La marijuana influisce sulle prestazioni sportive?

Gli studi suggeriscono di no, o che semmai ne determini un peggioramento, ma molti atleti riferiscono di trarne beneficio

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(Marc Piscotty/Getty Images)
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La recente squalifica dalla squadra olimpica della velocista statunitense Sha’Carri Richardson, risultata positiva al principio psicoattivo della cannabis (THC), ha reso nuovamente attuale un dibattito laterale ma ricorrente sugli effetti della marijuana in ambito sportivo. Sebbene rientri nella lista di sostanze proibite dall’Agenzia mondiale antidoping (WADA), la marijuana non è generalmente descritta nella letteratura scientifica come una sostanza la cui assunzione da parte degli atleti sia in grado di determinare un miglioramento evidente delle prestazioni fisiche. E ciononostante il consumo di marijuana tra alcuni atleti è una pratica attestata da ricerche specifiche, peraltro limitate e rese più difficili dalle generali proibizioni esistenti in molte parti del mondo.

Un libro di prossima pubblicazione, scritto dal giornalista americano Josiah Hesse e intitolato Runner’s High (un riferimento al cosiddetto “sballo del corridore”), descrive e analizza una cultura nascosta dell’uso di marijuana tra gli atleti professionisti, in parte agevolata in tempi recenti dalle progressive legalizzazioni e dall’evoluzione della percezione collettiva riguardo ad alcuni tipi di sostanze stupefacenti.

Hesse ha parlato con numerosi culturisti e atleti di resistenza che sostengono di fare uso di cannabis per stimolare l’appetito quando è necessario mantenere il peso. Altri ne fanno uso per riprendersi dopo allenamenti particolarmente impegnativi, e ritengono che la marijuana li aiuti a ridurre il dolore e a dormire meglio. In generale, gran parte degli atleti intervistati da Hesse concorda nel descrivere i benefici in termini di riduzione dell’ansia e dello stress. «Diventano ciecamente concentrati sul compito da svolgere. Qualsiasi ansia relativa al sentirsi osservati da migliaia o milioni di persone, alle loro carriere in gioco, o al rientro dopo un precedente infortunio – tutto si scioglie», ha detto Hesse al New York Times.

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L’ampia revisione normativa a cui la cannabis è stata sottoposta nei sistemi giuridici di diversi paesi del mondo in anni recenti, e che ne ha favorito la progressiva introduzione sia per uso medico che ricreativo, ha anche permesso di studiarne meglio il potenziale effetto sulla salute degli atleti e sulle loro prestazioni sia in gara che in allenamento. In alcune delle ricerche condotte in precedenza, revisionate da studi più recenti, l’uso di cannabis aveva spesso provocato nei partecipanti agli esperimenti un’accelerazione della frequenza cardiaca e un aumento dei livelli di pressione sanguigna, determinando un peggioramento anziché un miglioramento delle prestazioni nei test di forza e in altri esercizi fisici.

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Partecipanti a una maratona organizzata per richiedere la revoca della squalifica di Sha’Carri Richardson, a Colorado Springs, in Colorado, il 15 luglio 2021 (Justin Edmonds/Getty Images for MoveOn)

Secondo Michael Joyner, anestesista e fisiologo americano da tempo impegnato nella ricerca sulla fisiologia degli atleti professionisti presso l’organizzazione medica no-profit Mayo Clinic, in Minnesota, non esistono dati reali a supporto dell’idea che la cannabis produca benefici in termini di miglioramento delle prestazioni. «Se si guarda a qualsiasi test delle performance fisiche, non ci sono dati relativi a un miglioramento, o tuttalpiù ce ne sono di relativi a un peggioramento», ha detto Joyner, senza tuttavia escludere che qualche beneficio oggettivo ma minore potrebbe verificarsi in alcuni sport.

Nel tiro a segno e nel tiro con l’arco, sport di concentrazione che richiedono una particolare rilassatezza, la marijuana è vietata per le sue proprietà sedative e ansiolitiche, potenzialmente in grado di produrre un vantaggio per gli atleti che ne fanno uso. Per ragioni simili, la Federazione Internazionale di Tiro con l’Arco vieta anche di assumere alcol durante le gare. «Ma di certo la marijuana non ti aiuta a scattare più velocemente o, per dire, a lanciare il peso più lontano o ad andare più veloce in bicicletta», ha chiarito Joyner.

Altre ricerche si concentrano sui rischi in generale per la salute degli atleti, rischi comuni a quelli che corrono anche i non atleti. Il fumo di marijuana contiene molte delle stesse tossine e agenti cancerogeni del fumo di tabacco, secondo l’associazione sanitaria American Lung Association, e l’uso regolare può portare a sviluppare bronchite cronica e rendere più vulnerabili rispetto alle infezioni polmonari.

Alcuni studi evidenziano inoltre l’esistenza di una relazione statistica significativa, rafforzata da predisposizioni genetiche e altri fattori, tra l’uso abituale di marijuana e il rischio di sviluppare alcune forme di psicosi. Esistono poi rischi legati al condizionamento dei tempi di reazione e del controllo motorio sotto gli effetti del THC, condizione che in determinate circostanze può comportare situazioni anche di grave pericolo (come per esempio alla guida di un qualsiasi veicolo, anche una bicicletta, o nel sollevamento di carichi pesanti).

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Uno dei limiti evidenziati da studi più recenti riguardo alle ricerche del passato, in parte inevitabili e legati al differente contesto culturale, è che molti di quegli studi prendevano specificamente in esame l’uso problematico della cannabis oppure la sua categorizzazione come sostanza vietata da parte degli organismi antidoping. Soltanto da poco tempo la ricerca ha cominciato a concentrarsi sull’analisi dei modelli di consumo, delle ragioni per l’uso e delle reazioni fisiologiche in campioni più o meno estesi di atleti adulti.

Secondo i risultati di una ricerca pubblicata nel 2019 dalla rivista scientifica PLOS One, il 26 per cento di 1.161 atleti reclutati via Internet, per lo più corridori, ciclisti e triatleti, ha riferito di essere un consumatore abituale di cannabis, sotto forma di fumo, preparati edibili o altre forme. Tra questi, circa il 70 per cento ha affermato di ricavarne un alleviamento dei dolori legati alle sessioni di allenamento e di riuscire a dormire meglio. Poco meno del 60 per cento ha riferito un effetto di rilassamento e riduzione del nervosismo.

Uno studio di psicologia, neuroscienze e scienze cognitive condotto da ricercatori dell’Università del Colorado, a Boulder, ha preso in esame il comportamento e le abitudini di 600 atleti consumatori abituali di cannabis. Circa la metà dei partecipanti ha affermato che la cannabis li invoglia a fare attività fisica. Oltre l’80 per cento ha detto di farne regolarmente uso durante gli allenamenti, e il 70 per cento di trarre maggiore piacere dagli allenamenti in caso di assunzione di cannabis. Circa l’80 per cento ha infine confermato gli effetti relativi alla capacità della marijuana di favorire i processi di ripresa dopo gli allenamenti.

Angela Bryan, docente di psicologia e neuroscienze, e tra le autrici dello studio, ha spiegato che la ricerca sulla cannabis e sui suoi effetti sull’attività fisica a livello agonistico è in qualche modo limitata dal fatto che, in base alla legge, non sia possibile prescriverla per questi scopi. «Non possiamo averla nel campus, né prescriverla, né dire alle persone quale usare. Non siamo autorizzati a dare loro niente», ha detto Bryan.

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(David McNew/Getty Images)

Pur essendo il Colorado uno dei primi stati americani ad aver legalizzato la vendita di marijuana a scopo ricreativo, infatti, l’attuale inquadramento normativo della cannabis impedisce ai ricercatori di studiarne più nel dettaglio l’influenza sull’attività fisica, sul metabolismo e sulla riduzione del dolore e dell’infiammazione. Non è possibile portare persone in laboratorio e dare loro cannabis da assumere per eseguire esperimenti. Per condurre i loro studi, i ricercatori hanno dovuto utilizzare un laboratorio mobile, ha raccontato Bryan, e andare a casa delle persone per prelevare campioni di sangue dei soggetti ed eseguire test su di loro prima e dopo l’uso di cannabis.

«Ci dicono cosa usano, e poi quantifichiamo il THC e il CBD [la molecola non psicotropa che induce sensazione di rilassatezza] nel loro sangue per avere misurazioni oggettive», ha detto Bryan. Poi, in giorni differenti, le persone si presentano in laboratorio per eseguire vari test durante una corsa sul tapis roulant, a volte dopo aver fatto uso di marijuana e altre volte no. Uno degli aspetti attualmente studiati dal gruppo di ricerca di Bryan è la capacità della cannabis di influenzare la quantità di dolore e di piacere che le persone provano durante l’attività fisica, e se questa condizioni la loro percezione del tempo. «Parlando con atleti di resistenza, che fanno quattro ore di corsa o in bicicletta, ci dicono che la cannabis fa passare il tempo più velocemente e rende l’attività meno noiosa».

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Recenti studi hanno sostenuto la tesi secondo cui il cosiddetto “sballo dei corridori” riferito da molti maratoneti e da persone che corrono abitualmente, si verifica nel sistema endocannabinoide del cervello – che regola, tra le altre cose, l’umore, l’appetito, la memoria e la sensibilità al dolore – e non è legato alle endorfine, come ritenuto in precedenza. E questo, secondo Hesse, suggerisce una relazione neurologica tra la cannabis e la corsa che potrebbe spiegare i loro effetti complementari.

Studi più generali che confermano l’impressione riferita da molti atleti di riuscire a dormire meglio grazie alla cannabis, e altri che approfondiscono le relazioni tra la cannabis e la capacità di riduzione del dolore fisico, sottolineano il bisogno di svolgere ulteriori ricerche. In particolare, considerando l’uso crescente negli Stati Uniti della cannabis per uso medico come farmacoterapia per il dolore e anche per uso ricreativo, viene segnalata la «necessità di discussioni complete sul rapporto rischi-benefici, che tengano conto dei possibili effetti collaterali significativi».