Com’è fatto ITsART e cosa se ne dice

La famosa «Netflix della cultura» è infine arrivata, a oltre un anno dall'annuncio: è presto per vere valutazioni, ma ci sono già alcune critiche

Dal 31 maggio è infine partita la piattaforma ITsART, a più di un anno da quando – durante il primo lockdown – il ministro della Cultura Dario Franceschini ne aveva parlato come di «una sorta di Netflix della cultura», pensata per «offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento». È presto per dare giudizi definitivi sulla piattaforma, e di certo sarà difficile farlo anche più avanti senza numeri precisi. Al momento, l’unica cosa che si può fare è guardare com’è fatto il sito, contare quanti contenuti ci sono (circa 700 “titoli”, tra film, documentari, spettacoli teatrali e musicali e altri eventi) e provare a dare un giudizio sul loro valore e sulla loro varietà.

Intanto, una cosa notata da più parti è che diversi contenuti di ITsART sono a pagamento sulla piattaforma sebbene altrove, per esempio su RaiPlay, siano invece disponibili gratuitamente.

La società
ITsART (da “Italy is Art”, ma anche “è arte”) è gestita da Cassa Depositi e Prestiti (una società controllata dal ministero dell’Economia) e da Chili, un’azienda milanese nota per il suo servizio di streaming che è presente come partner tecnico e commerciale. Nei fatti, comunque, la proprietà è di Cassa Depositi e Prestiti e da lì arriva anche Antonio Garelli, presidente del consiglio di amministrazione della società. ITsART è partita potendo contare su circa 30 milioni di euro di fondi. Per ora ITsART prende contenuti altrui e, dopo accordi specifici, li mette a disposizione di un pubblico, ma non è detto che in futuro non decida di mettersi a produrne di propri.

In breve, la parte economica funziona così: tolti i costi di gestione e tecnologia, per ogni contenuto che un utente sceglie di pagare, chi ha realizzato quel contenuto si prende una quota che sta tra il 65 e il 95 per cento del totale, il resto va a ITsART.

Il sito
ITsART è diviso in tre sezioni principali: Palco, Luoghi e Storie. La prima riguarda le arti performative, quelle che per l’appunto si fanno in genere su dei palchi; la seconda si presenta come «un percorso esclusivo attraverso la vertiginosa bellezza dei musei e delle aree archeologiche, dei territori e dei paesaggi» italiani; la terza è quella che ospita cortometraggi, lungometraggi e documentari di vario tipo. Il sito sembra in generale funzionare in modo fluido, o perlomeno non ci sono state critiche particolarmente evidenti su quest’aspetto.

ITsART è un sito, ma non ancora un’app. Tra i suoi domini ci sono quello “.tv” e quello “.it”; ma non quello “.com”, che porta invece a un sito del Missouri che non ha nulla a che fare con la «Netflix della cultura italiana».

Al momento ITsART è fruibile dall’Italia e dal Regno Unito, non da altri paesi.

I contenuti
Ce ne sono di oggettivamente molto vari tra loro e al momento, sebbene sia difficile fare stime di questo tipo, la sezione più interessante per qualità e quantità di offerta sembra essere “Palco”, divisa nelle seguenti sotto-sezioni: Maggio Musicale Fiorentino, Voci d’Italia, Teatro, Musica Sinfonica, Opera, Giuseppe Verdi Giacomo Puccini, Danza, Teatro alla Scala, Teatro Regio Torino, laVerdi, Riccardo Muti, OperaStreaming, Filarmonica di Trento, Teatro San Carlo e Società dei Concerti.

Come ha scritto ANSA, riportando evidentemente informazioni fornite da ITsART, «si può scegliere per grandi realtà, dai concerti del San Carlo o del Maggio musicale fiorentino, all’archeologia del Mann di Napoli e i capolavori La Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, ma anche le scoperte del Museo nazionale Scienza e tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. C’è il teatro contemporaneo di Carrozzeria Orfeo, Le olimpiadi del 1936 raccontate da Federico Buffa o Roberto Herlitzka in Avrei preferenza di no. Bartleby lo scrivano da Melville. E poi il cinema da Rossellini a Scola, tantissima Opera, ma anche Voci d’Italia come Andrea Bocelli o gli artisti del Roma jazz festival».

Per usare ITsART bisogna registrarsi, ma non è possibile abbonarsi. Alcuni contenuti sono gratis, altri a noleggio, altri ancora acquistabili. Ma li si paga a consumo, uno per volta.

I nuovi contenuti
Il sito prevede poi un cartellone di eventi, con un calendario di nuovi contenuti in arrivo. Dal 6 giugno si potrà per esempio vedere – per un prezzo di 9,90 euro – “Giuseppe Verdi – La forza del destino”, così descritto: «il nuovo allestimento dell’opera di Giuseppe Verdi con il maestro Zubin Mehta sul podio e la regia di Carlus Padrissa, di La Fura dels Baus». Il 15 giugno invece sarà possibile guardare gratuitamente e «in esclusiva su ITsART» il concerto di Emma Marrone all’Arena di Verona. Al momento i nuovi contenuti annunciati sono sette, il settimo dei quali, disponibile dal 2 luglio, sarà «uno show avvolgente, in cui le note del jazz, colorate dallo spirito di terre diverse, dipingono la scalinata della Galleria Nazionale».

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I contenuti “doppi”
Ormai capita spesso che certi film o certe serie siano prima su Netflix e poi su Amazon Prime Video e poi, magari, di nuovo su Netflix. O che altri siano in certi momenti presenti su più piattaforme, magari una a cui è necessario abbonarsi come Netflix e un’altra gratuita come RaiPlay. Nel caso di ITsART più persone hanno notato la strana e probabilmente non granché azzeccata scelta di offrire a pagamento film, alcuni dei quali molto vecchi, che altrove sono gratuiti. Ma era una cosa che già succedeva con Chili.

Un esempio: Che strano chiamarsi Federico, il documentario di Ettore Scola su Federico Fellini, è gratis su RaiPlay mentre per noleggiarlo o vederlo su ITsART bisogna pagare 3 o 6 euro (su Chili invece il noleggio e l’acquisto costano rispettivamente 3 e 7 euro). Capita anche che ci siano film non disponibili su Chili, a pagamento su ITsART e gratis su RaiPlay, come nel caso di Nico 1988.

Roma città aperta, invece, costa 2 euro se noleggiato o 5 se comprato ma altrove, su internet, come spesso succede per film di diversi decenni fa, lo si trova – legalmente – anche gratis (in questo caso sull’Archivio Anna Magnani).

Le critiche
Finora la stampa ha perlopiù descritto e presentato ITsART, mentre le critiche – alcune pretestuose, altre puntuali – sono arrivate principalmente su Twitter. Un articolo piuttosto critico nei confronti della piattaforma lo ha pubblicato Rolling Stone. Critica le descrizioni altisonanti di certi contenuti, il fatto che molti di quelli gratuiti siano solo dei brevi video non particolarmente significativi e che, alla fine, i contenuti in esclusiva sono solo «una ventina». L’articolo finisce così:

”Lavoriamo per diventare la principale piattaforma digitale nella distribuzione live e on demand di contenuti rappresentativi della cultura italiana”, si legge nella sezione della pagina che spiega agli utenti il progetto, “offrendo un palcoscenico progettato per emozionare il pubblico e raccontare il vasto ecosistema di storie, personalità, luoghi, saperi, territori e tradizioni che da sempre caratterizzano l’Italia”. Per ora, ecco, diciamo che c’è da lavorare.

Un’altra dettagliata critica al sito, anzi al progetto nel suo complesso, l’ha pubblicata il sito The Submarine, che ha parlato di ITsART come di un «reskin [una nuova versione] di Chili che vende a noleggio documentari prodotti nel 2015, di 20 minuti, a 3 euro a puntata». Più in generale, i dubbi e le critiche girano tutti attorno al fatto che, così come era successo con precedenti iniziative del ministero della Cultura, c’è chi ritiene che la piattaforma sia nata da un’idea velleitaria, che difficilmente potrà far crescere i suoi contenuti e, di conseguenza, i suoi utenti e i suoi guadagni. E che, come già si diceva mesi fa, qualcosa che per certi versi è molto simile a ITsART già c’è, e si chiama RaiPlay.