Un insetto sta distruggendo i pini di Roma

La cocciniglia tartaruga, un parassita arrivato dall'America, in Italia non ha predatori: ma c'è un piano

Pini fotografati da viale Vaticano, a Roma, 1 marzo 2019 (LaPresse - Andrea Panegrossi)
Pini fotografati da viale Vaticano, a Roma, 1 marzo 2019 (LaPresse - Andrea Panegrossi)

All’inizio del 2014 ci si accorse che i pini domestici intorno al lago Patria, in provincia di Napoli, avevano qualcosa che non andava: gli aghi ingiallivano e cadevano e i rami erano in parte coperti da una sostanza appiccicosa, o da un’altra nerastra. All’epoca non si sapeva, ma i pini erano stati attaccati da un insetto parassita, la cocciniglia tartaruga, che da allora si è diffuso in altre parti della Campania e nel Lazio, causando la morte di molti alberi. Nel 2018 è stato visto per la prima volta sui pini di Roma, che ancora oggi rischiano di essere sterminati dall’infestazione. Ma c’è un piano per salvarli.

La cocciniglia tartaruga, il cui nome scientifico è Toumeyella parvicornis, è un insetto parassita dei pini proveniente dal Nord America: il suo areale, cioè il territorio in cui vive, si estende dal sud del Canada al nord del Messico. Nel suo ambiente d’origine non è una specie particolarmente dannosa per gli alberi perché la sua diffusione viene limitata da una serie di predatori, tra cui varie specie di coccinelle, alcuni bruchi, ragni e uccelli.

La Toumeyella parvicornis deve il suo nome comune al fatto che il dorso delle femmine adulte ricorda un carapace di tartaruga. Gli esemplari più giovani hanno forma ovale, sono rossicci e si spostano grazie a sei corte zampe, poi crescendo maschi e femmine si differenziano. I maschi sviluppano delle ali e vivono per un giorno o due nella forma adulta, quindi sono più difficili da vedere. Le femmine invece si ancorano ai germogli o agli aghi degli alberi che infestano e perdono la capacità di spostarsi; hanno perlopiù una forma semisferica e sono lunghe al massimo 4 millimetri e mezzo. Ci sono animali più belli.

Tre femmine adulte di cocciniglia tartaruga su un germoglio di pino domestico (Servizio Fitosanitario Nazionale)

La sostanza appiccicosa che si trova sui pini infestati dalla cocciniglia tartaruga, e che spesso si sparge anche nelle loro vicinanze (imbrattando per esempio le auto parcheggiate sotto ai rami) è la melata, una secrezione zuccherina che le cocciniglie producono mentre si nutrono della linfa degli alberi. Invece la sostanza nerastra è un fungo che si nutre della melata, detto fumaggine.

In Italia la cocciniglia tartaruga prospera perché non ci sono predatori che ne limitino lo sviluppo: alcuni insetti sono stati osservati mangiare cocciniglie tartaruga, ma non in misura sufficiente da contrastarne la diffusione. Per questo sui pini italiani le cocciniglie tartaruga sono riuscite a creare fitte colonie che possono causare la morte degli alberi infestati a causa della «continua sottrazione di linfa e riduzione della capacità fotosintetica dei pini» dovuta alla presenza della melata, della fumaggine e degli stessi insetti, spiegano le linee guida per la gestione del parassita realizzate a settembre dal Comitato Fitosanitario Nazionale del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali.

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La specie finora più colpita è il pino domestico (Pinus pinea); sono state trovate delle cocciniglie anche sui pini marittimi (Pinus pinaster) e, raramente, sui pini d’Aleppo (Pinus halepensis), ma queste specie sembrano più tolleranti. Prima di arrivare in Italia, la cocciniglia era già stata introdotta accidentalmente nei Caraibi, a Porto Rico e a Turks e Caicos, territorio britannico d’Oltremare, dove ha quasi portato all’estinzione di una varietà di pino autoctona, il Pinus caribaea var. bahamensis.

Non si sa come la cocciniglia tartaruga sia arrivata in Campania e poi a Roma, anche se è probabile che come per altre specie animali invasive tutto sia cominciato a causa di uno scambio commerciale con l’estero. Si sa però che l’insetto si diffonde da una pianta all’altra per il contatto tra le chiome, attraverso il vento e grazie ad altre forme di trasporto, tra cui il traffico di mezzi pesanti che possono creare turbolenze sulle chiome degli alberi che si trovano lungo le strade.

Si sa anche che la cocciniglia tartaruga, che attualmente infesta la costa campana dal nord della provincia di Caserta fino a Salerno, oltre ad alcune zone delle province di Benevento e Avellino, è presente a Roma almeno dalla metà del 2018, quando fu trovata su alcuni pini del sud-est della città. Inizialmente infestava gli alberi dei quartieri Eur, Torrino e Mostacciano, ma nel corso del 2019 si è diffusa in tutta la città arrivando fino alla pineta di Castel Fusano, vicino alla foce del Tevere. A Roma si stima che ci siano 51 mila pini, esclusi quelli dei grandi parchi della città, quello dell’Appia antica, quello di Villa Ada e quelli sotto la gestione dell’ente RomaNatura; considerando anche questi si arriva a più di un milione.

Il 12 marzo il ministero della Salute ha autorizzato per la prima volta l’uso estensivo di un insetticida contro la cocciniglia tartaruga, come misura emergenziale. Il prodotto fitosanitario in questione si chiama Vargas e contiene la sostanza chimica abamectina. Potrà essere somministrato ai pini per un periodo di 120 giorni a partire dal primo maggio attraverso endoterapia, cioè iniettando la sostanza nei tronchi. Le cocciniglie la assorbono attraverso la linfa e ne vengono avvelenate, e al tempo stesso la sostanza insetticida non si diffonde troppo nell’ambiente circostante (che in città comprende strade e case) perché viene applicata all’interno degli alberi.

 

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L’abamectina è già stata testata con successo sui pini dei Giardini vaticani. Fin dal 2019 i pini del Vaticano erano stati trattati con saponi di potassio, olio paraffinico e olio di Neem, efficaci a «contenere lo sviluppo» della cocciniglia tartaruga ed «evitare danni consistenti alle piante», aveva spiegato all’Osservatore romano il responsabile del Servizio Giardini e Ambiente del Vaticano Rafael Tornini. Ma queste sostanze non avevano permesso di ottenere «un abbattimento sostanziale della popolazione dell’insetto». Nell’estate del 2020 quindi era stata fatta una sperimentazione su 15o pini a cui, per endoterapia, erano state iniettate tre sostanze diverse, tra cui l’abamectina. Quest’ultima è quella che ha avuto più successo: «Osservando un campione di 126 adulti si è ottenuto un risultato del 95,24 per cento di efficacia per morte di questo tipo di cocciniglia».

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Altre sperimentazioni sono state fatte anche dal comune di Roma e da gruppi di cittadini. Nel corso dell’estate scorsa nel parco di Villa Leopardi, nel quartiere Africano, sono state liberate migliaia di coccinelle, nella speranza che diventassero predatrici della cocciniglia: l’iniziativa però non è stata risolutiva. Il comune invece ha fatto degli esperimenti, anche con l’endoterapia, su pini dell’Eur e del Circo Massimo: in totale sono stati coinvolti quattromila alberi. A Saxa Rubra invece è stata organizzata una raccolta fondi di cittadini per pagare i trattamenti per endoterapia per gli alberi del quartiere. Nel quartiere Fleming si pensa di fare la stessa cosa.

Il 13 aprile Italia Nostra, altre associazioni e comitati di cittadini hanno tenuto una manifestazione di protesta davanti alla sede del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, per chiedere maggiori interventi e soprattutto lo stanziamento di più fondi per contrastare la cocciniglia tartaruga. Italia Nostra ha stimato che servano 5 milioni di euro, considerando un costo di 50 euro per sottoporre un singolo albero a endoterapia: per ora il comune di Roma ne ha stanziati 350mila a cui si aggiungono i 500mila euro promessi dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti dopo le proteste.

L’assessora all’Ambiente Laura Fiorini invece ha risposto alla manifestazione di protesta annunciando che, grazie all’autorizzazione del ministero della Salute, dal primo maggio si inizierà a trattare con abamectina «circa il 50 per cento dei pini comunali aggrediti» dalla cocciniglia tartaruga.

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