Dieci film che non sono piaciuti ai loro registi

Da Kubrick a Spielberg storie di esperimenti falliti, produzioni affrettate, scuse e rimpianti: e forse talvolta di eccessiva autocritica

(Evening Standard/Getty Images)
(Evening Standard/Getty Images)

Un film è un grande lavoro collettivo, ma spesso si finisce a ritenere chi l’ha diretto il principale, a volte quasi unico, responsabile. Nel bene o nel male. Di certo, poche persone dedicano a un film il tempo che ci dedica un regista, da quando nasce l’idea a quando si completa l’ultimo passaggio della postproduzione. E per tanti casi di registi contenti del risultato finale (oppure scontenti ma reticenti), ci sono anche diversi casi di registi – spesso grandissimi – che hanno parlato male di un loro film, a volte un loro film che invece è piaciuto molto sia al pubblico che alla critica. Come in questi dieci casi.

Dune, David Lynch
«Dico sempre» disse Lynch nel 2019, «che Dune è una grandissima, gigantesca tristezza della mia vita». Spiegò che il film non venne come voleva lui perché non gli fu dato «il totale controllo creativo» e non gli fu concesso di avere il final cut, ovvero l’ultima parola su come montare il film. Per questo motivo, Lynch arrivò addirittura a chiedere che il suo nome venisse rimosso dai titoli del film mostrato nei cinema. Ci riuscì solo in parte, visto che soltanto alcune versioni di Dune presentarono il film come un opera di Alan Smithee, il nome (tra l’altro un anagramma di “the alias men”) spesso usato dai registi che non vogliono essere associati a un film. Sembra inoltre che, oltre a non montare il film come avrebbe voluto, Lynch non riuscì nemmeno a girare certe scene, che avrebbero richiesto costi ritenuti esagerati dalla produzione.

Lynch diresse il film – rinunciando alla possibilità di diventare regista di Il Ritorno dello Jedi – dopo aver diretto Eraserhead e The Elephant Man (candidato a otto premi Oscar), imbarcandosi in un progetto molto ambizioso, visto che il famoso romanzo di fantascienza di Frank Herbert da cui fu tratto il film era complicato, secondo qualcuno uno di quei libri impossibili da trasportare con efficacia al cinema.

Ma fu un famoso caso di film disastrato, in gran parte per le imposizioni del produttore Dino De Laurentiis e della figlia Raffaella, e per qualche inesperienza di Lynch a gestire una produzione straordinariamente costosa. Ci furono problemi di sceneggiatura, di produzione e di post-produzione, che culminarono appunto con la richiesta della casa di produzione di avere una versione più corta di quella voluta da Lynch. Quando questo succede è in genere per risparmiare sui costi, e anche per permettere ai cinema di proiettare più volte il film in un certo arco di tempo, aumentando di conseguenza i possibili incassi.


Uscito nel 1984, Dune fu un grande flop commerciale e fu stroncato dalla maggior parte della critica. Nei decenni successivi fu però almeno in parte rivalutato, diventando a suo modo un film di culto. Cosa che ha portato a una nuova versione, che è stata diretta da Denis Villeneuve e che dovrebbe arrivare a ottobre. Lynch – che di Dune sembra parlare sempre malvolentieri e di cui a volte nemmeno vuole parlare – ha detto anche che, ripensandoci, forse non avrebbe dovuto accettare di dirigere Dune, e che non è in alcun modo interessato al film di Villeneuve.

Indiana Jones e il tempio maledetto, Steven Spielberg
Uscì nel 1984, secondo della saga iniziata tre anni prima, e così come ogni altro film della saga fu diretto da Spielberg. Tra i quattro, non è di certo quello ritenuto peggiore (quel posto è ben presidiato da Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, uscito nel 2008) ma qui si parla di film che non sono piaciuti a chi li ha fatti, non a chi li ha visti.

In questo caso, Spielberg disse a fine anni Ottanta: «Era troppo cupo, troppo sotterraneo e davvero troppo horror. Superò addirittura Poltergeist [nella versione originale: “it out-poltered Poltergeist”]. E non c’è un grammo della mia personalità e dei miei sentimenti». In seguito disse anche che però è comunque legato a ottimi ricordi, perché gli permise di conoscere Kate Capshaw, che sarebbe poi diventata sua moglie. Capshaw che tra l’altro sembra essere d’accordo con lui, visto che parlò del suo personaggio in quel film (Willie Scott) come di una «bionda tonta e urlante».


Independence Day – Rigenerazione, Roland Emmerich
Il primo film, Independence Day e-basta, uscì nel 1996 e sebbene non lo si possa certo ritenere un film d’essai ebbe grandi incassi, un non indifferente impatto nella cultura popolare e una indubbia capacità di condensare un paio d’ore di grandissimo intrattenimento d’azione in stile anni Novanta. E anche di farsi apprezzare da diversi critici. Elvis Mitchell, quello del New York Times, ne elogiò soprattutto due aspetti: i suoi dialoghi perfetti e cartooneschi e il capitano Steven Hiller, che così come Indiana Jones sa essere «così tosto e imperturbabile».

Il secondo film, Independence Day – Rigenerazione, che così come il primo fu diretto da Emmerich, dovette fare i conti piuttosto presto con un problema non indifferente. Will Smith, cioè il capitano Steven Hiller, aveva deciso di dedicarsi alle riprese di Suicide Squad e declinò la proposta di chi lo voleva di nuovo a combattere gli alieni. Nel 2019 Emmerich spiegò che Smith rinunciò alla proposta «a produzione già avviata» e aggiunse: «a quel punto avrei dovuto rinunciare all’idea, perché [nel caso in cui ci fosse stato Smith] avevamo una sceneggiatura davvero migliore, e dopo il suo no dovetti metterne insieme una diversa, piuttosto di fretta. Avrei dovuto rinunciare, perché di colpo mi ritrovai a fare qualcosa che non volevo fare nemmeno io: un sequel».


Paura e desiderio, Stanley Kubrick
È evidentemente pieno di registi meno noti che non gradiscono certi loro film, e che a volte magari lo dicono anche. Ma è altrettanto evidente che se a parlare male di un suo film sono Hitchcock, Allen o Spielberg, la questione si fa più interessante. E alla lista si aggiunge anche Kubrick, che fu assai critico del suo primo lungometraggio: un film di guerra (tra due paesi non citati esplicitamente) e contro la guerra, che parla appunto di paure e desideri di alcuni soldati trovatisi dietro le line nemiche. Uscì nel 1953 e oltre che della regia Kubrick si occupò anche di fotografia e montaggio.


Negli anni Sessanta Kubrick – che prima di diventare regista era stato fotografo – ne parlò come di un «grande sforzo, eseguito in modo inetto», e come di un «esercizio cinematografico di un amatore imbranato». È anche piuttosto noto la storia – forse non del tutto vera – secondo la quale non molto dopo l’uscita cercò di ottenerne tutte le copie disponibili, così da distruggerle.

The Day the Clown Cried, Jerry Lewis
Un film che nessuno ha mai visto, e che forse non fu nemmeno completato. Perché Lewis – che lo scrisse, diresse e interpretò – volle così. Si sa che parlava di un clown che finiva in un campo di concentramento nazista (motivo per cui alcuni lo ritengono una sorta di parziale ispirazione per La vita è bella di Roberto Benigni). E si sa che ci furono problemi legati alla produzione e anche ai finanziamenti, e che a un certo punto Lewis ci mise molti soldi di tasca propria per tenersi una considerevole parte del girato e per evitare di farlo uscire.

Del film si sono visti solo brevi filmati del dietro le quinte, ma pare ne esistano almeno due copie più o meno complete. Parlandone nel 2013 Lewis disse: «Mi vergognavo del risultato e sono felice di essere riuscito a non renderlo pubblico, a non farlo vedere a nessuno. Era brutto, brutto, brutto. Avrebbe potuto essere meraviglioso ma lo rovinai».

– Leggi anche: Film che non lo sono diventati