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  • Martedì 30 marzo 2021

Faremo un trattato internazionale contro le pandemie?

Ne stanno parlando diversi paesi e l'OMS, per rispondere meglio alle emergenze sanitarie e non cascarci un'altra volta

(Jane Barlow - WPA Pool/Getty Images)
(Jane Barlow - WPA Pool/Getty Images)

Dai primi mesi dello scorso anno, esperti e osservatori hanno fatto notare come un migliore coordinamento a livello internazionale avrebbe probabilmente permesso di tenere sotto controllo più efficacemente la pandemia da coronavirus. Anche per questo motivo, negli ultimi giorni oltre 20 capi di stato e di governo e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) hanno dato il loro sostegno a un nuovo ambizioso progetto che dovrebbe portare alla creazione di un trattato internazionale per gestire le grandi emergenze sanitarie globali. L’idea non è completamente nuova, ma dopo un anno di pandemia potrebbero esserci infine gli incentivi giusti per renderla condivisa da buona parte dei governi.

La proposta del trattato era stata formulata per la prima volta lo scorso novembre, nel corso del Paris Peace Forum, la serie di incontri organizzati annualmente a Parigi per parlare di cooperazione internazionale con il coinvolgimento del settore pubblico, di quello privato e della società civile. All’epoca il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, aveva sostenuto che fosse arrivato il momento di andare oltre gli attuali sistemi, in modo da agire più velocemente e in maniera coordinata. Michel aveva quindi proposto insieme ad altri l’avvio dei lavori per la creazione di un nuovo trattato coinvolgendo l’OMS.

Nei mesi seguenti la proposta aveva ottenuto pareri favorevoli fino al sostegno del G7, la riunione di sette tra i paesi più industrializzati, alla fine dello scorso febbraio. Nello stesso mese, i capi di stato e di governo dell’Unione Europea avevano concordato di lavorare alla stesura del nuovo trattato, mantenendo l’OMS come principale punto di riferimento.

Gli obiettivi del trattato sono stati illustrati all’inizio di questa settimana su alcuni giornali internazionali, attraverso la pubblicazione di un editoriale firmato non solo da Michel e dal direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom, ma anche dai leader di oltre 20 paesi: Figi, Thailandia, Portogallo, Italia, Romania, Regno Unito, Ruanda, Kenya, Francia, Germania, Grecia, Corea del Sud, Cile, Costa Rica, Albania, Sudafrica, Trinidad e Tobago, Paesi Bassi, Tunisia, Senegal, Spagna, Norvegia, Serbia, Indonesia e Ucraina.

Molti dettagli devono essere ancora definiti, ma i proponenti dicono che l’intesa potrebbe essere adottata come una “convenzione”, considerato che l’articolo 19 dell’atto costitutivo dell’OMS comprende la possibilità di negoziare e concordare “convenzioni e accordi” che rientrano nelle competenze dell’Organizzazione stessa. Nel 2003 questo approccio fu del resto già seguito per la convenzione sul controllo dei prodotti a base di tabacco.

Il nuovo trattato dovrebbe concentrarsi su cinque approcci per affrontare future emergenze sanitarie:

• identificazione precoce e prevenzione delle pandemie;
• gestione delle future pandemie;
• risposta a ogni nuova pandemia, assicurando in particolare un accesso universale ed equo a farmaci, sistemi di diagnostica e vaccini;
• un quadro di regole più strutturato che renda più efficace il lavoro dell’OMS nel gestire i problemi sanitari globali;
• un approccio “Salute unica” (“One Health”), per occuparsi congiuntamente della salute tra gli esseri umani, gli animali e in generale il pianeta.

La cooperazione internazionale dovrebbe inoltre concentrarsi in diversi ambiti, a cominciare dai sistemi di sorveglianza per identificare situazioni a rischio che potrebbero portare alla diffusione di nuovi virus.

La proposta prevede l’istituzione di un maggior numero di laboratori per svolgere analisi sugli animali a rischio, così come sugli individui che sviluppano malattie non osservate prima e che potrebbero essere contagiose. I paesi dovrebbero inoltre prevedere un sistema per il finanziamento condiviso di queste iniziative di sorveglianza, in modo che possano essere condotte anche dai paesi più poveri.

Una maggiore sorveglianza dovrebbe consentire di avere più dati e di conseguenza di tenere meglio sotto controllo andamenti anomali, per esempio nell’aumento dell’incidenza di malattie con particolari sintomi, come era accaduto alla fine del 2019 a Wuhan, la città in Cina dove erano state rilevate le prime polmoniti atipiche poi ricondotte all’attuale coronavirus.

Almeno teoricamente, un’analisi più accurata dei dati nelle prime settimane dell’epidemia in Cina avrebbe potuto ridurre da subito la circolazione del virus, evitando che si diffondesse nel pianeta. Nella pratica è comunque molto difficile tenere sotto controllo la diffusione delle malattie, in un contesto in cui ogni giorno milioni di persone possono coprire grandi distanze, soprattutto con i viaggi aerei.

Il trattato dovrebbe contenere inoltre indicazioni sul coordinamento della produzione e gestione di risorse come mascherine e altri dispositivi di protezione, sia per quanto riguarda medicinali e vaccini. Ogni paese dovrebbe mantenere attivo e aggiornato un piano per la logistica, in modo da fornire assistenza e risorse ad altri paesi in difficoltà oltre che alla propria popolazione.

La proposta contiene poi indicazioni sull’importanza della condivisione delle conoscenze scientifiche sulle nuove malattie, a partire dalle informazioni sulle caratteristiche genetiche dei nuovi patogeni (virus, batteri e altro), che possono poi essere impiegate per lo sviluppo di farmaci e vaccini. All’inizio dello scorso anno la rapida condivisione da parte della Cina, e in seguito di altri centri di ricerca, dei dati sul materiale genetico del coronavirus aveva reso possibile l’avvio in tempi rapidi dello sviluppo dei primi prototipi dei vaccini ora autorizzati e somministrati a centinaia di milioni di individui in tutto il mondo.

Il nuovo documento dovrebbe inoltre offrire regole più chiare per la costituzione delle iniziative di solidarietà, soprattutto per quanto riguarda la diffusione dei vaccini nei paesi più poveri. L’attuale iniziativa COVAX, pensata proprio per offrire milioni di dosi di vaccini alle economie più deboli, ha incontrato non pochi ritardi e difficoltà, risolte parzialmente solo nelle ultime settimane.

In linea di massima, un trattato internazionale ha valore vincolante per i paesi che lo sottoscrivono, ma non è ancora chiaro se saranno previsti sistemi sia per incentivare i governi a partecipare sia per sanzionare eventuali comportamenti scorretti. I proponenti non hanno inoltre indicato tempi chiari sulla stesura del trattato, né sulle modalità da adottare nell’ambito dell’Assemblea Mondiale della Sanità (che governa l’OMS) per farlo approvare.