• Mondo
  • Giovedì 25 marzo 2021

La Cina contro H&M

Il governo sta promuovendo un boicottaggio dell'azienda di abbigliamento per via di una vecchia dichiarazione sugli uiguri: vale come segnale

Un uomo cammina di fianco a un negozio di H&M a Pechino, in Cina, il 25 marzo 2021 (EPA/ROMAN PILIPEY/ANSA)
Un uomo cammina di fianco a un negozio di H&M a Pechino, in Cina, il 25 marzo 2021 (EPA/ROMAN PILIPEY/ANSA)

In Cina è iniziata una campagna di boicottaggio generalizzata nei confronti di H&M, il marchio di abbigliamento svedese che ha negozi in tutto il mondo, promossa dal governo e dai media di stato per via di una vecchia dichiarazione ufficiale dell’azienda sugli uiguri. I giornali e le tv stanno invitando le persone a non comprare più da H&M, gli acquisti dai negozi online sono stati impediti in vari modi e alcune celebrità cinesi hanno interrotto i loro accordi di sponsorizzazione col brand.

La campagna di boicottaggio è stata provocata dalle recenti sanzioni internazionali decise contro la Cina proprio per le violazioni dei diritti umani degli uiguri, e riguarda un comunicato che H&M aveva pubblicato già diversi mesi fa. A settembre, l’azienda aveva detto di non volersi più rifornire con il cotone proveniente dallo Xinjiang per il sospetto che nella regione cinese gli uiguri fossero sottoposti a lavori forzati. La dichiarazione era stata poi cancellata dal sito ufficiale di H&M.

Gli uiguri sono una minoranza etnica di religione musulmana che abita prevalentemente nello Xinjiang. Diverse inchieste giornalistiche e dell’ONU hanno rivelato una repressione sistematica nei loro confronti da parte del governo cinese, che però l’ha sempre negata, giustificandola come campagna antiterroristica.

La risposta della Cina, in grande ritardo rispetto al commento di H&M, è soprattutto una reazione alle sanzioni coordinate che Unione Europea, Regno Unito, Stati Uniti e Canada hanno imposto al paese per le violazioni dei diritti umani nei confronti degli uiguri, le ultime di una serie approvata in questi mesi. Ed è una specie di avvertimento anche per altre grandi aziende occidentali di abbigliamento che si erano esposte in modi simili a H&M.

Un lavoratore del cotone nello Xinjiang (Guang Niu/Getty Images)

La campagna di boicottaggio verso H&M è stata avviata in maniera coordinata su tutti i principali mezzi di comunicazione controllati dallo stato, compresi giornali e televisioni. Il Quotidiano del Popolo, organo del Partito Comunista Cinese, ha lanciato un hashtag sul social network Weibo, diffusissimo in Cina, che tradotto significa più o meno “io sostengo il cotone dello Xinjiang”: la campagna sui social network ha l’obiettivo di fare leva sull’orgoglio nazionale, e per il momento sembra avere successo.

I prodotti di H&M sono spariti improvvisamente da tutte le principali piattaforme per gli acquisti online, compresa quella posseduta dalla multinazionale di e-commerce Alibaba, fondata dal miliardario cinese Jack Ma. L’applicazione di H&M è stata rimossa dall’app store di Android, mentre i negozi fisici non vengono più segnalati nelle mappe online. Numerosi attori e personaggi dello spettacolo cinesi hanno comunicato di aver cessato i rapporti pubblicitari con H&M, parlando di “diffamazione” verso la Cina e di “interesse nazionale”.

– Leggi anche: Cina e Stati Uniti hanno litigato prima ancora di cominciare a parlarsi

La sede centrale di H&M non ha commentato quello che sta succedendo, ma la sua divisione cinese ha sottolineato come la decisione dell’azienda sia legata a una visione di sviluppo sostenibile e non a una presa di posizione politica. In Cina H&M ha il suo quarto mercato più grande al mondo, e da novembre 2019 a novembre 2020 ha registrato vendite per l’equivalente di quasi un miliardo di euro.

H&M non è l’unica azienda di abbigliamento che potrebbe avere problemi con la Cina. Giovedì mattina Yuehua Entertainment, un’importante azienda di intrattenimento cinese che rappresenta molti attori, ha detto per esempio di aver cessato i suoi rapporti con Nike. Il Quotidiano del Popolo ha anche minacciato più o meno velatamente altri brand, nominandoli sui social tra quelli che non usano più il cotone dello Xinjiang: oltre alla stessa Nike, si menzionavano New Balance, Burberry e Adidas.

Dallo Xinjiang la Cina ricava l’87 per cento della sua produzione di cotone, che è pari al 7 per cento di tutto il cotone prodotto nel mondo. L’anno scorso gli Stati Uniti avevano introdotto sanzioni sul cotone e su altri tessuti provenienti dalla regione cinese, fino a imporre un divieto di importazione di cotone e pomodori, in uno degli ultimi giorni dell’amministrazione di Donald Trump. Il motivo citato era lo stesso per cui H&M aveva espresso perplessità, cioè che gli uiguri venissero imprigionati e sfruttati con lavori forzati nella filiera di quei prodotti.

Un lavoratore in un campo di cotone dello Xinjiang (AP Photo/Eugene Hoshiko)

In generale negli ultimi tempi la Cina aveva subito un evidente calo degli ordini dei prodotti dello Xinjiang dai paesi occidentali. Il recente attacco ad H&M è in larga parte un tentativo di stimolare il patriottismo dei consumatori e convincerli a comprare prodotti cinesi, per attutire le perdite.

– Leggi anche: La Cina non vuole gli ananas di Taiwan