La questione dei controlli dei documenti insieme al “Green Pass”

Dopo giorni di confusione, la ministra Lamorgese ha detto che non spetta agli esercenti verificare l'identità di chi esibisce il certificato

(ANSA/ANGELO CARCONI)
(ANSA/ANGELO CARCONI)

Nelle ultime ore è emersa una certa confusione su come debbano funzionare i controlli dei “Green Pass”: alcune formulazioni non troppo chiare delle leggi con cui sono stati introdotti sembravano attribuire anche ai ristoratori o ai proprietari dei locali la responsabilità di controllare i documenti di identità di chi li esibisce, per verificarne l’autenticità; ma recenti dichiarazioni della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese indicano invece che non spetta a loro, perché non essendo pubblici ufficiali non possono obbligare le persone a mostrare un documento.

Quei controlli quindi spettano solo agli agenti delle forze dell’ordine durante eventuali controlli a campione, ha specificato Lamorgese. Questo ha fatto emergere dei dubbi sull’efficacia dello strumento del “Green Pass”, la cui autenticità – il fatto cioè che appartenga davvero alla persona che lo esibisce – potrebbe rimanere molto spesso non verificata. Ma è un problema che si è presentato nello stesso modo in Francia, per esempio, dove è stato risolto analogamente (cioè esentando gli esercenti dai controlli sui documenti).

Dopo che era emersa la questione, e dopo che associazioni di ristoratori avevano protestato all’idea di fare una cosa che non spetterebbe loro (controllare i documenti di identità), Lamorgese ha detto che i titolari dei locali sono tenuti a chiedere ai clienti solo i “Green Pass”: «Nessuno pretende che gli esercenti chiedano i documenti, i ristoratori non devono fare i poliziotti e non sono tenuti a chiedere la carta di identità», ha detto la ministra, paragonando l’esibizione del “Green Pass” a quella dei biglietti per entrare al cinema.

La questione nasce da una formulazione non molto chiara del decreto, che prevede per i commercianti l’obbligo di verificare i certificati ma non i documenti d’identità, aprendo di fatto un vuoto normativo nei controlli: si dice che gli esercenti possono (non devono) chiedere il documento. Questo nonostante, in realtà, la richiesta di esibire un documento sia una pratica assai frequente anche nei locali: per esempio per servire alcolici (in base all’articolo 14 ter della legge n.125 del 2001), per noleggiare una bicicletta, alla reception di un albergo, eccetera.

La prima interpretazione del decreto sembrava insomma attribuire agli esercenti l’obbligo di controllare il documento di identità, ma la cosa aveva provocato lamentele da parte dei ristoratori e delle associazioni di categoria, contrari al fatto che la responsabilità di accertarsi dell’identità del cliente, e quindi di vigilare sull’uso improprio del “Green Pass”, spettasse a loro.

In caso di violazioni sono previste multe da 400 a 1.000 euro sia a carico dell’esercente sia dell’utente e la chiusura da 1 a 10 giorni dell’esercizio, se le infrazioni dovessero essere riscontrate per tre volte in tre giorni diversi. La ministra Lamorgese ha dato quindi ragione ai commercianti e ha detto che nel corso della giornata di martedì sul sito del governo verranno pubblicati alcuni chiarimenti sulla questione, parlando anche di una circolare ministeriale che dovrebbe integrare il decreto. Questo peraltro ha sollevato delle critiche riguardo alla gerarchia delle fonti del diritto: una circolare – o delle FAQ sul sito del governo – normalmente non sono considerate al pari di un decreto legge, ma è una cosa che è successa di frequente in quest’ultimo anno e mezzo.

Cosa prevede la legge
Il decreto legge del 23 luglio con cui è stato introdotto l’obbligo del “Green Pass” – i certificati che attestano la somministrazione di almeno una dose del vaccino contro il coronavirus, di essere guariti dalla COVID-19 da meno di sei mesi o di essere risultati negativi a un test nelle precedenti 48 ore – fa riferimento alle modalità di verifica indicate da un decreto precedente, del 17 giugno 2021, che all’articolo 13, comma 4, prevede che «l’intestatario della certificazione verde COVID-19 all’atto della verifica di cui al comma 1 dimostra, a richiesta dei verificatori di cui al comma 2, la propria identità personale mediante l’esibizione di un documento di identità». Quindi, per l’appunto, prevede che i titolari dei locali possano richiedere i documenti d’identità, ma non indica che sono obbligati a farlo.

A creare ulteriore confusione c’è l’app VerificaC19, fatta appositamente per gli esercenti in modo che possano effettuare i controlli della validità dei “Green Pass” inquadrando il codice QR dei certificati con lo smartphone. Al momento del controllo, l’app mostra un messaggio in cui si dice che «per completare la verifica è necessario confrontare i seguenti dati anagrafici con quelli di un documento d’identità valido», suggerendo quindi che chi la usa debba anche verificare i documenti d’identità.

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