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  • Sabato 3 aprile 2021

Sciences Po sta cambiando

Il prestigioso istituto francese di studi politici è stato accusato di "islamo-gauchisme", anche per avere iniziato a trattare diversamente temi legati alla razza e al genere

Protesta a Science Po Paris, aprile 2018 (AP Photo/Francois Mori)
Protesta a Science Po Paris, aprile 2018 (AP Photo/Francois Mori)

Sciences Po, il prestigioso istituto di studi politici francese nel quale vengono selezionate, formate e promosse le élite dirigenti del paese, sta cambiando. Gli studenti che lo frequentano dimostrano da tempo una militanza politica più attiva rispetto al passato, soprattutto su temi che hanno a che fare con razza, genere e postcolonialismo, tutte questioni che sono entrate a far parte anche del percorso di studi dell’istituto.

Proprio per questo motivo, Sciences Po è stata accusata – così come il mondo universitario francese in generale – di islamo-gauchisme, la presunta e non meglio definita vicinanza di intellettuali e partiti della sinistra radicale agli ambienti islamisti (gauche significa “sinistra”). Le critiche arrivano non solo dalle destre e dalle loro varie diramazioni in ambito accademico, ma anche da parte del governo del presidente Emmanuel Macron.

Perché se ne parla
Lo scorso febbraio, Frédéric Mion, direttore del prestigioso Istituto per gli studi politici di Parigi Sciences Po, si era dimesso per uno scandalo di abusi sessuali che coinvolgeva l’ex presidente della Fondazione che controlla Sciences Po, Olivier Duhamel. Mion aveva negato di essere a conoscenza delle accuse di abusi che erano state rivolte a Duhamel dalla sua figliastra, l’avvocata Camille Kouchner, che ne aveva parlato in un libro pubblicato a inizio gennaio. Si era poi scoperto che Mion sapeva degli abusi dal 2018.

A partire da questa storia, spiega Le Monde, non è passata settimana senza che l’istituto – che ha dieci sedi in altrettante città francesi – facesse parlare di sé.

Lo scorso 22 marzo, il collettivo femminista di Sciences Po di Lione Pamplemousse e il sindacato Solidaires-Etudiantes hanno chiesto l’esclusione della Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo (LICRA) dal partenariato con il loro istituto a causa delle «tante ambiguità» dell’organizzazione rispetto «all’islamofobia» e «alla laicità». La LICRA è un’organizzazione non governativa con sede a Parigi; le critiche del collettivo e del sindacato di Sciences Po si riferiscono in particolare a un dibattito che si era tenuto nel dicembre del 2020 in un liceo di Besançon, a est di Digione, in occasione della Giornata della laicità.

L’incontro era stato criticato da genitori e docenti, che avevano inviato una lettera molto dura al preside in cui pretendevano l’esclusione della LICRA dalle future iniziative della scuola, l’organizzazione di una nuova Giornata per la laicità e la pubblicazione di un comunicato ufficiale da parte della scuola per prendere le distanze da alcuni concetti espressi dai rappresentanti della LICRA durante la conferenza.

I rappresentanti della LICRA avevano ad esempio spiegato che l’organizzazione «combatte tutte le forme di razzismo (compreso il razzismo contro i bianchi) e di antisemitismo (compreso quello che si nasconde dietro all’antisionismo). Noi combattiamo ciò che mette in pericolo la nostra Repubblica, l’estrema destra identitaria, l’islamismo e l’estrema sinistra». E ancora: «(…) possiamo benissimo avere paura dell’Islam come abbiamo paura dei ragni».

Non è la prima volta che la LICRA viene accusata di non essere un’organizzazione laica e di propagandare le idee che pretenderebbe invece di combattere.

Nel loro comunicato stampa, gli studenti di Sciences Po sostengono che la lotta contro l’islamofobia, l’antisemitismo e qualsiasi forma di razzismo debbano essere una priorità e che istituzioni come quella in cui studiano «debbano circondarsi di collettivi e associazioni il cui lavoro è all’altezza della lotta. La LICRA non è uno di questi».

Un altro episodio di cui si è discusso molto risale al 18 marzo e riguarda la sede di Sciences Po di Strasburgo. Quel giorno il sindacato studentesco UNI, di destra, ha criticato la direzione dell’istituto per aver escluso il nome di Samuel Paty dalla lista finale per il “nom de promotion”. Paty è il professore francese decapitato il 16 ottobre scorso in un attentato terroristico perchè accusato di aver mostrato ai suoi studenti alcune caricature del profeta Maometto, cosa che non era avvenuta.

È tradizione, a Sciences Po, che dopo alcuni mesi trascorsi insieme, gli studenti del primo anno organizzino una votazione per battezzare simbolicamente la loro classe per i successivi quattro anni. La scelta deve soddisfare due condizioni: la persona deve essere morta, e non deve essere una personalità «divisiva». Un altro criterio è quello dell’alternanza di genere, e la classe precedente aveva scelto il nome dello scrittore e illustratore Tomi Ungerer. Le personalità proposte al primo turno della votazione erano in prevalenza donne, ma nella lista c’erano anche alcuni nomi di uomini, tra cui quello di Samuel Paty. Nomi che, come quelli femminili già scelti negli anni precedenti, sono stati però esclusi dalla lista finale per decisione unilaterale dell’istituto, per seguire la regola dell’alternanza. Alla fine il nome più votato è stato quello di Gisèle Halimi, avvocata femminista di origine tunisina morta lo scorso anno.

Quanto accaduto, ha denunciato l’UNI, «è indicativo di quanto accade da anni a Sciences Po di Strasburgo»: «L’ideologia e gli attivisti di estrema sinistra dettano legge e non esitano a calpestare la memoria di un martire per la libertà». L’UNI ha contestato il fatto che l’alternanza di genere nella scelta dei nomi è una prassi, non un obbligo, quindi se si fosse voluto la scelta sarebbe potuta cadere anche su Paty.

– Leggi anche: La bugia dietro l’omicidio di Samuel Paty

Questi due episodi sono successi dopo altri due eventi che avevano avuto molta più risonanza.

Il primo era stato la nascita del movimento #sciencesporcs, il 7 febbraio, per iniziativa di una ex studentessa di Sciences Po Toulouse, la blogger femminista Anna Toumazoff. Toumazoff voleva denunciare «la cultura dello stupro» e la «complicità» delle amministrazioni dei vari istituti di Sciences Po nel coprire e nel non punire, sistematicamente, gli autori di violenza di genere. Il secondo era stato l’affissione di alcuni manifesti a Sciences Po Grenoble, il 4 marzo, con i nomi di due professori accusati di “fascismo” e “islamofobia”. Il sindacato studentesco US, di estrema sinistra, aveva chiesto la sospensione da un corso di uno di questi due docenti.

Tutti questi episodi, conclude Le Monde, mostrano un’evoluzione di Sciences Po, o almeno un’evoluzione da parte di chi frequenta l’istituto verso una maggiore consapevolezza politica. I detrattori, invece, parlano di “politicizzazione”.

La militanza
«Vedo la formazione di veri e propri militanti i cui obiettivi sono cambiati. Questo è un marcatore generazionale che non è specifico della nostra formazione», ha detto ad esempio Jean-Philippe Heurtin, direttore di Sciences Po di Strasburgo. Anthonin Minier, studente del primo anno a Sciences Po di Parigi e rappresentante degli ambientalisti, ha a sua volta detto che tra gli studenti la percentuale di chi afferma di essere vicino o impegnato in un partito o in un sindacato tradizionale è bassissima.

Nei dibattiti tra gli studenti, ma anche nei corsi di studio, sono entrate questioni come le discriminazioni sociali, di genere e di razza e si sono creati dei collettivi: «Gli istituti per gli studi politici non sono più club maschili» e la percentuale di studenti donne è molto elevata, ha spiegato Vincent Tiberj, docente a Sciences Po Bordeaux. «Il genere, ora, è qualcosa di significativo (…) Lo dimostra anche #sciencesporcs».

Francis Vérillaud, che per venticinque anni ha guidato le relazioni internazionali dell’istituto parigino, ha detto che l’anno all’estero, obbligatorio dall’inizio degli anni 2000, può spiegare in parte questa nuova attitudine: «Sciences Po è stata sfidata dai suoi stessi studenti, che si sono molto internazionalizzati. Quando tornano da un anno trascorso in Canada, negli Stati Uniti, nei Paesi Bassi o in Germania, dove i temi della violenza sessuale e di genere sono trattati nelle università, portano il loro contributo».

Sciences Po ha poi modificato i propri criteri di ammissione per rendere l’accesso più democratico, ha aumentato le borse di studio, gli istituti si sono adeguati agli standard internazionali, e i corsi principali (storia, sociologia, scienze politiche e diritto) si sono arricchiti di nuove materie: «Pensare di fare Sciences Po solo per sostenere il concorso per l’École nationale d’administration (la scuola nazionale di amministrazione, ENA, responsabile per la formazione dell’alta funzione pubblica francese, ndr) è un falso mito», ha spiegato Yves Déloye, direttore di Sciences Po Bordeaux. «I concorsi amministrativi, che furono al centro della creazione degli istituti nel dopoguerra, attirano solo un terzo dei nostri studenti. Gli altri aspirano a carriere sempre più diversificate: nel mondo degli affari, nelle ONG, nell’economia sociale e solidale».

Si è evoluto, a Sciences Po, anche il profilo dei docenti, che vengono reclutati sempre di più tra gli accademici e i ricercatori piuttosto che tra le personalità della politica e dell’economia: «Ricordo il grande corso di economia del secondo anno di Michel Pébereau (presidente della Banque Nationale de Paris, ndr). Distribuiva una dispensa del 1986. Ma era il 1993 e nel frattempo era caduto il muro di Berlino. Ma in questo mondo élitario il tempo sembrava sospeso», ha raccontato un ex studente.

Le accuse
Lo scorso gennaio il Foglio ha ripreso un’inchiesta pubblicata su Le Figaro, il quotidiano di riferimento della destra francese.

L’inchiesta, diceva Il Foglio, «ha sollevato il velo sull’incursione inquietante dell’ideologia decoloniale e del pensiero indigenista all’interno di Sciences Po». Brice Couturier, giornalista di France Culture, aveva raccontato al Foglio che «la moda americana della cancel culture e della sinistra ‘woke’ sta penetrando anche da noi, nei centri dell’élite. Siamo di fronte a qualcosa di terrificante. (…) Imporre la vittimizzazione all’americana nelle nostre culture e nei nostri paesi è un’aberrazione storica, ma funziona, perché va di moda. Il modo di comportarsi dei ‘woke’ ricorda le guardie rosse della rivoluzione culturale maoista. Mettono in discussione i loro professori, creano gruppi di pressione, impongono un’ideologia basata sulla razza e sono ostili alla meritocrazia. Non sono molti, ma terrorizzano la massa degli studenti».

Più o meno sono queste le accuse rivolte a Sciences Po, e all’intero mondo universitario francese.

In febbraio, la ministra francese dell’istruzione superiore, Frédérique Vidal, ha detto che l’islamo-gauchisme «è una cancrena per l’università (…) No, in realtà è una cancrena per l’intera società», e ha annunciato di voler avviare un’indagine sul fenomeno chiedendo al Centro nazionale per la ricerca scientifica (Cnrs) «una valutazione di tutte le ricerche» e sulla presenza di docenti islamo-gauchistes nelle università; «essenzialmente professori che lavorano su tematiche postcoloniali, di genere e questioni legate alla razza», ha spiegato su Internazionale la giornalista e ricercatrice Catherine Cornet, aggiungendo come a partire dagli attacchi di matrice islamica che si sono verificati in Francia e dalla propaganda dell’estrema destra sui rapporti tra terrorismo e religione, certi argomenti abbiano «cominciato a farsi strada nel partito La République en marche del presidente Macron».

La proposta della ministra è stata molto criticata dal mondo accademico francese, e non solo: in un comunicato, la Conferenza dei rettori delle università (Cpu) ha scritto che islamo-gauchisme non è un concetto, ma «una pseudo-nozione di cui si cercherebbe invano un inizio di definizione scientifica, e che sarebbe opportuno lasciare (…) all’estrema destra che l’ha resa popolare». Nel comunicato si legge inoltre: «La Cpu chiede al governo di alzare il livello del dibattito. Se ha bisogno di analisi, di tesi diverse e di discorsi scientifici circostanziati per andare oltre le rappresentazioni caricaturali e i discorsi da bar, le università sono a sua disposizione. Anche se il dibattito politico non è per natura scientifico, non significa che può raccontare qualsiasi cosa».

A sua volta, il Cnrs ha detto che l’espressione islamo-gauchisme non corrisponde ad alcuna realtà scientifica, ha condannato «fermamente chi cerca di approfittarne per mettere in discussione la libertà accademica o per stigmatizzare determinate comunità scientifiche» e ha condannato in particolare il tentativo di delegittimare vari campi di ricerca, come gli studi postcoloniali, gli studi intersezionali o i lavori sul termine “razza”.

Il Cnrs ha però accolto la proposta di Vidal di realizzare uno studio scientifico sull’islamo-gauchisme. I risultati li ha sintetizzati Catherine Cornet: «Grazie a Politoscope, uno strumento sviluppato dal Cnrs per lo studio dell’attivismo politico online, sono stati analizzati oltre 290 milioni di messaggi politici postati dal 2016 a oggi da più di undici milioni di account Twitter. E alla fine è il governo a ritrovarsi sul banco degli imputati: lo studio del Cnrs lo accusa infatti di dare spazio ai temi dell’estrema destra più aggressiva».

Il termine, dice il Cnrs, è stato usato come «arma ideologica» per colpire e screditare un particolare gruppo sociale, trasmettendo contemporaneamente all’opinione pubblica un senso di ansia associata a un pericolo imminente: «Il suo utilizzo mira a polarizzare l’opinione pubblica attorno a due campi dichiarati incompatibili e tra i quali sarebbe necessario scegliere: da un lato i difensori del diritto e dei valori repubblicani, dall’altro i traditori dei valori francesi e alleati di un nemico sanguinario. La costruzione stessa del termine riflette questa ambizione».

Il Cnrs cita anche la pratica dell’alt-right statunitense (l’estrema destra americana) di creare un nemico immaginario contro il quale l’estrema destra stessa si possa porre come baluardo, giustificando di conseguenza le sue azioni, spesso violente.

Dallo studio del Cnrs, risulta che il principale partito accusato di islamo-gauchisme sia la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon, di sinistra radicale, e appena dopo il leader del Partito socialista, Benoît Hamon. Lo studio dice che «gli account più coinvolti nella diffusione di accuse di islamo-gauchisme, dal 2016 ad oggi, sono ideologicamente di estrema destra», e avendo utilizzato questo termine ora anche in ambito accademico, diversi esponenti del governo Macron l’hanno, di fatto, legittimato.

La conclusione del Cnrs è che è necessario «garantire che nessuna forma di estremismo si sviluppi nel mondo accademico o della ricerca (…): per questo, dobbiamo essere consapevoli che l’efficacia della loro eliminazione dipende dal modo in cui viene nominata».