Che cosa sarà concretamente questa “Netflix della cultura”

Almeno per quanto ne sappiamo: ambizioni, bilanci e potenziali problemi di ITsART, l'annunciata e discussa piattaforma voluta dal ministero

Nell’aprile 2020, ospite del programma di Massimo Gramellini su Rai 3, il ministro della Cultura Dario Franceschini annunciò di voler lanciare quella che definì «una sorta di Netflix della cultura», una piattaforma digitale per «offrire a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento». Erano i giorni del primo lockdown e Franceschini spiegò di vedere in quella piattaforma qualcosa che fosse utile «in fase di emergenza», ma che potesse continuare a esistere anche dopo: «per esempio» disse «ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa».

Quell’idea fu criticata e derisa da molti sui social network e su qualche giornale, e poi pian piano dimenticata: ma lo scorso 12 gennaio – dopo che la prima della Scala era stata visibile su Rai 1 e su Rai Play – si è saputo che la piattaforma si sarebbe chiamata ITsART (da “Italy is Art”) e che a occuparsene sarebbero state Cassa Depositi e Prestiti e Chili. La prima, spesso abbreviata in CDP, è una società controllata dal ministero dell’Economia che tra i compiti ha quello di investire per conto dello stato italiano. La seconda è un’azienda milanese fondata nel 2012 dall’ex candidato sindaco di Milano per il centrodestra Stefano Parisi, tra gli altri: il suo servizio di streaming è disponibile in cinque paesi europei e permette di noleggiare serie tv e film o di guardarne alcuni gratis, però con la pubblicità.

Da qualche giorno è anche disponibile un sito (itsart.tv) che nella sua unica pagina dice “STIAMO ARRIVANDO” e spiega:

ITsART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo.

Al momento, non si sa ancora quali e quanti contenuti faranno parte del catalogo nel giorno del suo lancio, previsto tra «fine febbraio e inizio marzo» secondo quanto ha spiegato il ministero della Cultura al Post. Si sa invece qualcosina in più su come dovrebbe funzionare la piattaforma e su come è strutturata la società che se ne sta occupando.

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Cosa sappiamo
A occuparsi di ITsART è una società costituita il 22 dicembre, il cui capitale è detenuto al 51 per cento da CDP, e il restante 49 per cento da Chili, che è il “partner tecnico e commerciale” scelto da CDP, che mantiene nei fatti la proprietà della piattaforma. Per entrambe si parla di un investimento di circa 9 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti i circa 10 che dovrebbero arrivare dal ministero della Cultura attraverso il Recovery Fund. In tutto, quindi, ITsART può contare su circa 30 milioni di euro.

La nuova società che si occuperà delle attività di ITsART ha sede a Milano allo stesso indirizzo di Chili, e – come ha spiegato Wired – dallo statuto della società emerge che se Chili volesse in futuro lasciare le sue quote in ITsART, «dovrà ottenere prima il lasciapassare di CDP». Da CDP arriva tra l’altro Antonio Garelli, presidente del consiglio di amministrazione della società, composto da cinque persone.

Per quanto riguarda il catalogo e funzionamento di ITsART, la piattaforma sarà un sito ma anche un’app (forse disponibile anche sulle smart tv): il ministero della Cultura spiega che quando partirà sarà da subito disponibile sia in Italia che nel Regno Unito, e che entro i quattro mesi successivi dovrebbe arrivare in tutta Europa e negli Stati Uniti.

È stato previsto di finanziare gli enti interessati a realizzare contenuti da mostrare su ITsART con un budget di circa 4 milioni di euro, che si aggiungeranno ai fondi già stanziati con il Fondo Unico per lo Spettacolo, dice il ministero che ci tiene però a ricordare che al momento ITsART non si occupa di produrre contenuti in proprio (una cosa che invece fa la Rai), sebbene in futuro potrebbe decidere di farlo. Al momento, quindi, ITsART è un «canale di distribuzione digitale» di contenuti già esistenti o che ancora devono essere fatti, ma di cui si occuperanno i «singoli attori del sistema».

L’idea prevede dunque che, almeno in una prima fase, ITsART aiuti a promuovere enti, eventi, opere o spettacoli di ogni tipo, mettendo «un’asticella sulla qualità» dei contenuti che sceglie di ospitare. Contenuti che, di caso in caso, potranno essere gratuiti, gratuiti con pubblicità oppure a pagamento. Il ministero spiega anche che nel caso di contenuti a pagamento ci sarà una ripartizione dei ricavi che avverrà «sulla base del ricavo di vendita»: cioè per ogni contenuto pagato da ogni utente una quota rilevante (tra il 65 e il 95 per cento, dopo aver tolto una percentuale per i costi di gestione e tecnologia) andrà a chi ha realizzato l’opera. Vuol dire anche che se un contenuto non venderà biglietti non avrà ricavi, perché i suoi creatori non riceveranno un pagamento anticipato da parte di ITsART. Sembra inoltre che, anche per vedere i contenuti gratuiti, sarà necessario registrarsi alla piattaforma.

In altre parole, insomma, di ITsART sappiamo da dove arriva, quando arriverà, chi ci ha messo i soldi, come intende funzionare e chi prenderà le decisioni che la riguarderanno. Ma ci sono anche cose che ancora non sono chiare, o comunque note.

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Cosa non sappiamo
Come abbiamo visto, si sanno gli intenti – Franceschini ha detto che la piattaforma «offrirà in Italia e nel mondo la cultura italiana online e a pagamento» – e la possibile struttura del servizio, ma non i dettagli sui contenuti. Oltre a non sapere cosa ci sarà su ITsART nel giorno del lancio, non si sa ancora nemmeno quanta pubblicità ci sarà e quanto costeranno i diversi contenuti a pagamento, che dipenderanno di volta in volta dagli accordi tra ITsART e singoli enti. Sarà comunque possibile, spiega il ministero, che alcuni contenuti, magari quelli di archivio, possano essere disponibili sia su RaiPlay che su ITsART.

Fonti interne a ITsART hanno spiegato al Post che l’attività di raccolta e scelta dei contenuti è iniziata a gennaio, dopo la creazione della società e che «tutte le interlocuzioni fatte fin qui hanno mostrato grandissimo interesse verso il progetto».

Non si sa nemmeno, perché ovviamente ancora non esiste, come sarà fatta e quanto sarà efficiente la piattaforma su cui tutti i contenuti saranno resi disponibili.

Le critiche
Già ad aprile, la proposta di Franceschini di creare una “Netflix della cultura” fu criticata e anche derisa. Per cominciare perché visti i numeri, i soldi, gli utenti e i mezzi di Netflix si riteneva che il paragone fosse decisamente troppo ambizioso. Secondo quanto scritto nel dicembre 2020 da Riccardo Luna su Repubblica, peraltro, Franceschini ne aveva parlato in questi termini ad altri ministri della Cultura europei: «Una iniziativa di questo tipo ha una potenza di fuoco pazzesca. Altro che Netflix».

Più recentemente invece ci sono state diverse critiche al nome in inglese, al sito poco attraente e contemporaneo, e al logo, che un comunicato del ministero della Cultura aveva presentato dicendo: «con una linea dinamica e moderna, evoca l’italianità con un richiamo al tricolore. Il punto davanti a IT, che ricorda l’estensione .it, indica la proiezione italiana sul web, sottolineando la visione digitale del progetto». A proposito del sito Wired ha fatto notare che probabilmente il dominio – che risulta registrato a luglio – è itsart.tv e non itsart.com perché questo secondo indirizzo era già preso (e ancora oggi porta verso tutt’altro).

In diversi casi, le critiche a ITsART hanno ricordato anche precedenti progetti digitali del ministero della Cultura, che erano stati presentati con una certa enfasi e che si erano poi rivelati molto poco efficaci. Successe nel 2007 con il sito Italia.it (presentato in un inglese alquanto incerto dall’allora ministro Francesco Rutelli) e successe anche nel 2015 (quando c’era Expo e Franceschini era sempre ministro della Cultura) con il sito verybello.it, ora non più disponibile.

Ci sono però anche critiche più sostanziali. Una prima importante questione riguarda i soldi e i contenuti. Qualche decina di milioni di euro sono infatti pochissime per pensare di produrre contenuti in autonomia. Ed è peraltro un campo nel quale Chili, che si limita a ospitare e distribuire contenuti di altri, non ha esperienza. Come ha scritto Simone Arcagni sul Sole 24 Ore, «le produzioni dei singoli enti sono spesso di bassa qualità» e, di conseguenza, «se ci sarà uno sbarramento qualitativo si corre il rischio di lasciare fuori i piccoli». Il rischio, quindi è di aver pochi contenuti; oppure tanti, ma magari di bassa qualità.

Un’altra critica riguarda i modi in cui ITsART potrebbe finire per sovrapporsi con l’offerta della Rai e in particolare di RaiPlay, che già ora fa un apprezzato lavoro di raccolta e proposta di contenuti culturali e didattici di vario tipo. A questo proposito, già diversi mesi fa la Rai rifiutò di far parte del progetto: tra le altre cose perché RaiPlay non prevede la possibilità di pagare per la fruizione dei contenuti.

E sembra anche che la Rai non sia stata l’unica a non credere in ITsART: «molti dei potenziali partner tecnologici che avevano manifestato interesse» aveva scritto Wired già dicembre «non a caso, si sono sfilati negli scorsi mesi, poco convinti dal modello di business». In effetti, nel sempre più affollato contesto di servizi di streaming e offerte di contenuti online (corsi, eventi e spettacoli di ogni tipo) non è per niente certo che ITsART possa ritagliarsi un suo spazio e un soddisfacente numero di utenti, in particolare utenti paganti. In poche parole, c’è il grande rischio, come ha scritto Arcagni, «che chi ha i mezzi possa ovviare o decida di non partecipare» (distribuendo i suoi contenuti in posti diversi da ITsART) e che «chi non li ha difficilmente riuscirà a contribuire».

Speranze
Il ministero della Cultura crede invece che il progetto abbia prospettive di crescita e che non si possa escludere che in futuro la piattaforma possa proporre format di sua ideazione, diventando «una vetrina» della cultura italiana all’estero. Un altro aspetto su cui insiste il ministero è che ITsART potrebbe essere un metodo per garantire «la contrattualistica degli artisti interessati».

Le fonti interne a ITsART spiegano che a differenza di altri servizi, la piattaforma avrà un archivio di contenuti, ma anche un palinsesto con i nuovi contenuti in arrivo, la maggior parte dei quali sarà sin dall’inizio disponibile per una visione in diretta. I piani prevedono inoltre che entro la fine dell’anno circa 30 persone lavoreranno a ITsART.