• Sport
  • Domenica 17 gennaio 2021

La prima, storica salita invernale del K2

La seconda montagna più alta del mondo era l'ultimo “ottomila” a non essere mai stato scalato nella stagione più fredda: ci sono riusciti dieci alpinisti nepalesi

L'alpinista nepalese Sona Sherpa in cima al K2. (EPA/SEVEN SUMMIT TREK)
L'alpinista nepalese Sona Sherpa in cima al K2. (EPA/SEVEN SUMMIT TREK)

Sabato una squadra di dieci alpinisti nepalesi ha raggiunto la cima del K2 nella prima e storica salita invernale dell’ultima montagna di oltre 8mila metri finora mai scalata nella stagione più fredda. È un traguardo importantissimo per l’alpinismo estremo, nonché uno degli ultimi primati significativi ancora da stabilire nell’Himalaya e nel Karakorum, la catena montuosa tra Pakistan e Cina di cui fa parte il K2. Non è ancora chiaro se qualcuno dei dieci alpinisti sia arrivato in cima senza usare l’ossigeno supplementare, cosa che renderebbe l’ascesa ancora più storica.

Con i suoi 8.609 metri di altezza, il K2 è la seconda montagna più alta del mondo dopo l’Everest, ed è considerata la più difficile e pericolosa del mondo da scalare, per la ripidezza dei suoi versanti, per la complessità della sua via normale, e ovviamente per la quota estrema e per la rapidità con cui possono cambiare le condizioni meteo.

Al momento sappiamo che tutti e dieci gli alpinisti della spedizione nepalese sono arrivati in cima e che in precedenza si erano accordati per aspettarsi a dieci metri dalla vetta per raggiungerla insieme. Gli alpinisti appartengono al gruppo etnico locale degli sherpa: a differenza di quanto succede normalmente, non partecipavano alla spedizione europei o nordamericani, cosa che ha reso ulteriormente simbolico il traguardo raggiunto. Ad arrivare in cima sono stati Nimsdai Purja, Mingma David Sherpa, Mingma Tenzi Sherpa, Geljen Sherpa, Pem Chiri Sherpa, Dawa Temba Sherpa, Mingma G, Dawa Tenjin Sherpa, Kilu Pemba Sherpa e Sona Sherpa. Originariamente avevano tentato la salita in diverse spedizioni che contavano complessivamente sessanta alpinisti, per poi unire gli sforzi in un’unica spedizione più ridotta.

Scalare il K2 nei periodi migliori per l’alpinismo himalayano, cioè la primavera e l’autunno, è un’impresa difficilissima e pericolosa che tentano soltanto alpinisti molto esperti (a differenza dell’Everest, destinazione anche di semplici appassionati grazie alle spedizioni commerciali). Ma scalare il K2 d’inverno lo è molto di più, per il freddo estremo e per l’ancora maggiore difficoltà di avere condizioni meteo favorevoli. Anche il gruppo che è arrivato in cima sabato aveva incontrato maltempo negli scorsi giorni, ed era stato costretto a un ritardo nella tabella di marcia.

La spedizione ha seguito una delle vie considerate meno impegnative, quella dello Sperone degli Abruzzi, chiamata così in onore di Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi, che la esplorò per primo all’inizio del Novecento. Si sviluppa lungo la cresta sud-est, in territorio pakistano, per oltre 3mila metri di dislivello. Gli alpinisti hanno organizzato quattro bivacchi, l’ultimo dei quali – il  Campo 4 – a 7.800 metri d’altezza. Lo hanno lasciato nella notte tra venerdì e sabato, raggiungendo la cima del K2 nel tardo pomeriggio dopo aver superato l’ultimo, pericoloso passaggio chiamato “Collo di Bottiglia”, caratterizzato da imponenti seracchi di ghiaccio.

La discesa, che presenta difficoltà e pericolosità pari se non superiori alla salita, deve però ancora essere completata dalla maggior parte degli alpinisti che sono arrivati in cima. Sabato peraltro sul K2 è morto, dopo una caduta, l’alpinista spagnolo Sergi Mingote, di un’altra spedizione, proprio mentre stava scendendo al Campo 1, centinaia di metri di dislivello più in basso.

(Ansa)

Nelle foto della salita diffuse finora si vedono gli alpinisti indossare le bombole d’ossigeno, che aiutano significativamente la progressione sopra gli ottomila metri, dove l’aria è rarefatta e quindi la normale respirazione è assai più difficile. Non si sa ancora se qualcuno ci sia riuscito senza, stabilendo così un primato nel primato. Quella della spedizione nepalese rimane un’impresa importantissima per l’alpinismo in entrambi i casi.

Il K2 fu salito per la prima volta da una celebre e controversa spedizione italiana nel 1954, che portò in cima Achille Compagnoni e Lino Lacedelli grazie al contributo fondamentale di Walter Bonatti e del pakistano hunza Amir Mahdi. I due portarono le bombole d’ossigeno ai compagni, ma furono costretti a passare la notte a oltre 8mila metri, in condizioni estreme. Sopravvissero e denunciarono di essere stati di fatto abbandonati deliberatamente da Compagnoni e Lacedelli, che negarono categoricamente, difesi dal capo spedizione Ardito Desio. La vicenda, che destò un grandissimo scandalo nel mondo dell’alpinismo ma anche nell’opinione pubblica italiana, fu chiarita soltanto dopo decenni di indagini e ricostruzioni, al termine dei quali fu riconosciuta la versione di Bonatti.

– Leggi anche: L’ultima grande impresa di Walter Bonatti

Il primo tentativo di scalare il K2 di inverno (“in invernale”, come si dice in gergo alpinistico) avvenne alla fine degli anni Ottanta – ma da allora le spedizioni sono state poche e mai avevano superato gli 8mila metri. Gli alpinisti polacchi Krzysztof Wielicki e Denis Urubko, tra i più grandi himalaysti di sempre, ci provarono due volte tra il 2002 e il 2017. Il primo ottomila a essere scalato d’inverno fu l’Everest, proprio da Wielicki e insieme a Leszek Cichy, nel 1980. Nei quarant’anni successivi furono saliti tutti gli altri. L’ultimo, prima del K2, era stato il Nanga Parbat: la sua cima era stata raggiunta dall’italiano Simone Moro, dallo spagnolo Alex Txikon e dal pachistano Ali Sadpara il 26 febbraio 2016.

Una lunga ripresa in soggettiva mostra com’è scalare il K2 passando dallo sperone degli Abruzzi: ma d’estate, e quindi in condizioni molto più favorevoli rispetto a quelle incontrate dalla spedizione nepalese.