Draghi ha rimosso il segreto di Stato su P2 e Gladio

Sono due organizzazioni coinvolte in alcuni degli eventi più terribili della storia recente d'Italia, ma sono improbabili grandi rivelazioni

Licio Gelli, venerabile maestro della loggia P2, nel 2008 (Riccardo Sanesi/Lapresse)
Licio Gelli, venerabile maestro della loggia P2, nel 2008 (Riccardo Sanesi/Lapresse)

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha firmato una direttiva che dispone la declassificazione del segreto di Stato degli atti sulla Loggia P2 e sull’organizzazione Gladio. Lo ha deciso lunedì, quarantunesimo anniversario della strage terroristica più terribile che abbia colpito l’Italia, quella del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, le cui vicende, tra le altre cose, sono strettamente intrecciate con le trame messe in atto dalla loggia massonica P2 e con la storia dell’organizzazione Gladio.

La decisione presa da Draghi è importante, anche in considerazione della rilevanza nella storia italiana recente delle due organizzazioni coinvolte. Nonostante questo, le speranze che possa portare a rivelazioni di peso sono limitate: finora le svolte principali in casi come quello della strage di Bologna sono avvenute nel corso delle indagini e dei processi, e non grazie alle desecretazioni. Parte del problema sta nel modo in cui le desecretazioni sono fatte, in maniera a volte confusa, spesso parziale e sempre sotto la supervisione dei servizi segreti.

Secondo la nota ufficiale, «il presidente del Consiglio ha ritenuto doveroso dare ulteriore impulso alle attività di desecretazione. L’iniziativa adottata potrà rivelarsi utile ai fini della ricostruzione di vicende drammatiche che hanno caratterizzato la recente storia del nostro Paese».

In pratica il presidente del Consiglio ha chiesto al Dis, il Dipartimento per le informazioni e la sicurezza, di recuperare attraverso le agenzie di intelligence tutta la documentazione finora secretata su un determinato tema e di «versarla» – questo il termine tecnico che viene utilizzato – nell’Archivio centrale dello Stato.

Non sarà un’operazione immediata, servirà qualche mese.

P2 e Gladio
La Propaganda 2 fu una loggia massonica che, sotto la direzione dell’imprenditore toscano Licio Gelli (Gran maestro venerabile della loggia) divenne un’associazione composta da politici, industriali, uomini della finanza, giornalisti, militari, funzionari e vertici di polizia e servizi segreti. Tutti uniti da uno scopo: portare avanti un cosiddetto “Piano di rinascita democratica”, che mirava a sostituire i vertici delle istituzioni con aderenti alla loggia.

L’obiettivo finale era portare alle estreme conseguenze la cosiddetta “strategia della tensione” (cioè, semplificando molto, una strategia di destabilizzazione del paese tramite attentati terroristici) per trasformare l’Italia in una dittatura “morbida”. Quando nel 1981 la loggia fu scoperta, si capì che le vicende d’Italia degli ultimi decenni sarebbero state riscritte: la mano degli uomini della P2 era intervenuta nei fatti più gravi della storia del paese.

– Leggi anche: È da quarant’anni che cerchiamo di capire la P2

Gladio era un’organizzazione paramilitare che faceva parte di una rete internazionale chiamata “Stay Behind”: era una struttura che doveva essere pronta a intervenire nel caso di un’ipotetica invasione dell’Europa occidentale da parte del blocco comunista guidato dall’Unione Sovietica. A crearla e armarla fu, dal dopoguerra, la CIA americana, Central intelligence agency, che selezionò gli uomini dell’organizzazione negli ambienti anticomunisti.

Le vicende di Gladio, P2 e protagonisti della destra eversiva si intrecciarono ed ebbero parte importante nei cosiddetti anni di piombo, dal 1969 ai primi anni Ottanta. Di Gladio si sentì parlare per la prima volta durante le testimonianze di un aderente all’organizzazione fascista Ordine Nuovo, Vincenzo Vinciguerra, nel 1984. Fu poi l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti, nel 1990, ad affermare ufficialmente che Gladio esisteva ed era una struttura di «informazione, risposta e salvaguardia».

– Leggi anche: La storia di Gladio

Come funziona il segreto di Stato
Il segreto di Stato può essere apposto solo dal presidente del Consiglio che deve spiegare al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR, cioè il corpo del parlamento che sorveglia le attività dei servizi d’intelligence) le ragioni della decisione. Può essere solo il presidente del Consiglio a decidere di togliere oppure di diminuire il livello di segretezza. Secondo la legge italiana il segreto di Stato può essere applicato «su atti, documenti, notizie, attività, cose e luoghi la cui conoscenza non autorizzata può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali dello Stato».

La legge disciplina anche il rapporto tra il segreto di Stato e i processi penali: «L’esistenza del segreto di Stato impedisce all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzo, anche indiretto, delle notizie sottoposte al vincolo, fermo restando la possibilità per il giudice di ricorrere ad altri strumenti di prova, purché gli stessi non incidano sul medesimo oggetto».

Il segreto di Stato dura per legge 15 anni, ma sempre il presidente del Consiglio può prolungarne la durata fino a 30.

C’è poi una differenza del livello di segretezza tra i documenti cosiddetti «classificati»: segretissimo (SS); segreto (S); riservatissimo (RR); riservato (R). Quanto agli ambiti in cui il segreto può essere applicato, la legislazione è chiara: «L’integrità della Repubblica anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a fondamento della Repubblica; l’indipendenza dello Stato rispetto ad altri Stati e in relazione con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato».

I problemi delle ultime desecretazioni
Nel 2008 il presidente del Consiglio Romano Prodi decise di desecretare i documenti relativi al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro. Nel 2014 fu Matteo Renzi a decidere che venissero desecretati i documenti relativi ad avvenimenti che dal 1969 avevano segnato la storia d’Italia: la direttiva riguardava “gli eventi di Piazza Fontana a Milano (1969), di Gioia Tauro (1970), di Peteano (1972), della Questura di Milano (1973), di Piazza della Loggia a Brescia (1974), dell’Italicus (1974), di Ustica (1980), della stazione di Bologna (1980), del Rapido 904 (1984)”.

Non andò tutto liscio, anzi: spesso i criteri usati per la desecretazione hanno reso più difficile e complicato lo studio delle carte. Lo dice al Post Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di Bologna:

«I documenti che vennero consegnati dopo la direttiva Renzi non furono le serie complete, come sarebbe stato utile e ovvio, ma documentazioni smembrate. In pratica, vennero versate le pagine che per esempio contenevano la parola “strage”, ma è ovvio che della strage alla stazione di Bologna si può parlare anche in documenti che non contengono quella parola. Molti documenti arrivarono poi pecettati, cioè con parti annerite per non far sapere a chi era indirizzata quella determinata lettera o chi abitava in quel determinato appartamento».

A lavorare sulla desecretazione dei documenti sono dunque gli stessi che li hanno secretati, e cioè i servizi segreti.

Inoltre lo stesso regolamento che stabilisce come devono essere classificati e archiviati i documenti è un documento classificato. Un segreto nel segreto. Continua Bolognesi: «Raccapezzarsi così è difficilissimo. Inoltre, [al momento della direttiva di Matteo Renzi, ndr] per decidere cosa desecretare venne istituito un comitato deciso dalla presidenza del Consiglio. I servizi segreti dissero: noi abbiamo dato ciò che ci hanno detto di dare, ma non era certo tutto. Altrimenti non ci sarebbe stato bisogno della direttiva di Mario Draghi. In realtà la documentazione su P2 e Gladio doveva già essere contenuta nei documenti della direttiva Renzi».

Nel caso della direttiva Renzi, inoltre, gli archivisti dell’Archivio di Stato, cioè dell’ente che deve accogliere e gestire il materiale desecretato, non furono coinvolti nell’operazione: «Si videro arrivare i documenti smembrati, senza aver partecipato al lavoro di recupero e di assemblamento. Difficile capire dove e come metterci le mani», dice Bolognesi. «Speriamo che questa volta sia diverso».

Secondo Bolognesi, «la decisione di Mario Draghi è positiva ma bisogna vedere come verrà applicata. A dire la verità finora dalle desecretazioni non abbiamo ottenuto molto. Le verità emerse sono sempre venute fuori in fase di indagine e processuale».