La storia di Gladio

Trent'anni fa Giulio Andreotti confermò l'esistenza di una struttura militare segreta legata alla NATO, con una storia lunga e oscura

Contestazione studentesca a Roma del 12 dicembre 1990, anniversario della strage di piazza Fontana (Archivio ANSA)
Contestazione studentesca a Roma del 12 dicembre 1990, anniversario della strage di piazza Fontana (Archivio ANSA)

Il 1990 era un anno carico di aspettative per il futuro, in Europa. Per quanto possa sembrare strano oggi, a maggio Toto Cutugno cantò con ottimismo un inno europeista sul palco croato dell’Eurovision, una canzone che celebrava il futuro trattato di Maastricht. A ottobre la Germania Ovest – che aveva appena vinto i Mondiali di calcio – annetté la Germania Est, dopo che i due paesi erano rimasti divisi per più di quarant’anni. Gli antichi conflitti della Guerra fredda erano in via di risoluzione, con il presidente degli Stati Uniti George H. W. Bush e quello dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov che si incontravano sempre più spesso. Un anno prima il muro di Berlino era stato abbattuto e il politologo americano Francis Fukuyama si chiedeva retoricamente se quell’epoca stesse per segnare “la fine della storia”, in un articolo clamorosamente smentito dai fatti dei decenni successivi.

In questo clima, l’allora presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti ritenne che fosse arrivato il momento di parlare apertamente di Gladio, una struttura militare segreta che operava in Italia almeno dagli anni Cinquanta con lo scopo di resistere a una presunta occupazione nemica. Andreotti confermò la sua esistenza in un discorso alla Camera il 24 ottobre del 1990, trent’anni fa, dopo averne scritto in una relazione inviata il 18 ottobre alla Commissione parlamentare sulle stragi e sul terrorismo. Ma non era la prima volta che Andreotti poneva la questione di Gladio: lo aveva fatto anche poco più di due mesi prima, sempre parlando con la Commissione. E non era neanche la prima volta che emergeva questa storia: il terrorista di destra Vincenzo Vinciguerra nel 1984 aveva parlato durante un processo di «una struttura parallela ai servizi di sicurezza» che dipendeva dalla NATO.


Gladio non era l’unica struttura di sicurezza parallela presente in Europa. Faceva parte di un insieme molto più ampio di operazioni segrete (in inglese covert operations), una sorta di rete di strutture in vari paesi del blocco occidentale. La rete si chiamava “Stay-Behind” e aveva diramazioni in quasi tutti i paesi della NATO, tra cui Grecia, Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi.

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Andreotti fu spinto a parlare con la Commissione stragi dopo un colloquio avuto a luglio del 1990 con il giudice Felice Casson, che stava indagando su una strage avvenuta nel 1972 e stava percorrendo una pista che lo aveva portato sostanzialmente a ricostruire la struttura e le operazioni di Gladio: così decise di chiedere ad Andreotti l’autorizzazione a consultare gli archivi dei servizi per le indagini, che – probabilmente visti i cambiamenti internazionali, e visto che la vicenda in un modo o nell’altro sarebbe venuta fuori – la concesse.

Il caso mediatico di Gladio montò lo stesso, anche se lentamente. Ad agosto, quando Andreotti cominciò a parlare con la Commissione stragi, i giornali di tutto il mondo – compresi quelli italiani – erano presi da una storia in quel momento più grossa: il presidente iracheno Saddam Hussein aveva appena invaso il Kuwait causando notevole scompiglio alla Casa Bianca, che decise poi di intervenire militarmente. In quei giorni sulle prime pagine dei giornali italiani non si parlava di Andreotti e di Gladio neanche in un trafiletto.

Dalla fine di ottobre, invece, le rivelazioni cominciarono a farsi più dettagliate e già il 4 novembre il Corriere della Sera titolava in prima pagina «Tempesta sui misteri di Gladio». Nel giro di poco la questione divenne materia di polemica politica tra governo e opposizione, soprattutto perché nella vicenda erano coinvolte due alte cariche dello Stato, vale a dire Andreotti e l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che peraltro reagì piuttosto male quando cominciarono le rivelazioni: si trovava in viaggio in Regno Unito e si affrettò ad ammettere la propria appartenenza a Gladio per giocare d’anticipo sulla stampa e sull’opposizione.

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Nella nota inviata alla Commissione Andreotti scriveva che la struttura di Gladio nacque ufficialmente il 26 novembre 1956, con un accordo tra il SIFAR e la CIA, ma in realtà la sua storia non inizia quel giorno. Già dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando cominciarono a emergere le prime divergenze tra Stati Uniti e Unione Sovietica, agli americani fu chiaro che nei paesi all’interno della loro sfera di influenza bisognava contenere a tutti i costi il comunismo. Tra questi paesi la priorità e le attenzioni maggiori ce le aveva l’Italia, per almeno due motivi: innanzitutto per la sua posizione geografica, al “confine” tra blocco occidentale e blocco sovietico, e poi per il fatto di avere uno dei partiti comunisti più forti e strutturati d’Europa. Alle elezioni del 1948 i comunisti e i socialisti si presentarono uniti – con il nome Fronte Democratico – e già durante quella campagna elettorale ci fu un’azione di propaganda da parte della divisione operazioni segrete della CIA (OPC), in favore della Democrazia Cristiana. Visto il successo, poi, l’allora presidente Harry Truman decise di proseguire con l’attività di intelligence.

Nel 1949 all’Italia fu concesso di entrare nella NATO nonostante il PCI, e in quello stesso anno si formò il SIFAR: nonostante fosse un servizio segreto italiano, la collaborazione del SIFAR con la CIA era strettissima, al punto che alcuni – tra cui lo storico Daniele Ganser – ritengono che il SIFAR non fosse completamente sotto sovranità italiana. A dirigerlo fu messo il generale Ettore Musco, che secondo alcuni documenti aveva già partecipato due anni prima a quella che il ricercatore Giacomo Pacini ha definito una «misteriosa» struttura anticomunista, cioè l’Armata Italiana delle Libertà.

Tra il 1952 e il 1954 il SIFAR e la CIA si accordarono per trovare un quartier generale delle operazioni segrete: fu scelto Capo Marrargiu, vicino ad Alghero, in Sardegna. Lì nel 1956 fu completata la costruzione di quello che venne chiamato CAG (Centro Addestramento Guastatori), con un piccolo porto, una pista per l’atterraggio degli aerei e una per gli elicotteri, un poligono di tiro e bunker sotterranei, tutto recintato da mura e barriere elettrificate. Le testimonianze di alcuni “gladiatori” – così erano chiamati i militari arruolati nell’operazione – raccontano qualcosa della segretezza in cui avvenivano le esercitazioni: persino loro non sapevano dove stavano andando o dove si trovassero. «Arrivavano con aeroplani camuffati e venivano trasferiti su pullman camuffati. Venivano scaricati davanti ai loro alloggi. Poi sarebbe iniziato l’addestramento», ha raccontato l’istruttore Decimo Garau.

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Dopo Musco arrivò a capo del SIFAR il generale Giovanni De Lorenzo, che Daniele Ganser nel suo libro Gli eserciti segreti della NATO descrive così: «con i suoi baffi, il monocolo e rigidi atteggiamenti militari De Lorenzo rappresentava lo stereotipo del generale vecchia scuola». De Lorenzo e il SIFAR furono peraltro tra i protagonisti di una vicenda particolarmente oscura della storia italiana, un piano per un presunto colpo di stato (il cosiddetto “Piano Solo”) che servì come arma di ricatto per ridimensionare le richieste del segretario socialista Pietro Nenni, il quale stava trattando con il democristiano Aldo Moro per la formazione del primo governo di centrosinistra del dopoguerra. Era il 1964.

Nel 1965 il SIFAR fu smantellato perché venne scoperta un’attività di dossieraggio che De Lorenzo e la CIA stavano facendo su tutta la classe dirigente italiana, raccogliendo soprattutto informazioni riservate e delicate che rendevano i politici ricattabili, come relazioni extraconiugali. Gladio passò allora sotto il controllo del neonato SID (Servizio Informazioni Difesa), prima con il generale Allavena e poi con il generale Eugenio Henke, con cui le attività di Gladio continuarono tra gli anni Settanta e Ottanta fino al suo scioglimento nel novembre del 1990. Soprattutto negli anni Settanta, Gladio collaborò anche con la cosiddetta loggia massonica P2 (“Propaganda 2”) di Licio Gelli, la quale in quegli anni lavorava per mantenere ai vertici dello stato personaggi il più possibile conservatori e di destra.

A seguito delle rivelazioni di Andreotti e fino al 2001, quattro diverse procure hanno indagato sulle vicende connesse a Gladio, e ci sono stati dieci processi istituiti con lo scopo di accertare le presunte deviazioni eversive che sarebbero state attuate dai membri della struttura. I processi e le indagini non hanno portato a nessuna condanna.