• Sport
  • Venerdì 30 luglio 2021

Il successo universale del taekwondo

È una disciplina che si può praticare ovunque, che non richiede grossi investimenti e che ha permesso a molti paesi di vincere la loro prima medaglia olimpica di sempre

L'atleta maliano Seydou Fofana (divisa blu) combatte contro l'atleta sudcoreano Lee Daehoon in un incontro di taekwondo 68 chili alle Olimpiadi di Tokyo, domenica 25 luglio 2021. (EPA/ Rungroj Yongrit via ANSA)
L'atleta maliano Seydou Fofana (divisa blu) combatte contro l'atleta sudcoreano Lee Daehoon in un incontro di taekwondo 68 chili alle Olimpiadi di Tokyo, domenica 25 luglio 2021. (EPA/ Rungroj Yongrit via ANSA)
Caricamento player

Nel 2016, alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, la Costa d’Avorio ottenne la prima medaglia d’oro olimpica della sua storia grazie alla vittoria di Cheick Sallah Cissé nella finale maschile 80 chili di taekwondo. Lo stesso anno anche la Giordania vinse il suo primo oro di sempre, con la vittoria di Ahmad Abughaush nella categoria 68 chili.

Il taekwondo, disciplina da cui è arrivato uno dei due ori vinti finora alle Olimpiadi di Tokyo grazie al ventenne Vito Dell’Aquila, è un’arte marziale di origine sudcoreana che nel tempo ha avuto grande successo anche in paesi che solitamente alle Olimpiadi non presentano delegazioni numerose, né ambiscono a vincere molte medaglie: spesso sono proprio atleti e atlete che combattono in questa disciplina a permettere ai propri paesi di vincere le loro prime medaglie olimpiche.

Era già successo anche altre volte, prima delle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Ad Atene nel 2004 Taiwan vinse in questa disciplina le sue due prime medaglie olimpiche: due ori olimpici, uno femminile e uno maschile. A Sidney nel 2000 arrivò la prima medaglia per il Vietnam, d’argento, a Pechino nel 2008 per l’Afghanistan, di bronzo, a Londra nel 2012 per il Gabon, e a Rio nel 2016 la prima per il Niger, sempre d’argento.

Cheick Sallah Cissé festeggia la vittoria alle Olimpiadi di Rio del 2016 (Dean Mouhtaropoulos/Getty Images)

Il taekwondo è originario della Corea del Sud, dove è lo sport nazionale, e si sviluppò in particolare negli anni Cinquanta; combina diversi elementi di altre arti marziali e si basa prevalentemente su varie tecniche di calcio. Fu presentato come evento dimostrativo ai Giochi Olimpici di Seul del 1988, proprio in Corea del Sud, e fu introdotto tra le discipline olimpiche a Sydney 2000.

Oggi viene praticato da decine di milioni di persone in tutto il mondo e la sua organizzazione internazionale, World Taekwondo, ha 210 paesi membri. Negli anni si è diffuso soprattutto in vari paesi dell’Africa, dell’Asia e del Medio Oriente, tra cui appunto in molti di quelli che hanno vinto solo una o due medaglie nella storia delle Olimpiadi. La medaglia d’argento del gabonese Anthony Obame a Londra 2012, per esempio, è l’unica mai ottenuta dal paese ai Giochi Olimpici, mentre quella del nigerino Abdoul Razak Issoufou a Rio de Janeiro è la seconda dopo quella di bronzo ottenuta da Issaka Daborg a Monaco 1972 nella boxe.

– Leggi anche: La prima medaglia d’oro italiana alle Olimpiadi, nel taekwondo

Il presidente del Comitato Olimpico del Niger, Issaka Ide, ha detto al New York Times che «per un paese povero come il Niger» il taekwondo «è lo sport migliore», perché è molto facile da praticare senza il bisogno di particolare attrezzatura: una cosa che ne ha favorito la diffusione e il successo anche in paesi senza grandi risorse da investire.

Il segretario generale del Comitato Olimpico della Giordania, Nasser Majali, ha detto che dopo la vittoria di Abughaush alle Olimpiadi del 2016 nel paese furono vendute 50mila tute da taekwondo. Domenica invece l’oro nella categoria maschile 68 chili è stato vinto dal 19enne uzbeko Ulugbek Rashitov: per incoraggiare la pratica della disciplina, soltanto tre anni fa all’Università della capitale Tashkent era stato fondato un dipartimento dedicato interamente a questo sport.

Il 19enne uzbeko Ulugbek Rashitov festeggia la vittoria della medaglia d’oro nella categoria 68 chili, sabato 24 luglio (EPA/ Rungroj Yongrit via ANSA)

Ai Giochi di quest’anno nelle gare di taekwondo, finite mercoledì, hanno partecipato atleti e atlete di 61 paesi diversi e anche tre membri della Squadra olimpica dei rifugiati, che partecipa alle Olimpiadi dal 2016 e quest’anno è formata da 25 persone provenienti da 11 stati diversi, a rappresentare le decine di milioni di rifugiati di tutto il mondo.

Tra i membri della Squadra olimpica dei rifugiati c’è anche Kimia Alizadeh, che nel 2016 fu la prima donna iraniana a vincere una medaglia ai Giochi Olimpici – un bronzo nella categoria 63 chili, proprio nel taekwondo – e che all’inizio del 2020 aveva lasciato il suo paese contestando il modo in cui vengono trattate le donne.

In Giappone Alizadeh ha gareggiato senza indossare il velo, battendo nella categoria 57 chili un’altra atleta iraniana, Chandeh Kiyani, e poi la britannica Jade Jones, oro olimpico a Londra e a Rio; Alizadeh ha battuto anche Lijou Zhou, atleta cinese considerata tra le favorite, ma poi è stata eliminata in semifinale dalla turca Hatice Kubra Ilgun.

– Leggi anche: Otto record mondiali che resistono da decenni