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  • Mercoledì 31 marzo 2021

L’articolo del New Yorker che fa discutere in Polonia

Accusa il paese di negare il suo ruolo nell'Olocausto, ma il direttore del Museo di Auschwitz-Birkenau non è d'accordo

I due libri dello studio degli accademici Jan Grabowski e Barbara Engelking, "Dalej jest noc" (in italiano “Notte senza fine”), fotografati all'Istituto storico ebraico di Varsavia, in Polonia. (AP Photo/ Czarek Sokolowski)
I due libri dello studio degli accademici Jan Grabowski e Barbara Engelking, "Dalej jest noc" (in italiano “Notte senza fine”), fotografati all'Istituto storico ebraico di Varsavia, in Polonia. (AP Photo/ Czarek Sokolowski)

Lunedì il direttore del Museo di Auschwitz-Birkenau, Piotr Cywinski, ha criticato un articolo pubblicato venerdì sul New Yorker: denunciava l’ostilità mostrata più volte dal governo polacco verso gli storici che studiano il ruolo della Polonia nell’Olocausto, durante la Seconda guerra mondiale.

L’articolo, scritto dalla giornalista Masha Gessen, accusa il governo polacco di limitare una discussione legittima da parte degli studiosi sulla presunta complicità di alcuni cittadini polacchi nelle vicende legate all’Olocausto. In Polonia è un argomento molto delicato e da qualche anno il governo nazionalista guidato dal primo ministro Mateusz Morawiecki sta cercando di negare il coinvolgimento del paese nello sterminio degli ebrei, compiendo un’opera che alcuni studiosi definiscono di revisionismo storico. Secondo Cywinski, l’articolo ha fatto «gravi danni» e contiene «così tante bugie e distorsioni che faccio fatica a credere che sia una coincidenza».

L’articolo parla di due storici polacchi che a febbraio un tribunale di Varsavia aveva giudicato colpevoli di aver diffamato un uomo accusato di complicità nell’Olocausto. Nel 2018 i due accademici, Jan Grabowski e Barbara Engelking, avevano pubblicato un lungo studio su diverse vicende legate all’Olocausto in Polonia, Dalej jest noc (in italiano “Notte senza fine”). Raccontava, tra le altre cose, la storia di un uomo polacco, Edward Malinowski, descritto come «corresponsabile della morte di diverse decine di ebrei» che si erano nascosti in un bosco fino a quando lui non li aveva denunciati ai tedeschi. Lo studio aveva omesso che Malinowski era stato assolto dall’accusa di collaborazionismo con i nazisti in un processo avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale.

Secondo Gessen, i due accademici si erano ritrovati coinvolti nella vicenda legale a causa dei tentativi del governo di negare le responsabilità del paese nell’Olocausto. Già nel 2018, per esempio, il Senato polacco aveva approvato una nuova legge che vietava di accusare il paese di complicità nell’Olocausto e di riferirsi ai campi di concentramento nazisti in Polonia come “polacchi”. La legge aveva però provocato moltissime critiche e pochi mesi dopo il Parlamento aveva approvato un emendamento per correggerla. L’articolo sostiene anche che molti ebrei uccisi nei campi di concentramento nazisti erano stati scoperti e denunciati da persone polacche; aggiunge che «per il governo, mettere in discussione il ruolo della Polonia all’Olocausto è un gesto antipatriottico e diffamatorio».

La parte più discussa è stata il sottotitolo: «pur di esonerare la nazione dall’uccisione di tre milioni di ebrei, il governo polacco è disposto a perseguire gli studiosi per diffamazione». David Harris, amministratore delegato dell’American Jews Committee, la più importante organizzazione americana in difesa dei diritti delle persone ebree, lo ha definito «diffamatorio» e ha specificato che «la Germania – e la Germania soltanto – è stata responsabile dei campi di concentramento nazisti, da Auschwitz a Treblinka» e che «le infami parole all’entrata di Auschwitz — “Arbeit macht frei” (il lavoro rendere liberi) — erano scritte in tedesco, non in polacco. Questo non va mai e poi mai dimenticato».

Nella polemica è entrato anche il governo polacco: il viceministro degli Esteri, Szymon Szynkowski vel Sek, ha detto che «questa distorsione» avrebbe provocato «una reazione forte da parte della diplomazia polacca».

Dopo le critiche ricevute nel weekend il sottotitolo è stato smorzato ed è diventato: «gli studiosi subiscono denunce per diffamazione e altre accuse potenzialmente penali a causa degli sforzi del governo polacco di negare le responsabilità della nazione nell’uccisione di 3 milioni di ebrei durante l’occupazione nazista». In una nota a piè pagina, il New Yorker ha spiegato che la modifica è stata fatta per includere il riferimento all’occupazione nazista in Polonia e per descrivere «in maniera più accurata» le potenziali minacce legali per gli accademici che se ne occupano. Sia l’autrice che il giornale restano convinti della bontà del testo.

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Gessen ha raccontato di aver ricevuto diverse e-mail piene di insulti e minacce di morte per via del pezzo. Ha detto che le sue parole sono state fraintese e che il riscontro che hanno ottenuto in Polonia riflette il clima che si respira quando si affronta l’argomento: «l’esatto opposto di un ambiente in cui sia possibile fare approfondimenti intellettuali e raccontare storie con diverse sfumature». Secondo lei la questione attira «così tanta attenzione e così tanta ostilità perché minaccia la narrativa su cui si basa la società polacca e il senso di legittimità storica» del paese.

Cywinski ha detto ad Associated Press di essere contento della modifica, ma che «è stato fatto un grave danno e assieme alle correzioni dovrebbero arrivare anche delle scuse». Harris ha aggiunto che nell’articolo ci sono «altre serie questioni analoghe» che sarebbero da sistemare, ma che questa modifica è «un passo nella giusta direzione».

Il campo di concentramento di Auschwitz si trova nel sud della Polonia, in un’area che durante la Seconda guerra mondiale era stata occupata dalla Germania. Negli anni in cui il campo fu operativo vi furono rinchiusi almeno 1,3 milioni di persone, e ne sopravvissero poche migliaia; molti altri morirono in altri campi di sterminio polacchi, come quello di Treblinka, e altri ancora furono uccisi nel corso di esperimenti medici in cui venivano utilizzati come cavie. Benché la Polonia non si fosse alleata con i nazisti, negli ultimi anni storici come Grabowski ed Engelking hanno cercato di approfondire il ruolo del paese nell’Olocausto.

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