzi di Torino, rimasti per decenni separati dai trinceroni della ferrovia. Il passante ha diverse stazioni intermedie, oltre a quelle più conosciute e frequentate di Porta Nuova e Porta Susa, ma non viene utilizzato pienamente per favorire gli spostamenti in città.

Torino è intanto in attesa della costruzione della seconda linea della metropolitana, che metterà in collegamento le aree periferiche di Mirafiori a sud e di Barriera di Milano a nord con il centro. Barriera di Milano attende invece che si concretizzi il progetto “Variante 200” che dovrebbe riorganizzare un’ampia porzione della città a nord: il piano è però in forte ritardo, nonostante se ne parli da una decina di anni.

Ha invece ricevuto critiche e qualche ironia la proposta di istituire la figura del “Sindaco della Notte” per la «soluzione alle problematiche di convivenza con la cosiddetta mala-movida». Lo Russo ha ricordato che città come Londra, Zurigo, Parigi e Berlino hanno fatto esperimenti simili, ma nel programma non sono indicati molti altri dettagli sulle sue responsabilità. Nel corso dei cinque anni da sindaca, Appendino era dovuta intervenire più volte con ordinanze per limitare la somministrazione di alcolici in centro e non solo.

Lo Russo ha dedicato una parte importante della campagna elettorale alla “città di mezzo”, quella tra il pieno centro e le periferie, dove ci sono marcate differenze sociali con maggiori possibilità di recuperare voti rispetto alle elezioni precedenti. In alcuni quartieri, come Aurora e Vanchiglia, il M5S aveva vinto per pochi voti al ballottaggio del 2016, interrompendo una tradizione di voto a sinistra che Lo Russo conta di recuperare.

Il centrosinistra potrebbe ottenere buoni risultati anche a San Salvario, quartiere che ha subìto una profonda trasformazione negli ultimi 20 anni, passando da area di forte disagio a zona molto frequentata dai più giovani, con numerosi locali e iniziative culturali. Più difficile potrebbe essere un recupero nella parte nord della città e a sud nell’ampia area di Mirafiori.

(LaPresse – Mauro Ujetto)

Anche se il centrosinistra sembra essere favorito, il centrodestra ritiene Torino ancora contendibile, come ha detto di recente Giorgetti ammettendo di essere meno ottimista su altre grandi città come Roma e Milano. È molto probabile che si vada al ballottaggio tra Damilano e Lo Russo, a scapito di Sganga e del M5S.

«Il dato politico è che Damilano ha già fatto il pieno di tutti i suoi voti e non avrebbe molti margini per guadagnare nuovi consensi al ballottaggio, mentre Lo Russo potrebbe ottenere qualcosa da chi voterà i candidati più a sinistra di lui al primo turno, e potrebbe avere anche qualche margine sul voto legato al M5S» dice Viotti, segnalando un certo ottimismo sulle possibilità di un ritorno del centrosinistra alla guida di Torino. Se al ballottaggio prevalesse il fattore personale, come spesso accade con l’elezione diretta del sindaco, allora Damilano potrebbe avere qualche opportunità in più.

Nelle ultime settimane PD e M5S hanno discusso molto, sia a livello locale sia nazionale, su eventuali indicazioni di voto al ballottaggio, ma senza arrivare a formalizzare un accordo. Appendino ha espresso la propria contrarietà, probabilmente per non indebolire Sganga nella campagna elettorale, mentre diversi membri del PD torinese hanno segnalato di non volere un accordo politico che non sarebbe compreso dagli elettori, dopo cinque anni di dura opposizione. Al secondo turno il M5S potrebbe quindi scegliere la libertà di voto, con indicazioni informali su una preferenza per il candidato del centrosinistra.

Chiunque diventi sindaco, dovrà confrontarsi con la stanchezza mista a disillusione che si è percepita nel corso di questa anomala campagna elettorale estiva e nel mezzo di una pandemia. L’idea stessa di cambiamento ha assunto contorni sfumati, tra chi vorrebbe una città più dinamica o semplicemente rassicurante. Al numero 52 di via Scarlatti, un grande murale realizzato dall’artista Millo, nell’ambito del progetto di arte pubblica B.ART in Barriera di Milano, mostra un bambino che osserva un po’ annoiato un treno che percorre all’infinito lo stesso binario in mezzo ai palazzi di una città. Sembra attendere che succeda qualcosa, come Torino. L’opera si chiama “Forever”, sul treno c’è un cuore.