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  • Mercoledì 8 settembre 2021

Nomi di processi che forse non sentiremo più

“Mafia capitale”, “Mani pulite”, “Angeli e Demoni” e tanti altri: un nuovo regolamento raccomanda ai magistrati di abbassare i toni

 (Cecilia Fabiano/LaPresse)
(Cecilia Fabiano/LaPresse)
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Il governo ha approvato un nuovo regolamento che tra le altre cose non permetterà più ai magistrati di utilizzare nomi enfatici, allusivi e spettacolari per intitolare le inchieste e i processi. Le norme, che stanno per essere esaminate dalle commissioni giustizia della Camera e del Senato, si rifanno a una legge di delegazione europea che aveva chiesto all’Italia di rafforzare la presunzione di innocenza delle persone indagate o imputate.

Il decreto del governo approvato all’inizio di agosto ha recepito una direttiva dell’Unione europea del 2016 con cui si chiedeva agli stati membri di garantire i diritti degli indagati e degli imputati nei processi non presentandoli come colpevoli prima della sentenza. Il nuovo regolamento è rivolto soprattutto ai magistrati e alla Polizia giudiziaria, ma coinvolge inevitabilmente anche i giornalisti. Quasi tutti i nomi delle inchieste, infatti, sono studiati per far sì che siano adatti e accattivanti per i titoli dei giornali: corti e soprattutto con giochi di parole, rimandi letterari o cinematografici, oppure parole inglesi particolarmente seducenti.

La norma che riguarda i nomi dati alle inchieste e ai processi si trova all’articolo 3 del nuovo regolamento dove si legge che «tanto nei comunicati ufficiali quanto nelle conferenze stampa è vietato assegnare ai procedimenti penali pendenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza». Ci sono anche altre prescrizioni. Tra le altre cose, il regolamento prevede che «il procuratore della Repubblica, personalmente o attraverso un magistrato delegato, può interagire con gli organi di informazione esclusivamente attraverso comunicati ufficiali o, nei casi di particolare rilevanza pubblica, conferenze stampa», e soprattutto che le informazioni devono «assicurare il diritto della persona sottoposta a indagini e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino alla condanna definitiva».

In un intervento sul Foglio Enrico Costa, deputato di Azione e già viceministro della Giustizia durante il governo Renzi, ha definito la scelta dei nomi da parte dei magistrati una forma di “marketing giudiziario”. «Il nome dell’inchiesta, sapientemente impastato con la conferenza stampa, con i trailer, con le intercettazioni, con i titoli di giornali, con il frullatore della rete, non lascia scampo. E sopravvive agli eventi processuali», ha scritto. «Le sentenze? Buone per il casellario, non certo per ribaltare fiumi di inchiostro. Un marketing non solo tollerato, non solo a opera di pochi, ma sistematico».

Per spiegare l’effetto dell’enfasi data ai nomi delle inchieste, Costa ha citato l’operazione Geenna sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta. Geenna è una valle vicino a Gerusalemme dove secondo l’antico testamento veniva praticato il culto del dio Moloch, che imponeva di sacrificare i bambini dopo averli sgozzati. Un parallelismo con un’accezione evidentemente accusatoria. A luglio la Corte di appello di Torino ha confermato le condanne decise in primo grado per quattro imputati, mentre ha assolto Marco Sorbara, ex consigliere regionale che prima dell’assoluzione – “perché il fatto non sussiste” – aveva trascorso 909 giorni in custodia cautelare. «Non credo che per Sorbara sarà semplice scrollarsi di dosso quell’abbinamento», ha scritto Costa. Esistono anche casi più noti e che probabilmente avrebbero avuto un impatto mediatico meno rilevante, se chiamati con nomi più sobri.

Mani pulite
La più famosa di tutte. Era il nome del fascicolo aperto nel 1991 dall’allora pubblico ministero Antonio Di Pietro che nella prima metà degli anni Novanta indagò con il cosiddetto “pool” sulla corruzione sistematica che coinvolse parte della politica e dell’imprenditoria italiana. Furono indagati ministri, deputati, senatori, imprenditori, ex presidenti del Consiglio. Il nome Mani pulite deriva da una risposta data da Giorgio Amendola, deputato del PCI, in un’intervista pubblicata sul Mondo nel 1975: «Ci hanno detto che le nostre mani sono pulite perché non le abbiamo mai messe in pasta». Oltre a Mani pulite, l’inchiesta è conosciuta anche come Tangentopoli, nome che però si deve a un’intuizione giornalistica imitata poi innumerevoli volte negli ultimi 25 anni.

Mondo di Mezzo o Mafia capitale
Mondo di Mezzo è il nome dell’inchiesta della procura di Roma che nel 2014 portò a 37 arresti e indagò cento persone con l’accusa di far parte di un’organizzazione criminale che controllava appalti e finanziamenti pubblici. Tra i reati ipotizzati ci furono corruzione, estorsione, usura, riciclaggio di denaro e associazione di tipo mafioso: per questo il processo è conosciuto anche con il nome di Mafia capitale. Nel novembre del 2019 la Cassazione stabilì che fu un’associazione a delinquere, ma non di stampo mafioso. Il nome Mondo di Mezzo deriva dalle parole di Massimo Carminati, ex appartenente ai Nuclei armati rivoluzionari (NAR) e condannato a dieci anni di carcere nel processo. Intercettato durante un colloquio con un esponente della sua banda, Carminati disse: «È la teoria del mondo di mezzo, compà. Ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo».

– Leggi anche: Perché gli scandali si chiamano “-gate”

Processo Aemilia
L’operazione giudiziaria chiamata Aemilia deve il suo nome alla colonizzazione della pianura padana da parte degli antichi romani. Nel 2015, quando partì l’inchiesta, venne chiamata Aemilia per descrivere l’infiltrazione della ‘ndrangheta al Nord, in particolare della cosca Grande Aracri di Cutro, che aveva interessi in molti settori e in particolare nell’edilizia. Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti. Nel 2020 si è svolto il processo di appello che ha inflitto complessivamente quasi 700 anni di reclusione: sui 118 imputati, 25 sono stati assolti. I condannati hanno presentato ricorso in Cassazione.

Angeli e demoni
L’indagine chiamata Angeli e Demoni, iniziata nel 2018, riguarda un presunto sistema illecito di gestione dei minori in affido nel comune di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia. Il sistema si sarebbe basato sulla manipolazione delle testimonianze dei bambini da parte di assistenti sociali e psicologi. Gli indagati sono accusati a vario titolo di frode processuale, depistaggio, maltrattamenti su minori, falso in atto pubblico, violenza privata, tentata estorsione, abuso d’ufficio, peculato d’uso e lesioni gravissime. Secondo l’accusa, alcuni funzionari pubblici, assistenti sociali e psicologi avrebbero fatto parte di un’organizzazione criminale volta a togliere bambini a famiglie in difficoltà e affidarli, dietro pagamento, a famiglie di amici o conoscenti. A giugno la procura di Reggio Emilia ha chiesto il rinvio a giudizio per 24 persone.

P4
P4 è il nome di un’inchiesta giudiziaria avviata nel 2006 dalla procura di Napoli e che coinvolse Alfonso Papa, all’epoca deputato del Popolo della Libertà, e il faccendiere Luigi Bisignani, accusati di aver utilizzato a loro favore informazioni segrete o coperte da segreto istruttorio. Il nome P4 rimandava alla loggia P2. La sentenza di primo grado arrivò il 22 dicembre 2016 quando il tribunale di Napoli condannò Papa a 4 anni e 6 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per le accuse di induzione indebita e istigazione alla corruzione, assolvendolo dall’accusa di favoreggiamento e dichiarando prescritta quella di rivelazione di segreto d’ufficio. Nel settembre del 2019 la Corte d’appello ribaltò la sentenza di primo grado, assolvendo Papa da tutti i reati. Bisignani, invece, aveva patteggiato una condanna di 1 anno e 7 mesi.

Pizza connection
L’inchiesta sul traffico di droga tra Italia e Stati Uniti fu condotta tra il 1979 e il 1984 dall’FBI in collaborazione con il pool antimafia di Palermo, di cui all’epoca faceva parte Giovanni Falcone. Le indagini partirono dal ritrovamento all’aeroporto JFK di New York di alcune valigie piene di eroina provenienti da Palermo e dalla precedente scoperta di due valigette con 500mila dollari all’aeroporto di Palermo. Decine di mafiosi americani furono sorvegliati ricorrendo anche agli agenti infiltrati Joseph Pistone ed Edgar Robbs, che agivano sotto copertura con i nomi di Donnie Brasco (a cui è ispirato il film omonimo del 1997) e Tony Rossi. In seguito al processo negli Stati Uniti, dove Gaetano Badalamenti e Salvatore Catalano vennero condannati a 45 anni di carcere, l’indagine Pizza connection venne inserita nel cosiddetto maxiprocesso di Palermo.

Why not
L’inchiesta Why not cominciò nel 2010 e riguardava la gestione dei fondi pubblici della Calabria: fu una di quelle che diede visibilità nazionale all’allora pubblico ministero della procura di Catanzaro Luigi De Magistris, oggi sindaco di Napoli. Nel luglio del 2007 l’inchiesta finì su tutti i giornali perché tra i suoi indagati c’era anche Romano Prodi, allora presidente del Consiglio: secondo l’accusa avrebbe avuto qualche contatto con un “comitato d’affari” che gestiva milioni di euro di finanziamenti pubblici. Le indagini si chiusero alla fine del 2008: la procura generale chiese l’archiviazione per Prodi e per un altro politico inizialmente coinvolto, Clemente Mastella, perché non c’erano elementi sufficienti nemmeno per arrivare ad aprire il processo. A ottobre 2013 la Corte di Cassazione assolse i principali imputati del processo.

Savoiagate
L’inchiesta risale al 2006 e come quella relativa alla presunta P4 venne condotta dal magistrato Henry John Woodcock, che chiese l’arresto di Vittorio Emanuele di Savoia con le accuse di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, alla corruzione, alla concussione, falsità ideologica, minacce e favoreggiamento. Nel 2010 il il giudice del tribunale di Roma Marina Finiti scagionò Vittorio Emanuele di Savoia e altre cinque persone coinvolte nelle indagini Savoiagate con la formula “assolti perché il fatto non sussiste.

Tra gli altri nomi di processi noti si ricordano anche calciopoli, il crac Parmalat, la trattativa Stato-mafia, vallettopoli. Nell’archivio dei comunicati stampa della Polizia di Stato si trovano tutti i nomi di tutte le operazioni di polizia dal duemila a oggi. Tra i più curiosi ci sono Il riciclaggio è servito, Hello Bross, Hei bro’ n.p.t, Cattivo tenente, Caput silente, Pecunia olet e Pecunia non olet, Palmbeach, Jammer, Egidia2000, Super Santos.