La parola che state cercando è “illanguidimento”

È il senso di immobilità e di mancanza di stimoli che ha caratterizzato la vita di molti durante la pandemia

illanguidimento
(Franck Prevel/Getty Images)

Nel corso dell’ultimo anno, oltre ai numerosi studi di patologia clinica, immunologia ed epidemiologia, sono state pubblicate diverse ricerche di psichiatria che hanno avviato un lungo, faticoso e necessario lavoro di inquadramento dei molteplici effetti della pandemia sulla salute mentale della popolazione. Un discorso che interessa non soltanto le categorie professionali più esposte al rischio di contagio o più a contatto con i pazienti, né soltanto la parte della popolazione che ha effettivamente ricevuto una diagnosi di COVID-19, ma la grande maggioranza delle persone che in misure e con modalità diverse hanno subito le conseguenze sociali e psicologiche della pandemia.

Un recente articolo del New York Times ha attirato l’attenzione intorno a una condizione di vuotezza, immobilità e perdita di interesse – definita in psicologia languishing (“illanguidimento”) – apparentemente molto diffusa e comune tra le persone durante la pandemia. Non ricade nella definizione di depressione, né di burn-out – la sindrome da stress lavorativo ed esaurimento emotivo frequente nelle professioni a elevato coinvolgimento relazionale – né di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), sebbene alcuni studi non escludano la possibilità che l’illanguidimento possa rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di questi o di altri disturbi psichici.

– Leggi anche: I problemi neuropsichiatrici tra i malati di COVID-19

L’articolo, circolato molto negli ultimi giorni e ripreso anche da altri siti, è stato scritto da Adam Grant, uno dei più autorevoli giovani psicologi americani, docente alla Wharton Business School della University of Pennsylvania. Alla base delle numerose condivisioni online, a giudicare dai commenti, è sembrata esserci almeno in parte una certa capacità dell’articolo di suscitare in moltissimi lettori la sensazione di rientrare nella casistica descritta. L’autore fa tuttavia riferimento a categorie ben radicate e note a psicologi e psicoterapeuti, ed è ipotizzabile che la reale incidenza di questo illanguidimento sulla popolazione – al di là delle impressioni personali suggerite dalla lettura dell’articolo – sia materia suscettibile di ulteriori studi e riflessioni.

parigi

Parigi, 24 marzo 2021 (AP Photo/Francois Mori)

Grant riprende una terminologia introdotta dal sociologo e psicologo americano Corey Keyes, che nei primi anni Duemila elaborò un modello teorico di salute mentale poi molto utilizzato in successive ricerche accademiche, basato sul concetto di flourishing, ossia “floridezza” intesa come pieno benessere psicologico. È ritenuta una categoria centrale nella psicologia sociale, la branca che studia il comportamento delle persone in gruppo, e nella psicologia positiva, un ambito di studi che prende in considerazione diversi indicatori relativi alla qualità della vita per una completa definizione di salute mentale.

Keyes definisce il benessere psicologico come uno spettro continuo che va dalla floridezza, uno stato in cui l’individuo prova emozioni positive rispetto alla vita e «funziona bene psicologicamente e socialmente», al suo estremo opposto, l’illanguidimento, una condizione di malessere caratterizzata dalla mancanza di iniziativa e di interessi, condizione evidentemente più diffusa di patologie psichiatriche proprie come il disturbo depressivo. Non esiste benessere psicologico, secondo Keyes, che non sia il risultato di una combinazione di assenza di patologie psichiatriche e presenza di alti livelli di floridezza. Nel paradigma di Keyes, che è quello utilizzato da Grant nell’articolo per il New York Times, in assenza di patologie psichiatriche, «i languidi non sono né mentalmente malati né mentalmente sani».

Il merito riconosciuto a Keyes e ad altri autori impegnati in queste ricerche – come Barbara Fredrickson, Marcial Losada, Martin Seligman – è quello di aver sviluppato un modello di salute mentale basato sul funzionamento psichico in senso pieno o “in positivo”, ossia non soltanto in termini di semplice assenza di segni patologici. In questa prospettiva è ritenuta fondamentale la presenza nell’individuo di capacità di perseguire obiettivi quotidiani e interagire proficuamente nel contesto sociale in cui si trova.

La tesi sostenuta da Grant è che il venir meno di queste capacità in molti individui sia da considerare uno degli effetti a lungo termine della pandemia. Cita come esempio sensazioni e comportamenti condivisi tra suoi familiari, amici e colleghi, accomunati da difficoltà di concentrazione e assenza di entusiasmo nonostante le buone notizie riguardo alla campagna vaccinale statunitense. Alcuni rimangono svegli fino a tardi a rivedere film che conoscono a memoria. Altri rientrano a casa delusi dopo una breve passeggiata. Lui stesso, al risveglio, rimane per un’ora nel letto a fare qualche partita a giochi multiplayer per smartphone. Descrivendo l’illanguidimento come il «sentimento dominante» del 2021, Grant dice che «è come se ti stessi arrabattando giorno dopo giorno, guardando la tua vita attraverso un parabrezza annebbiato».

berlino

Berlino, 16 aprile 2021 (Sean Gallup/Getty Images)

Dopo i primi tempi della pandemia, caratterizzati da un costante stato di allerta del cervello, le persone hanno progressivamente sviluppato prassi e routine utili ad alleviare il senso di paura, sostiene Grant. Di fronte al protrarsi di quelle circostanze straordinarie, «lo stato di angoscia acuta ha lasciato il posto a una condizione cronica di languore». Grant la inquadra come una via di mezzo – il «figlio di mezzo dimenticato» – tra la piena salute mentale e la depressione, che è il punto più basso, quello in cui ci si sente «scoraggiati, svuotati e inutili». Una delle conseguenze di questa condizione intermedia è l’attenuazione o la perdita di motivazioni, la difficoltà di concentrazione e l’alta probabilità di rendere meno al lavoro.

In base agli studi di Keyes, Grant suggerisce che le persone con maggiori probabilità di soffrire di disturbi d’ansia e disturbi depressivi nei prossimi anni non siano quelle che presentano già dei sintomi, ma quelle che oggi provano questa condizione di illanguidimento.

Cita uno studio italiano che ha valutato la salute mentale degli operatori sanitari in Lombardia durante la pandemia, condotto all’Università degli Studi di Milano dal Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco” e dal Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti. I ricercatori hanno preso in considerazione un campione di 653 partecipanti allo studio nel periodo tra il 15 aprile e il 3 maggio 2020, la parte finale del primo lockdown nazionale in Italia. Il 39,8 per cento del campione ha ricevuto in seguito una diagnosi provvisoria di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), ed è stato possibile stabilire che tra gli operatori sanitari che durante la primavera avevano manifestato una condizione di illanguidimento il rischio di ricevere una diagnosi di PTSD era maggiore. Una condizione di floridezza è invece emersa come un fattore protettivo.

– Leggi anche: Cosa può insegnare un incidente aereo sulle nostre reazioni alla pandemia

Uno degli aspetti più pericolosi dell’illanguidimento, secondo Grant, è la difficoltà nel rendersi conto di trovarsi in questa condizione. «Sei indifferente alla tua indifferenza, e quando non riesci a vedere la tua sofferenza, non cerchi aiuto né fai molto per aiutarti». Per questa ragione è molto importante riconoscere il languore in altre persone, che potrebbero quindi avere bisogno di aiuto. Già anche soltanto parlarne, di illanguidimento, è per Grant un modo utile di dare un nome a un’esperienza molto sfocata e definirla in un quadro comune e condiviso tra le persone.

Tra le pratiche individuate dagli esperti di psicologia positiva per contrastare gli effetti dell’illanguidimento c’è quella di riversare sé stessi in un “flusso”, un’attività orientata agli obiettivi o che richieda un certo livello di abilità per essere completata. Ma anche una lunga sessione di “binge watching” su Netflix o di giochi di parole sullo smartphone può aiutare. «È quell’inafferrabile stato di assorbimento in una sfida significativa o in un legame momentaneo, in cui il tuo senso del tempo, del luogo e del sé si dissolve», spiega Grant. E aggiunge che le persone in grado di «immergersi» in questo tipo di attività durante la prima fase della pandemia erano riuscite a evitare l’illanguidimento.

California, Manhattan Beach

California, 9 dicembre 2019 (Bruce Bennett/Getty Images)

Per favorire anche sul posto di lavoro questo tipo di attività capaci di catturare la nostra piena attenzione, un’idea utile potrebbe essere quella di segmentare il tempo in «blocchi ininterrotti», eliminando le distrazioni costanti. Grant cita un esperimento condotto in India alla fine degli anni Novanta da una quotata azienda di software che istituì tra i dipendenti una sorta di divieto di interrompere il lavoro dei colleghi nelle mattine di martedì, giovedì e venerdì, fino a mezzogiorno. E la produttività degli ingegneri dell’azienda ne giovò nettamente. La possibilità di concentrarsi su qualcosa di specifico, senza alcun disturbo, aveva aggiunto un gratificante senso di progresso alle motivazioni quotidiane dei lavoratori.

In generale e per chiunque, infine, un modo di venir fuori dall’illanguidimento potrebbe essere quello di ritagliarsi ogni giorno del tempo in cui impegnarsi in piccole e gestibili «sfide» ritenute personalmente significative. «Un progetto interessante, un obiettivo utile o una conversazione significativa» potrebbero bastare per riscoprire un po’ dell’energia e dell’entusiasmo assorbiti nei mesi scorsi dalla pandemia, conclude Grant.

– Leggi anche: Perché non riusciamo a smettere di scrollare