A Pantelleria sempre meno persone raccolgono i capperi

C'entrano il turismo, la perdita del tradizionale passaggio di conoscenze tra genitori e figli e il cambiamento climatico

(Rosario Cappadonia/Wikimedia)
(Rosario Cappadonia/Wikimedia)
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All’inizio di maggio, a Pantelleria, è sbarcato un ragazzo che voleva conoscere tutto della raccolta dei capperi, il prodotto più noto dell’isola al centro del mar Mediterraneo, centodieci chilometri a Sud della Sicilia. È arrivato dalla provincia di Trento ed è stato assunto dall’azienda Bonomo&Giglio, che da 71 anni produce capperi e li spedisce nei ristoranti in molti paesi del mondo. Gabriele Lasagni, amministratore delegato dell’azienda, ha raccontato che il nuovo dipendente è stato accolto con entusiasmo, perché trovare raccoglitori è da tempo molto difficile.

Negli ultimi decenni si è perso parte del tradizionale passaggio di conoscenze tra genitori e figli, sono stati abbandonati molti cappereti, e nell’economia dell’isola il turismo ha preso il posto dell’agricoltura.

La produzione è inevitabilmente diminuita. Negli anni Ottanta, quando il cappero di Pantelleria attraversava il suo periodo di massima notorietà, venivano prodotti circa 12mila quintali di capperi ogni anno. Di recente non sono mai stati superati i 2mila quintali. I produttori sono circa 400, dal contadino che ne raccoglie qualche chilo da solo, fino alle aziende che arrivano a produrne 80 quintali all’anno.

Con cappero di Pantelleria si intende il bocciolo della pianta appartenente alla specie botanica “Capparis spinosa” di varietà Inermis, frutto di una selezione genetica operata dai contadini panteschi nel corso dei secoli. Dal 1996 ha ottenuto l’indicazione geografica tipica (IGP), l’unico cappero in Italia ad avere il riconoscimento europeo.

Pantelleria, isola di origine vulcanica, è il luogo ideale per la produzione dei capperi: il terreno è estremamente arido a causa della scarsa piovosità e sull’isola si trovano molti campi terrazzati ed esposti al sole, i cosiddetti cappereti.

La raccolta non può essere eseguita con le macchine: viene fatta a mano, quasi costantemente chinati o genuflessi, e per questo è molto faticosa. Il lavoro inizia tra le tre e le cinque del mattino per evitare il caldo. I capperi vanno raccolti uno a uno, prima che sbocci il fiore.

Dalla metà di maggio fino alla fine di settembre i raccoglitori passano sulle stesse piante ogni otto o dieci giorni, a seconda delle condizioni climatiche e del grado di maturazione. Poi i capperi raccolti vengono messi in un tino dove vengono ricoperti di sale marino grosso e mescolati ogni giorno per dieci giorni. L’acqua di vegetazione viene eliminata e deve essere eseguita una seconda salatura per altri dieci giorni. Infine i capperi vengono confezionati.

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Fino a pochi anni fa, la mancanza di raccoglitori dovuta al graduale abbandono dell’agricoltura da parte degli abitanti di Pantelleria era stato sopperita dall’arrivo di una piccola comunità rumena che si era trasferita sull’isola per cercare nuove opportunità di lavoro. In poco tempo donne e uomini rumeni erano riusciti a diventare oltre la metà della manodopera impiegata nella produzione. Ma negli ultimi anni il cambio meno conveniente tra l’euro e il leu rumeno, la moneta ufficiale della Romania, ha portato molte di queste famiglie a tornare nel loro paese di origine.

Anche la crescita del turismo ha avuto conseguenze sulla ricerca dei raccoglitori. La raccolta avviene nei mesi estivi, quando le case dell’isola vengono affittate ai turisti: in questo periodo i prezzi degli affitti si alzano, così come quelli dei beni di prima necessità, e per un raccoglitore stagionale è diventato meno conveniente lavorare a Pantelleria.

(Rosario Cappadonia/Wikimedia)

L’epidemia da coronavirus ha ulteriormente aggravato la carenza di lavoratori.

Già dallo scorso anno Gabriele Lasagni, amministratore delegato di Bonomo&Giglio, aveva lavorato a un progetto di accoglienza di personale specializzato proveniente dal Marocco, dove la raccolta dei capperi è molto diffusa. Il nuovo blocco dei flussi migratori entrato in vigore all’inizio dell’anno ha costretto la sua azienda a rinunciare a otto raccoglitori specializzati e non è stato possibile trovarne altri in così poco tempo.

«Purtroppo siamo stati costretti ad abbandonare il 40 per cento della superficie produttiva perché non riuscivamo a gestire la raccolta», ha detto Lasagni. «Abbiamo preferito abbandonare questi terreni nonostante fossero stati preparati durante i mesi invernali».

Anche altri produttori hanno dovuto abbandonare parte della superficie dei loro cappereti. È una decisione difficile e spesso irreversibile perché quando una pianta viene trascurata ne risente la qualità del prodotto. «Se i raccoglitori non riescono a passare entro dieci giorni, il fiore sboccia, la pianta va a frutto e le sue forze vitali non vengono utilizzate per fare altri capperi», ha spiegato Lasagni. «Spesso la pianta si indurisce e si ritira. Inoltre se passiamo in ritardo rischiamo di trovare capperi già sfogliati, che sono comunque molto buoni, ma hanno un valore inferiore rispetto a quelli più piccoli».

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Oltre a tutti questi problemi, che rischiano di compromettere il futuro della produzione tradizionale, anche a Pantelleria si vedono gli effetti del cambiamento climatico.

La pianta del cappero è molto resistente e non ha bisogno di molta acqua, ma nel 2018, dopo tre anni di inverni poco piovosi, alcuni produttori hanno iniziato a pensare come poter irrigare i loro cappereti perché le piante stavano soffrendo: fino ad allora non era mai stato necessario considerare questa possibilità.

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Anche quest’anno la siccità ha ridotto la produzione, ma la minaccia più preoccupante ha riguardato la diffusione di una cimice di origine africana, la bagrada hilaris.

Fino agli anni Settanta questo insetto era presente solo in alcune zone dell’isola, mentre più di recente si è diffuso anche nei cappereti a causa delle temperature più alte e della siccità. I suoi attacchi provocano macchie bianche e appassimento delle foglie, arrestando la produzione di clorofilla e interrompendo il ciclo produttivo dei capperi, con notevoli danni alle piante. Negli ultimi anni è stato avviato un progetto di ricerca con l’università di Palermo per trovare una soluzione.

Per conservare le conoscenze che fino a pochi anni fa erano tramandate dai genitori ai figli, invece, è stato aperto il museo del cappero di Pantelleria. Oltre a raccontare la storia centenaria della produzione, l’allestimento del museo consente di capire con precisione tutte le caratteristiche che rendono il cappero di Pantelleria diverso dagli altri capperi – al tatto, all’olfatto e al gusto – come dimostra il riconoscimento dell’indicazione geografica tipica.