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  • Venerdì 19 marzo 2021

Cina e Stati Uniti hanno litigato prima ancora di cominciare a parlarsi

Nel primo incontro tra diplomatici americani e cinesi dopo l'elezione di Biden le cose sono degenerate piuttosto in fretta

L'incontro tra la delegazione cinese e quella statunitense ad Anchorage, in Alaska (Frederic J. Brown/Pool via AP)
L'incontro tra la delegazione cinese e quella statunitense ad Anchorage, in Alaska (Frederic J. Brown/Pool via AP)

Giovedì, durante il primo incontro di alto livello tra diplomatici della Cina e della nuova amministrazione statunitense di Joe Biden, quello che avrebbe dovuto essere un rapido giro di convenevoli davanti ai giornalisti si è trasformato in un lungo scambio di accuse pubbliche durato più di un’ora, dopo che i diplomatici cinesi avevano violato il protocollo per accusare gli Stati Uniti di intromissione negli affari interni del paese.

L’incontro si è tenuto ad Anchorage, in Alaska. Vi hanno partecipato, per la parte americana, Antony Blinken, il segretario di Stato, e Jake Sullivan, il consigliere per la Sicurezza nazionale; per parte cinese, Yang Jiechi, un membro del Politburo e diplomatico veterano, e Wang Yi, il ministro degli Esteri. La riunione tra le due delegazioni era molto attesa perché doveva essere il primo momento di confronto tra i due paesi dopo le elezioni americane, e avrebbe potuto aiutare a comprendere l’andamento dei rapporti dopo quattro anni di guerra commerciale e di relazioni tese tra la Cina e l’amministrazione Trump.

L’inizio dell’incontro, quello a cui assistevano anche i giornalisti, è andato, almeno per gli standard della diplomazia, molto male: i diplomatici cinesi si sono mostrati inaspettatamente aggressivi, e quelli americani, dopo un’iniziale sorpresa, hanno risposto a tono. In alcuni momenti le due delegazioni hanno finito per interrompersi a vicenda, pur mantenendo sempre un certo contegno, cosa molto inusuale per questo tipo di incontri.

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Secondo il protocollo concordato tra le parti, prima dell’inizio della riunione a porte chiuse i quattro membri più importanti delle due delegazioni avrebbero dovuto tenere ciascuno un breve discorso introduttivo di due minuti davanti ai giornalisti, che poi sarebbero stati accompagnati fuori per consentire la discussione vera e propria. Hanno cominciato Blinken e Sullivan, che si sono attenuti ai tempi. Blinken, in particolare, ha tenuto un discorso disteso ma al tempo stesso duro, in cui ha difeso il mantenimento di un «ordine mondiale basato sulle regole» e ha espresso le «profonde preoccupazioni» degli Stati Uniti su Xinjiang, Hong Kong e Taiwan, oltre che sugli attacchi hacker compiuti da gruppi cinesi e sulla coercizione economica usata contro paesi alleati degli Stati Uniti.

Due giorni fa l’amministrazione americana aveva approvato sanzioni economiche contro 24 funzionari cinesi per il loro intervento nella riduzione delle libertà democratiche a Hong Kong, cosa che ha contribuito a rendere il clima dell’incontro ostile.

Yang Jiechi ha risposto con un discorso lungo quasi 20 minuti, in parte in cinese e in parte in inglese, in cui ha accusato gli Stati Uniti di avere un tono condiscendente nei confronti della Cina e di volersi immischiare negli affari interni del paese. Ha detto che gli Stati Uniti non hanno il diritto di accusare la Cina di violazione dei diritti umani e che dovrebbero piuttosto guardare ai propri problemi interni, come il razzismo sistemico reso evidente dal movimento Black Lives Matter. Ha criticato il modello americano di democrazia e ha detto che «la stragrande maggioranza dei paesi del mondo» non si riconosce nei valori universali difesi dagli Stati Uniti. «Riteniamo che sia importante che gli Stati Uniti cambino la loro immagine e la smettano di promuovere la loro democrazia nel resto del mondo. Molte persone negli Stati Uniti hanno poca fiducia nella democrazia degli Stati Uniti», ha detto Yang, aggiungendo che «Secondo i sondaggi d’opinione, i leader della Cina hanno l’ampio sostegno del popolo cinese». La Cina è una dittatura, dove né i sondaggi né la stampa sono liberi.

Terminati i discorsi introduttivi, gli assistenti sul posto hanno cominciato a chiedere ai giornalisti presenti di uscire dalla sala, ma Blinken ha chiesto loro di rimanere: «Aspettate un attimo, per favore», ha detto, e, rivolgendosi alla controparte cinese: «Considerati i vostri lunghi discorsi, permettetemi di aggiungere due parole prima di cominciare i lavori».

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Blinken, appena tornato da un viaggio in Giappone e in Corea del Sud, ha risposto dicendo che tra gli alleati ci sarebbe «forte soddisfazione per il fatto che gli Stati Uniti sono tornati» dopo i quattro anni di isolazionismo dell’amministrazione Trump; poi ha risposto alle accuse di Yang: «Facciamo errori. Abbiamo rovesciamenti e facciamo passi indietro. Ma nel corso della nostra storia abbiamo affrontato queste sfide in maniera aperta, pubblica, trasparente, non abbiamo cercato di ignorarle o di fingere che non esistano. A volte è doloroso. A volte è terribile, ma ogni volta ne usciamo più forti, migliori, più uniti come paese».

Blinken ha poi citato il presidente Joe Biden, il quale, quando ancora era vicepresidente, disse durante un incontro con Xi Jinping, che al tempo era suo pari grado: «Non è mai un bene scommettere contro l’America».

A quel punto, dopo che quattro discorsi da due minuti ciascuno si erano trasformati in una discussione lunga oltre un’ora, i giornalisti sono stati fatti uscire dalla sala, ma le proteste dei diplomatici cinesi su chi dovesse avere l’ultima parola nel dibattito pubblico sono proseguite, e le due delegazioni hanno finito per parlarsi sopra, contravvenendo ai protocolli.

Dopo la discussione pubblica, i diplomatici degli Stati Uniti hanno accusato i colleghi cinesi di aver voluto «dare spettacolo» e di aver violato i protocolli. I cinesi hanno accusato gli americani della stessa violazione. I lavori sono comunque proseguiti a porte chiuse, in un clima che gli americani hanno definito più serio e produttivo. Continueranno anche venerdì.

Non è ancora chiaro perché i diplomatici cinesi abbiano deciso di essere così aggressivi fin dal primo incontro. Secondo le anticipazioni, questo meeting avrebbe dovuto avere un importante valore strategico: il giorno prima del suo inizio il Wall Street Journal aveva scritto che i diplomatici cinesi ne avrebbero approfittato per chiedere all’amministrazione Biden di ritirare tutti i provvedimenti più duri contro la Cina messi in atto dal suo predecessore. Il New York Times, sempre prima dell’incontro, aveva definito la relazione tra Biden e Xi come una «cauta danza».

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Tra le ipotesi che giustificano la poca cautela dei diplomatici cinesi c’è anzitutto la necessità di ingraziarsi l’opinione pubblica interna con una dimostrazione di forza: come ha scritto Reuters, in effetti, il pubblico cinese ha piuttosto apprezzato i discorsi dei suoi diplomatici. Bill Bishop, celebre analista esperto di Cina, ha inoltre scritto su Twitter che Yang avrebbe avuto bisogno di mostrare la sua risolutezza a Xi Jinping, perché negli ultimi tempi era stato accusato di essere troppo morbido con gli Stati Uniti.

È probabile inoltre che la Cina abbia voluto mettere in chiaro che le relazioni non potranno più tornare a com’erano prima di Trump, e che la competizione tra le due potenze dovrà trovare un nuovo equilibrio. Poco prima dell’inizio dell’incontro tra le due delegazioni, il ministero degli Esteri cinese aveva annunciato la visita a Pechino del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, la settimana prossima.

Su questo tema strategico anche gli Stati Uniti sono piuttosto decisi, e la maggior parte degli analisti è convinta che l’amministrazione Biden non cambierà di molto la politica di scontro e concorrenza con la Cina adottata da Trump, anche se cercherà di collaborare in maniera selettiva su alcune questioni di interesse comune.