Pochissime persone si stanno ammalando di influenza

Perché prevedibilmente tutte le misure per contenere il coronavirus funzionano anche per altre infezioni virali

(LaPresse/Giordan Ambrico)
(LaPresse/Giordan Ambrico)

I dati diffusi ogni settimana dall’Istituto superiore di sanità dicono che pochissime persone si stanno ammalando di influenza, quasi cinque volte in meno rispetto allo stesso periodo di un anno fa. In condizioni normali, sarebbe molto strano: solitamente, infatti, nella prima metà di gennaio la curva che misura la trasmissione del virus influenzale cresce sensibilmente, fino a toccare il picco del contagio tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Quest’anno non succede per via delle mascherine, del distanziamento fisico, dei locali chiusi, degli assembramenti vietati, degli spostamenti limitati, e di tutte le misure in atto per contenere l’epidemia da coronavirus.

Queste misure infatti funzionano anche per contenere la trasmissione del virus influenzale, che avviene con modalità simili. L’incidenza dell’influenza è la più bassa negli ultimi 20 anni, ma i dati vanno guardati e interpretati con attenzione, perché proprio a causa dell’emergenza coronavirus ci sono molte variabili che potrebbero influire sul confronto con gli ultimi anni di influenza in Italia.

Spesso si tende a pensare che l’influenza stagionale sia una malattia che causa solo qualche sintomo fastidioso, come febbre e spossatezza. In realtà, ogni anno i virus influenzali sono la causa di centinaia di migliaia di morti in tutto il mondo. In Italia, per esempio, il ministero della Salute stima che l’influenza sia una delle dieci principali cause di morte.

Per questo motivo è importante che le persone a rischio – soprattutto gli anziani, ma anche chi è più esposto al virus come gli operatori sanitari – si sottopongano al vaccino antinfluenzale che ha il compito di ridurre il rischio di ammalarsi. Il vaccino contro l’influenza deve essere ripetuto ogni anno perché i virus influenzali (che non appartengono alla famiglia dei coronavirus) mutano molto velocemente e riescono a eludere il sistema immunitario che grazie al vaccino memorizza le difese contro il virus.

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Come sta andando questa stagione
La sorveglianza epidemiologica delle sindromi influenzali viene fatta dall’Istituto superiore di sanità, che da molti anni ha creato un rapporto chiamato “Influnet”, pubblicato ogni settimana durante la stagione invernale e basato sulle segnalazioni di centinaia di medici chiamati “sentinella”.

Secondo gli ultimi dati relativi alla prima settimana del 2021, in Italia l’incidenza dell’influenza è pari a 1,43 casi per mille assistiti. Nella scorsa stagione, nella stessa settimana, il livello di incidenza era pari a 6,6 casi per mille assistiti. Quest’anno, quindi, la curva è sotto la soglia basale di 3,16 casi per mille assistiti, cioè il valore di riferimento per stimare i contagi attesi sulla base dei dati dei dieci anni precedenti.

Ci sono anche altre soglie che determinano l’intensità dell’influenza. Le soglie della stagione in corso per l’Italia sono: 3,16 casi per mille assistiti (livello basale), 9,37 (intensità bassa), 14,37 (intensità media), 17,36 (intensità alta), oltre 17,36 (intensità molto alta). Per calcolarle viene utilizzato il Moving Epidemic Method (MEM) sviluppato dall’ECDC, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie.

In questo grafico viene mostrato l’andamento attuale dell’incidenza, l’andamento della stagione 2019/2020 e le soglie di intensità

(Influnet)

Nella prima settimana di gennaio, nella fascia di età tra zero e 4 anni, l’incidenza è stata pari a 2,24 casi per mille assistiti, nella fascia di età 5-14 anni pari a 0,90, nella fascia 15-64 anni a 1,43, e tra le persone sopra i 65 anni è stata di 1,17 casi per mille assistiti.


Sulla base di tutti questi dati, il rapporto Influnet dà anche una stima dei casi totali di sindrome simil-influenzale, che nell’ultima settimana analizzata è di 86mila malati. Dall’inizio della sorveglianza, invece, i casi totali sono stimati in 1 milione e 427mila. In tutta la sorveglianza della stagione 2019/2020 sono stati stimati 7 milioni e 595 mila casi.

Come si può vedere dal grafico che mostra le curve del contagio misurate negli ultimi cinque anni, quest’anno non c’è stata nessuna crescita verso l’alto. Non è escluso che ci possa essere un aumento dell’incidenza nelle prossime settimane, anche se i dati esaminati finora suggeriscono che non ci si avvicinerà ai livelli degli anni passati.

Il fattore mascherine
Antonino Bella, responsabile della sorveglianza Influnet, spiega che l’incidenza attuale è «la più bassa vista in 20 anni di sorveglianza», e conferma che la deduzione più naturale è corretta: le regole osservate per far diminuire il rischio di contagio da coronavirus sono servite anche contro l’influenza. «Mascherine, lavaggio delle mani e distanziamento fisico hanno aiutato a prevenire anche l’influenza stagionale», dice Bella. «Questo sarebbe uno dei periodi più delicati, vicino al picco epidemico che normalmente arriva tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. Invece quest’anno l’influenza ha un impatto blando. Lo stesso effetto si vede anche sulla trasmissione di altre malattie infettive, come il morbillo e la rosolia».

Secondo l’ultimo aggiornamento, infatti, dal 1 gennaio al 31 ottobre 2020 sono stati segnalati in Italia 101 casi di morbillo di cui 52 a gennaio, 40 a febbraio e 9 a marzo. Da aprile non sono stati segnalati nuovi casi. Lo stesso vale per la rosolia, di cui sono stati segnalati 12 casi di cui 9 nel mese di gennaio e 3 a febbraio.

Attenzione ai dati
Le misure di prevenzione necessarie a ridurre il rischio di contagio da coronavirus stanno causando molti problemi al sistema di raccolta dei dati della sorveglianza Influnet. Negli ultimi mesi, per esempio, per i medici è stato più difficile visitare un paziente che accusava sintomi influenzali.

A causa del rischio contagio, i medici di famiglia hanno concentrato l’attenzione nei confronti dei casi più gravi di Covid-19. Si sono allungati i tempi, e spesso si è dato meno peso alle altre malattie, almeno quelle potenzialmente meno gravi come l’influenza stagionale. Gli effetti si vedono anche nel rapporto Influnet, in cui viene precisato che «a causa dell’emergenza Covid-19, provincia autonoma di Bolzano, provincia autonoma di Trento, Sardegna, Campania e Calabria non hanno attivato la sorveglianza». Per dare una misura di questa carenza, basta controllare il numero dei medici sentinella: nella prima settimana del 2020 le segnalazioni sono state inviate da 1.154 medici, quest’anno nella stessa settimana invece i medici erano 718.

Molti dei dati che vediamo, quindi, potrebbero essere sottostimati, soprattutto se confrontati con l’andamento degli anni scorsi. «Le difficoltà sono legate al contesto emergenziale della pandemia», spiega Bella. «La sorveglianza si basa sulla visita del medico che rileva una serie di sintomi e poi fa un tampone al paziente per capire di che virus si tratta. Quest’anno però il tampone non viene fatto dal medico di famiglia, ma dalle ASL. Il tampone poi viene inviato all’Istituto superiore di sanità e per tutti questi motivi il numero di tamponi arrivati quest’anno è inferiore rispetto al passato».

Negli Stati Uniti c’è un andamento simile
L’andamento del contagio in altri paesi, comunque, è un segnale chiaro che anche nel resto del mondo quest’anno l’influenza stagionale non si è diffusa come negli ultimi anni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sulla base dei dati di sorveglianza globale raccolti fino alla fine di dicembre, spiega che l’influenza nell’emisfero settentrionale è a “livelli interstagionali”, cioè come se fossimo in estate.

Negli Stati Uniti, la percentuale di visite per malattie influenzali è all’1,6%, al di sotto della soglia basale fissata al 2,6%. Dalla fine settembre a inizio gennaio, i laboratori statunitensi hanno trovato 925 campioni positivi contro i 63.975 rilevati nella precedente stagione influenzale. La stessa bassa incidenza è stata rilevata in tutti i paesi europei.

Al momento non si può escludere che nelle prossime settimane ci sia una crescita della curva in Italia, anche se l’incidenza sembra essere molto bassa. È ancora più difficile capire cosa succederà il prossimo anno, perché fare previsioni è azzardato, soprattutto in un’emergenza sanitaria globale. «Possiamo escludere l’automatismo per cui se una stagione è blanda, quella successiva sarà virulenta», spiega Bella. «Non possiamo avere certezze. Negli ultimi anni, per esempio, abbiamo avuto due stagioni virulente molto forti, la 2018/2019 e quella precedente. Inoltre non sappiamo quali saranno gli effetti delle campagne vaccinali. Tutto dipenderà da tante variabili. Dopo l’emergenza coronavirus non possiamo dare niente per scontato, quando parliamo di malattie infettive».