Che prospettive ha la musica dal vivo

Anche in Italia si torna a parlare di concerti, con un sacco di difficoltà e timori, ma per la prima volta da oltre un anno con cauto ottimismo

(Ethan Miller/Getty Images)
(Ethan Miller/Getty Images)

Già dopo poche settimane di pandemia, nel 2020, si capì che tutto il settore della musica dal vivo sarebbe stato tra quelli che più avrebbero fatto fatica a ripartire. L’impressione fu confermata, sia per evidenti incompatibilità dei concerti con il distanziamento fisico, sia perché il settore ha ricevuto generalmente meno attenzione rispetto ad altri, come il cinema o il teatro, e ha goduto di meno deroghe che sono state per esempio garantite alle messe.

Un anno dopo, la musica del vivo continua a fare fatica a organizzare il suo futuro, ma molte cose si stanno muovendo nonostante le prospettive incerte e le normative in evoluzione. Anche se continuano a esserci comparti che non riescono a immaginarsi con un pubblico seduto e distanziato, anche se i conti di grandi locali e palazzetti non tornano con capienze di poche centinaia di spettatori, e anche se i concerti richiedono una pianificazione e gestione più imponente di altri settori, gli addetti ai lavori per la prima volta da molto tempo sono moderatamente ottimisti su quello che potrebbe succedere in estate, e soprattutto di quello che seguirà dall’autunno in poi.

Qualcosa si muove
Carlo Pastore – conduttore radiofonico e organizzatore del festival milanese Mi Ami, uno dei più apprezzati in Italia e uno dei tantissimi eventi annullati del 2020 – spiega che in superficie, in questi ultimi mesi, può sembrare che si sia mosso poco, per la musica dal vivo in Italia. «Perché i musicisti hanno suonato pochissimo e gli operatori hanno potuto lavorare molto poco». Pastore parla del dato di fatto dei «pochissimi eventi live» e della difficile situazione dei live club «chiusi da tempo immemorabile», parte dei quali sono nel frattempo definitivamente falliti. Per tante realtà legate alla musica dal vivo, c’è «un grande punto di domanda che è diventato piano piano sempre più grosso». Ma il poco che sembra essersi mosso in superficie è solo una parte della storia, perché «sotto, in maniera quasi magmatica, c’è stato tantissimo».

In effetti, quel movimento inizia a vedersi anche in superficie: si torna a parlare di eventi musicali su più giorni, come Umbria Jazz e il Locus Festival, i calendari di certi locali (soprattutto quelli con grandi spazi all’aperto) si stanno riempiendo e un buon numero di artisti – dai Coma Cose a Francesco De Gregori – già hanno in programma diverse date per questa estate. Il 5 giugno ci sarà un “concerto-evento” del trio Il Volo all’Arena di Verona, seguito il 6 giugno da uno di Emma Marrone, la quale dovrebbe esibirsi, sempre a giugno, al Teatro Antico di Taormina, all’Auditorium Parco della Musica di Roma e al Carroponte, poco fuori Milano. E anche in locali più piccoli e per artisti un po’ meno noti, il movimento non manca.

Stefano Brambilla, direttore artistico e direttore di produzione per Shining Production e per il Live Music Club di Trezzo sull’Adda, in provincia di Milano, parla infatti di «250 artisti in tour questa estate», seppur sempre con non poche limitazioni e difficoltà. 

«In questi giorni nel mondo della musica dal vivo c’è grande fermento» dice Pastore: «si è ricominciato ad annunciare eventi. Lo sento dagli agenti, e anche tra i promoter. Si parla di fare, di annunciare, e c’è quel tipo di mentalità che ci eravamo un po’ scordati».

È d’accordo anche Roberto Sburlati, che di lavoro fa proprio il promoter per la società di eventi Vertigo, e che quindi in questi giorni si sta occupando di trovare e organizzare serate, date e tour per gli artisti che segue. Sburlati ricorda che, fino al 2019, «già a gennaio quasi tutti i tour estivi li avevi già chiusi» e che al massimo restavano da fare aggiunte e aggiustamenti. Nell’estate del 2020 invece ci si ritrovò a dover organizzare quel poco che si riusciva a fare «a maggio, nel giro di venti giorni», quando la situazione pandemica iniziava a migliorare, aprendo qualche piccola prospettiva. Quest’anno, dice Sburlati, si sta riuscendo a lavorare «con un po’ più di anticipo», ma sempre con quel grosso problema che «detta in maniera cruda, spesso si lavora il doppio, a fronte però di margini che per forza di cose sono decisamente meno ampi».

Da dove arriviamo
Tra gli altri, Sburlati si occupa anche degli Eugenio in Via Di Gioia. Un gruppo che, spiega, anche grazie a un’apprezzata partecipazione a Sanremo Giovani, nel febbraio del 2020 si trovava con «quattro date sold out in club da tremila persone, come per esempio l’Alcatraz di Milano», e con un tour estivo che prevedeva «dalle 20 alle 25 date». Quei quattro concerti ancora devono essere recuperati, e di quelle date estive nel 2020 se ne fecero infine «solo cinque, in maniera completamente diversa e con una produzione leggerissima».

Brambilla ha dovuto fare i conti, tra le altre cose, con i quasi 500 giorni senza che al Live Music Club ci sia stato un vero, grande concerto: l’ultimo fu infatti quello dei Monster Magnet, il 18 febbraio 2020. Pastore ha dovuto prima sospendere, poi posticipare e infine annullare il Mi Ami previsto per il 2020, e poi rinviare anche quello del 2021, che era stato inizialmente pensato per maggio e che invece è stato programmato a settembre.

C’è anche chi, come Emiliano Colasanti, fondatore dell’etichetta 42 Records, si è trovato in mezzo a una pandemia a dover gestire il grande successo del duo Colapesce e Dimartino, dopo la partecipazione a Sanremo con “Musica Leggerissima”. «Ho deciso che per la mia sanità mentale non ci devo pensare», dice Colasanti riguardo a quanto avrebbe potuto essere capitalizzato quel successo senza il coronavirus.

Parlando di quest’anno – in cui tra gli altri saranno in tour anche Colapesce e Dimartino – Colasanti ci tiene a precisare che ancora oggi «gli artisti che decidono di andare in tour lo stanno facendo per una ragione che non è certo l’arricchimento personale».

Dai grandi nomi a quelli più piccoli, dai locali più famosi e capienti a quelli più angusti e di provincia, da chi sta sul palco a chi il palco lo monta, da chi lavora per un locale a chi lavora per un artista, la situazione continua insomma a essere molto complicata. Perché per un concerto che non si fa ci possono essere decine di persone che non ci lavorano, con il problema che i lavoratori della musica dal vivo (oltre 200mila secondo alcune stime) sono in buona parte intermittenti, cioè lavorano a chiamata, con contratti riconducibili spesso a cooperative, senza una vera e coerente rappresentanza sindacale.

«In questo anno e mezzo moltissimi tra noi si sono dovuti reinventare» dice Brambilla, che aggiunge: «ci sono tecnici di altissimo profilo, che facevano tour anche negli stadi, che quest’anno per alcuni mesi hanno fatto i postini o i commessi».

Il concerto del primo maggio 2021 all’arena dell’Auditorium Parco della Musica (Cecilia Fabiano/ LaPresse)

L’estate che arriverà
Tra chi lavora con la musica dal vivo, in vista dell’estate sembra esserci un generale, seppur moderato, ottimismo. Per i vaccini, per quello che sembra essere il contesto generale e poi perché, come spiega Colasanti, «quest’anno c’è l’esempio dell’estate scorsa» e si approccia al futuro «con la consapevolezza che comunque i luoghi dedicati agli eventi musicali sono tra quelli che hanno gestito meglio la pandemia e rispettato più le regole».

Anche Pastore è convinto che ai mesi estivi e a quelle che continueranno a essere le necessità di controllo e distanziamento fisico il settore della musica dal vivo si approccerà «con più consapevolezza: perché chi l’ha già fatto, lo sa fare; perché anche chi non l’ha fatto nel frattempo ha imparato».

Le difficoltà logistiche dovute alla situazione sanitaria e alle possibili evoluzioni delle normative, anche solo per l’eventuale cambio di colore di una regione, continuano a essere rilevanti insieme ad altre meno intuitive: «un tour che normalmente fai con due mezzi, quest’anno lo devi fai con 3 o con 4 mezzi» dice Colasanti, «perché per esempio non puoi mettere 9 persone tutte in un unico van».

In molti casi, per i mesi estivi, i concerti avranno quella che Pastore, che parla di «tante questioni ancora da dipanare», definisce una «logica da boutique festival», cioè eventi che prevedono soltanto qualche centinaio di biglietti. Una premessa che si porta dietro questioni economiche, dovute alla necessità di far quadrare i conti e, allo stesso tempo, di non alzare troppo i prezzi dei biglietti.

Brambilla parla poi del fatto che, dopo gli esperimenti della scorsa estate, ora «il pubblico si aspetta di partecipare a uno spettacolo vero e proprio». Brambilla spiega che «l’anno scorso c’era magari più tolleranza verso la necessità di far ripartire la macchina, e una certa voglia di ritrovarsi». E aggiunge: «questo fattore c’è ancora, ma da parte del pubblico c’è anche la volontà di avere uno spettacolo degno del costo del biglietto». E quindi ci sarà quantomeno da aspettarsi «biglietti più costosi rispetto agli standard precedenti». Per esempio, «per qualsiasi artista indie lo standard ormai non è più di 15/18 euro, ma comincia a essere, compreso la prevendita, di 20/25 euro».

Brambilla fa il semplice esempio di un concerto con 1.000 biglietti, tutti venduti a 25 euro, che devono servire anche a coprire le spese fisse, con necessari sacrifici da parte di tutti. «Prima uno staff di 10 o 12 persone per un cantante potevi anche permettertelo facilmente», dice; ora sta diventando invece sempre più complesso far tornare i conti.

In attesa di poter fare eventi più grandi, Pastore ha organizzato per i primi giorni di giugno il Mi Manchi, una rassegna itinerante cittadina. «Non potendo fare il Mi Ami, facciamo il Mi Manchi, un festival piccolo e prezioso con un decimo delle persone» spiega Pastore, «con artisti soltanto nuovi, per la maggior parte della Generazione Z, e seguendo il protocollo attualmente in vigore, cercando di fare il massimo possibile con quello che ci è concesso».

Per conto di Shining Production, Brambilla sta invece lavorando alla Bike-In di Mantova: un festival che tra luglio e agosto riproporrà un format già provato con successo nella scorsa estate, che prevede di raggiungere gli spettacoli in bicicletta e, a suo modo, di usare la bicicletta come «mezzo intrinseco di distanziamento sociale», per creare necessarie condizioni di distanziamento tra partecipanti.

La musica che ascolteremo
C’è poi il fatto che con ogni probabilità anche quest’estate la musica dal vivo si ascolterà quasi sempre stando seduti, una premessa che mal si concilia con le dinamiche di ascolto e interazione con certi generi. «In questo momento» spiega Pastore «viene valorizzato un po’ di più chi suona dal vivo con una band, chi ha un tipo di sound più adeguato al contesto che si è creato, e girano molto di più le formazioni che hanno duttilità da questo punto di vista. Chi ha una cifra molto più aggressiva o legata alla performance fisica viene penalizzato per forza, perché non ha senso che suoni davanti a un pubblico seduto». Per questo, «molti stanno riadattando i proprio show e ci sono band che di solito erano molto più volume-sudore-e-bordello che invece fanno cose acustiche, con riarrangiamenti in chiave un po’ più morbida».

È in parte il caso dei Coma Cose, delle cui date si occupa Sburlati. Per loro, dopo il successo di Sanremo, dopo l’uscita del disco Nostralgia e dopo che nell’ultimo anno e mezzo il duo si era fatto molto conoscere e apprezzare, c’era un piano iniziale che prevedeva «grandi eventi estivi e poi un club tour in autunno». Vista la situazione si è però scelto di fare sì un tour, però «in modo diverso, con una produzione che consideri il momento e le possibilità dei promoter».

Brambilla, che tra le altre cose si occupa anche di organizzare i concerti dei Bud Spencer Blues Explosion, spiega che l’anno scorso provarono a fare «un concerto rock duro e potente, quasi da pogo» ma che in effetti «è molto straniante fare un concerto così con posti a sedere».

Il Live Music Club, grazie ai suoi grandi spazi e alla sua vicinanza a Milano, si è temporaneamente riorganizzato per ospitare le prove degli artisti a porte chiuse prima del tour vero e proprio. La necessità è quella di non stare del tutto fermi, per evitare grossi problemi alla ripartenza: «abbiamo praticamente due mesi di calendario pieno e per ora ci siamo un po’ reinventati così».

Il concerto dei Six60 ad Auckland, in Nuova Zelanda, nell’aprile 2021 (AP Photo/David Rowland)

Dopo l’estate
Mentre di certo ci si aspetta un’estate migliore di quella passata, già si guarda anche all’autunno, quando potrebbero arrivare le date di concerti e tour che nel frattempo sono stati rinviati, pur con la consapevolezza che potrebbero nuovamente essere posticipati, questa volta al 2022. Per tanti artisti che scelgono di suonare, seppur a certe condizioni, ce ne sono altri che «non suonano perché hanno pretese che in questo momento il mercato non può soddisfare», spiega Pastore. Colasanti cita il caso di alcuni «palazzetti venduti interi [ovvero con una capienza “tradizionale”, senza limitazioni] con la riserva di capire se a ottobre sarà possibile farlo, o se saranno spostati di nuovo come molto probabilmente accadrà».

In molti casi, dice Brambilla, l’approccio è «proviamo a far la data e se non si riesce la spostiamo; la volontà di provarci e sperare c’è, ma è inutile negare che siamo sempre sul chi va là». Pastore parla di «un grande lavoro di proiezione mentale, programmazione, montaggio e rimontaggio, e anche un grande atto di coraggio» nel volerci comunque provare.

Viste le tante difficoltà in molti casi «i promoter cercano di andare sul sicuro», prendendo cioè «artisti che hanno già il proprio pubblico, per ovvi motivi, perché non vogliono rischiare anche di perderci dei soldi», rendendo però così la vita molto difficile a chi, non ancora famoso, «deve farsi le ossa e trovare spazi per suonare».

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Intanto
Che sia in estate o in autunno, quando si parla di musica dal vivo si parla anche di discoteche e di tutti quegli eventi per i quali un certo tipo di contatto e movimento sono praticamente imprescindibili.

Secondo Colasanti, «non è però normale che ancora non si affronti il fatto che non tutti gli spettacoli sono uguali, che non tutti i concerti sono godibili seduti e distanziati e c’è ancora tutta una fascia di musica che ancora non si può esibire». 

Secondo Brambilla, «quello del clubbing e delle discoteche è un mondo a parte», che in certi casi chiama in gioco complicati ragionamenti sul loro essere «strutturali per un certo tipo di turismo», come per esempio nel caso della riviera romagnola o di certe aree della Sardegna. «Lì ci sono anche esigenze più alte di movimentazione di tutta una filiera, anche se è ovvio che è un tipo di assembramento difficile da far vagliare».

Però le discoteche non sono solo le grandi discoteche di Rimini o Riccione, ed esiste anche tutta la musica dal vivo non “da discoteca” che sta avendo grandi problemi ad adattarsi alle necessità di distanziamento. «Un grande teatro o un Forum d’Assago» dice Colasanti, «ci saranno sempre, anche quando tutto ripartirà», perché «il grande evento è sempre il grande evento». Invece il discorso potrebbe essere molto diverso per tutto il mondo dei «live club», che spesso, e secondo Colasanti colpevolmente, «sono tenuti fuori da quello che è ritenuta parte del comparto culturale. Se ti leggi il protocollo tedesco, in Germania i live club sono nelle stesse righe delle sale da concerto di musica classica e dei conservatori». In Italia, spesso e su tanti livelli diversi, la percezione è invece molto differente.

Il concerto-esperimento del marzo 2021 a Barcellona (AP Photo/Emilio Morenatti, File)

Guardando ancora più in là
Pensando a cosa potrà succedere dal 2022, o comunque da quando si potrà tornare a ascoltare concerti in piedi, Brambilla si aspetta un comprensibile «ritorno alla voglia di contatto, di cose movimentate, ballerecce e potenti, anche per una sorta di catarsi», con la possibilità che dopo «un periodo di musica più colta e più lenta ci sarà un ritorno alla voglia di musica potente».

Bisognerà però capire dove si potrà ascoltare, questa musica. Pastore spiega infatti che spesso i “live club” – che non sono solo le discoteche – «sono la cartina tornasole della musica live, perché costruiscono la stagione e i tour lunghi». E facendo un esempio cinematografico spiega che «un conto è la proiezione spot al cineforum d’estate, però poi bisogna vedere quanta gente va al cinema da ottobre fino a maggio». In molti sensi, i “live club” sono il corrispettivo musicale dei cinema più frequentati e, dice Pastore, già ora «i club medio piccoli sono completamente spariti».

Ha un’idea simile anche Colasanti, secondo cui una volta superata la pandemia (o quantomeno la sua fase peggiore) «tutto il comparto di artisti di medio livello e di fama probabilmente troverà il deserto, perché tanti posti stanno chiudendo e continueranno a chiudere». 

Tutto un altro ordine di problemi potrebbe riguardare il fatto che – anche qui un po’ come nel cinema – quando si potrà tornare a fare musica saranno in molti a voler tornare a farla, a tutti i livelli. Chi riempiva gli stadi, quasi di sicuro tornerà a farlo e, anche a livelli un po’ più bassi, Brambilla prevede che «i calendari si riempiranno in fretta, perché ci sono un sacco di recuperi, e già ora ci sono date che praticamente vengono annunciate già esaurite perché nei fatti servono per la riconversione di biglietti già venduti per date passate».

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