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  • Venerdì 5 marzo 2021

La Cina vuole controllare le elezioni a Hong Kong

Una legge appena proposta consentirà soltanto ai "patrioti" fedeli al regime cinese di partecipare alle elezioni in città

Un megaschermo a Hong Kong mostra il premier cinese Li Keqiang mentre parla all'Assemblea nazionale del popolo (AP Photo/Kin Cheung)
Un megaschermo a Hong Kong mostra il premier cinese Li Keqiang mentre parla all'Assemblea nazionale del popolo (AP Photo/Kin Cheung)

Venerdì in Cina, durante la giornata di apertura dell’Assemblea nazionale del popolo, l’unica camera legislativa del paese, alti ufficiali del Partito comunista cinese hanno annunciato un nuovo piano per riformare il sistema elettorale della città semiautonoma di Hong Kong, e fare in modo che possano essere eletti a cariche rappresentative esclusivamente i cittadini «patrioti», cioè fedeli al Partito.

L’annuncio è stato fatto durante un evento annuale che viene definito «due sessioni», e durante il quale a Pechino si riuniscono contemporaneamente ma in maniera separata due importanti organi dello stato: la Conferenza politica consultiva del popolo cinese, formata da diversi partiti e organizzazioni cinesi e i cui lavori si sono aperti giovedì, e l’Assemblea nazionale del popolo, i cui lavori si sono aperti venerdì. Nessuno dei due organi ha vero potere decisionale, ma l’evento viene usato dagli alti ranghi del Partito comunista per annunciare riforme importanti in campo economico e sociale.

Durante le «due sessioni» di un anno fa, il governo annunciò l’applicazione a Hong Kong di una nuova legge sulla sicurezza nazionale che ha consentito alle autorità locali di reprimere il movimento per la democrazia della città: decine di persone sono state arrestate e incriminate e molti attivisti sono stati costretti a fuggire all’estero. Con le modifiche al sistema elettorale, il regime dovrebbe assicurarsi la piena lealtà di tutti i funzionari eletti a Hong Kong.

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Il testo della riforma non è ancora pubblico e sarà delineato durante i lavori di questi giorni, ma alcune caratteristiche sono state presentate all’Assemblea da Wang Cheng, un alto funzionario del partito. Tecnicamente Hong Kong non ha una legge elettorale, ma saranno modificati alcuni annessi alla Basic Law, la mini costituzione della città. Wang ha fatto capire che una commissione fedele al regime avrà il compito di vagliare i candidati alle elezioni a Hong Kong, sia quelli del Consiglio legislativo, cioè il parlamento unicamerale della città, sia quelli delle assemblee locali.

Secondo i giornali locali, questo ruolo di vaglio e selezione dei candidati spetterà al Comitato elettorale di Hong Kong, un’assemblea di 1.200 rappresentanti corporativi che già adesso elegge alcuni parlamentari e che ogni cinque anni seleziona il capo esecutivo di Hong Kong, cioè il governatore della città. I componenti del Comitato elettorale sono da sempre favorevoli al regime cinese, ed è possibile che il Partito comunista proponga nuove riforme per assicurarsi che continueranno a esserlo.

Il risultato sarà che un organo non eletto fedele al regime avrà il compito di selezionare i candidati che potranno partecipare alle elezioni per il parlamento locale, annullando così ogni possibilità per l’opposizione di ottenere seggi.

L’idea che debbano essere dei «patrioti» ad amministrare Hong Kong ha cominciato a diffondersi nella propaganda di regime e nei discorsi degli ufficiali del Partito comunista già da qualche mese, ed è stata ripetuta anche dal presidente Xi Jinping. Lo scorso mese Erick Tsang, un funzionario di Hong Kong che si occupa dei rapporti con la Cina e che è fedele al regime, ha spiegato cosa si intende per patriottismo dicendo che «non puoi definirti patriota se non ami la leadership del Partito comunista cinese».

Agli occhi del Partito comunista modificare la legge elettorale di Hong Kong è diventato importante perché le elezioni erano uno degli strumenti principali usati dai partiti e dai movimenti per la democrazia per ottenere influenza e insidiare il regime. Nel 2019, dopo mesi di proteste, i candidati pro democrazia vinsero la stragrande maggioranza dei seggi per i consigli distrettuali: si tratta di una carica locale con poco potere, ma la vittoria fu considerata simbolica.

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Il sostegno degli attivisti in città era tale che il governo locale è stato costretto ad annullare le elezioni per il rinnovo di parte del Consiglio legislativo previste per settembre del 2020, perché i candidati pro democrazia avevano la possibilità di vincerle. Carrie Lam, l’attuale capo esecutivo, usò la pandemia da coronavirus come scusa per l’annullamento. Le elezioni sono state rimandate a quest’anno, ma secondo i giornali di Hong Kong saranno spostate ancora, per consentire l’applicazione delle riforme volute dal Partito comunista. Carrie Lam, che è presente all’Assemblea nazionale del popolo come delegata, ha detto che spera che le riforme siano attuate presto e ha offerto «piena cooperazione» alle autorità centrali.

Willie Lam, uno studioso di Scienze politiche alla Chinese University of Hong Kong, ha detto all’agenzia AFP che le nuove norme «spazzano via quel che resta dell’opposizione».

Gran parte del movimento pro democrazia è già stato oggetto di una fortissima repressione dopo l’approvazione della legge sulla sicurezza. Soltanto di recente, decine di attivisti sono stati arrestati perché l’anno scorso avevano organizzato primarie per decidere chi tra loro avrebbe partecipato alle elezioni di settembre, poi annullate. Secondo le autorità di Hong Kong, in base alla legge sulla sicurezza quell’atto è paragonabile all’insurrezione: quarantasette persone sono attualmente a giudizio e la pena più alta prevista è l’ergastolo.