Un brutto anno per le pesche

La produzione è stata quasi dimezzata a causa delle gelate primaverili, i cui effetti sono pericolosamente amplificati dal riscaldamento globale

(Mauro Scrobogna /LaPresse)
(Mauro Scrobogna /LaPresse)

All’inizio di maggio Maria Santa Filippi ha iniziato a guardare i suoi alberi di pesco con preoccupazione: le gelate di poche settimane prima, nel mese di aprile, avevano causato un calo anomalo delle temperature in molte zone del Centro Italia tra cui Castel D’asso, in provincia di Viterbo, dove si trova la sua azienda. Se il 2021 fosse stato un anno normale, dalle migliaia di alberi coltivati sarebbero stati raccolti circa cinquemila quintali di pesche da distribuire nei supermercati di tutta Italia. Ma quest’anno, proprio a causa delle gelate, la produzione si è fermata a circa 500 quintali, il 90 per cento in meno rispetto al massimo possibile nei quaranta ettari coltivati.

«Il clima è stato davvero anomalo: nonostante la nostra non sia una zona fredda, le temperature sono scese fino a meno 4 gradi centigradi», dice Filippi. Questo netto calo della produzione ha costretto l’azienda a dimezzare il numero di dipendenti stagionali, passati da quindici a sette, e Filippi a interrogarsi sul futuro di un mercato così incerto.

– Leggi anche: I danni delle gelate nei frutteti c’entrano col cambiamento climatico

Le gelate di aprile hanno causato notevoli danni a decine di altri produttori di frutta italiani che ogni anno devono affrontare condizioni meteorologiche non più considerate eccezionali: la perdita di parte della produzione dovuta a gelo e grandine è ormai una consuetudine.

Le gelate erano arrivate dopo settimane in cui le temperature erano state sopra la media stagionale, accelerando la fase vegetativa degli alberi. Con l’arrivo del freddo, lo sbalzo termico ha causato danni molto gravi. È andata persa una quota rilevante delle coltivazioni soprattutto nelle regioni del Nord, in Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Sono stati segnalati danni da gelo anche al Sud, in particolare in Campania, Basilicata e Calabria.

«Il problema non è la gelata ma l’effetto che ha sulle piante a seconda della fase fenologica in cui si trovano» aveva spiegato lo scorso aprile al Post Francesca Ventura, docente di Agrometeorologia ed ecologia agraria dell’Università di Bologna. «Se è pieno inverno, non ci sono gemme, deve essere davvero estrema per fare danni. Se invece ci sono organi sensibili al freddo come i fiori o i frutticini, può causare un danno irreversibile per quella stagione. Sono le tempistiche che non funzionano più: le piante hanno un loro contatore fisiologico interno legato alle condizioni meteorologiche, fioriscono quando percepiscono l’arrivo della primavera. Ora fa caldo prima che in passato, le piante fioriscono prima». Ed è per questo che sono più vulnerabili alle gelate tardive, quelle che avvengono all’inizio della primavera.

In una stagione senza gelate e altre anomalie climatiche, in Italia vengono solitamente prodotte circa 1,2 milioni di tonnellate di pesche: il 33 per cento in Campania, il 16 per cento in Emilia-Romagna, il 12 per cento in Sicilia, mentre in Piemonte, Basilicata e Calabria rispettivamente il 5 per cento. Secondo le stime elaborate a giugno dal CSO, il centro servizi ortofrutticoli, un’associazione di imprese specializzate, quest’anno ne verranno prodotte 747mila tonnellate, il 44 per cento in meno rispetto alla media tra il 2015 e il 2019. Per l’Italia si tratta del livello più basso degli ultimi trent’anni. «I danni per quest’anno ammontano a un miliardo di euro» ha detto al Sole 24 Ore Cristian Moretti, direttore generale di Agrintesa, azienda leader nel comparto dell’ortofrutta fresca, con un fatturato da 300 milioni e 4mila agricoltori associati.

Gli effetti del cambiamento climatico hanno avuto conseguenze anche sul mercato e sulla distribuzione territoriale delle aziende. I dati elaborati da ISMEA, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, dicono che c’è stato un calo degli ettari coltivati in molte regioni, soprattutto al Nord: il confronto tra il 2020 e i due anni tra il 2017 e il 2018 mostra una diminuzione del 23 per cento della superficie coltivata in Piemonte, del 22 per cento in Veneto e del 18 per cento in Emilia-Romagna. Al contrario, nelle regioni del Sud è aumentata leggermente, in particolare in Puglia, Sicilia e Campania.

Nei prossimi mesi, quando saranno pubblicati i dati aggiornati al 2021, sarà possibile capire se c’è stata un’ulteriore diminuzione, in particolare in alcune regioni come l’Emilia-Romagna, dove ai danni delle gelate si sono aggiunti anche quelli causati dalle grandinate. L’8 luglio, nei campi di Fontanelice, un piccolo comune di provincia di Bologna, la grandine ha quasi azzerato la produzione di pesche, nettarine e albicocche, già compromessa dalle gelate di aprile. «In pochi minuti la grandine ha distrutto il lavoro di un anno intero», ha scritto in una nota la Coldiretti dell’Emilia-Romagna. «L’effetto dei cambiamenti climatici con l’alternarsi di siccità e alluvioni non impatta solo sul turismo, ma ha fatto perdere oltre 14 miliardi di euro in un decennio, tra cali della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne con allagamenti, frane e smottamenti».

Negli ultimi anni il calo della produzione nazionale ha imposto un ribilanciamento commerciale: è diminuita la quota di pesche esportate e sono aumentate le importazioni, in particolare delle pesche spagnole, coltivate precocemente. Nel 2020 sono stati esportati 77 milioni di chili di pesche, la metà rispetto all’anno precedente, con 108 milioni di euro di introiti. Le importazioni, che per circa l’80% riguardano la Spagna, sono stabilmente sopra i 100 milioni di chili ogni anno con una spesa di oltre 100 milioni di euro. Le pesche importate costano molto di più, perché in Italia arrivano soprattutto le primizie, la cui produzione è concentrata nella prima parte della stagione quando il prezzo medio è più alto.

Il prezzo medio è aumentato in modo significativo – del 28 per cento – anche al dettaglio, con tempi molto ristretti per studiare eventuali misure correttive perché l’acquisto di pesche da parte dei consumatori è concentrato in pochi mesi, tra giugno e settembre.

(ANSA/GIORGIO BENVENUTI)

Al di là del contrasto al cambiamento climatico, un impegno urgente e globale non solo per chi si occupa di agricoltura, il report realizzato da ISMEA individua alcune possibili strategie per rendere più competitive le pesche italiane sul mercato nazionale e internazionale. Si parla di “innovazione varietale”, cioè della selezione di varietà di piante che possono produrre frutti di alta qualità e con caratteristiche più vicine ai gusti dei consumatori: l’elevata pezzatura – diametro più grande e peso maggiore rispetto alle attuali produzioni –, un sapore più dolce e aromatico, un colore più intenso ed esteso, una produttività elevata e costante, una maggiore resistenza alle anomalie climatiche. Secondo ISMEA, questo processo sarà valido solo se pensato dalla filiera produttiva, coinvolgendo gli esperti che si occupano della selezione delle varietà e del miglioramento genetico, ma anche i vivaisti, le aziende produttrici, la distribuzione e infine i consumatori.