Perché il coronavirus fa perdere l’olfatto a molti

È un diffuso effetto temporaneo della COVID-19: secondo le ricerche c'entrano le cellule nel nostro naso, non un'azione diretta del virus sul cervello

(Phil Noble - Pool/Getty Images)
(Phil Noble - Pool/Getty Images)

Molti pazienti che si ammalano di COVID-19, la malattia causata dall’attuale coronavirus (SARS-CoV-2), segnalano di avere problemi a riconoscere gli odori e in molti casi dicono di avere perso totalmente la capacità di percepirli. Nella maggior parte delle circostanze questa condizione si risolve entro un paio di settimane, ma in alcuni individui si mantiene molto più a lungo e comporta un lento recupero. Da mesi i ricercatori stanno cercando di capire qualcosa di più su uno dei sintomi più particolari della COVID-19, che potrebbe offrire nuove opportunità per comprendere meglio gli effetti della malattia sul nostro sistema nervoso.

Anosmia e parosmia
Nella maggior parte dei casi, la COVID-19 causa sintomi lievi come febbre, mal di testa, dolori articolari e spossatezza, mentre in rare circostanze si presenta con una forma più aggressiva con seri problemi respiratori, che rendono necessario il ricovero in ospedale. Stando ai dati e alle ricerche condotte finora, sembra che l’incapacità di percepire gli odori (“anosmia”) si presenti a prescindere dalla gravità degli altri sintomi; alcuni pazienti non perdono totalmente l’olfatto, ma percepiscono gli odori in modo sbagliato (“parosmia”). Talvolta la perdita temporanea dell’olfatto può essere l’unico sintomo evidente della COVID-19, a ulteriore conferma di quanto incida questa condizione tra gli effetti del coronavirus sul nostro organismo.

Quest’anno milioni di persone hanno sperimentato l’anosmia e la parosmia, considerato che diverse stime indicano che circa l’80 per cento dei pazienti abbia segnalato di avere perso la capacità di percepire gli odori, e che i contagiati rilevati dall’inizio della pandemia sono arrivati a circa 60 milioni, in tutto il mondo.

La maggior parte dei pazienti recupera il senso dell’olfatto dopo al massimo un paio di settimane, ma sono stati segnalati diversi casi di individui che hanno avuto problemi con l’anosmia o la parosmia per un periodo più lungo. Il problema sembra interessare tra il 10 e il 20 per cento di chi soffre di anosmia a causa del coronavirus, ma le stime variano molto a seconda degli studi clinici.

I pazienti interessati da un periodo prolungato di parosmia finora hanno inoltre segnalato altri problemi, man mano che recuperavano la capacità di percepire gli odori. Diversi hanno spiegato di avere notato differenze nell’aroma dei loro alimenti preferiti e negli odori cui erano più abituati, compreso quello del proprio corpo.

Il senso dell’olfatto è strettamente legato a quello del gusto, e per questo per un po’ di tempo alcuni percepiscono come sgradevole l’odore (e talvolta il sapore) di alimenti come patatine fritte, caffè e cioccolata. In diversi segnalano anche di non percepire i sapori, o di sentirli in forma attenuata: ciò dipende per lo più dal fatto che il nostro cervello combina assieme le percezioni olfattive con quelle delle papille gustative, mancando uno dei due elementi, diventa più difficile sentire correttamente i sapori.

Neuroni olfattivi e coronavirus
Il problema è legato ai segnali contraddittori che i neuroni olfattivi inviano al cervello. Queste strutture nervose sono collocate nella parte alta della cavità nasale e sono poi collegate tramite un’intricata rete di filamenti (assoni) al sistema nervoso centrale. Gli studi dei ricercatori si stanno quindi concentrando su cosa determini l’invio di questi segnali errati o la loro assenza, con la conseguente incapacità di percepire gli odori.

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L’anosmia naturalmente non si verifica solamente nel caso di un’infezione da coronavirus. Medici e ricercatori sanno da tempo che i virus influenzali e alcuni batteri possono interferire con la capacità di percepire gli odori, così come altre malattie degenerative a carico del sistema nervoso. La disponibilità di molti casi di anosmia legati al coronavirus sta offrendo però una base più ampia per condurre studi sul fenomeno.

Negli ultimi mesi un gruppo di ricerca internazionale, guidato dall’Università di Harvard, ha realizzato alcuni esperimenti su cavie di laboratorio, identificando un possibile ruolo del recettore ACE2 nei casi di anosmia da coronavirus. L’ACE2 si trova sulle membrane cellulari di diversi tessuti, per lo più legati al sistema respiratorio, e si occupa di autorizzare o meno l’ingresso di particolari sostanze all’interno delle cellule. Il coronavirus sfrutta questo recettore per ingannare le difese cellulari, riuscendo in questo modo a iniettare nelle cellule il proprio materiale genetico e a indurle poi a produrre nuove copie del virus, per portare avanti l’infezione.

I ricercatori hanno notato che l’ACE2 non è presente nei neuroni olfattivi. La loro ipotesi è che quindi il coronavirus danneggi le cellule olfattive di sostegno, che hanno il compito di aiutare i neuroni nel loro funzionamento e nella loro capacità di percepire gli odori, trasformando l’informazione in segnali che vengono poi inviati al cervello. La presenza del coronavirus in queste strutture induce una risposta immunitaria da parte dell’organismo: un’infiammazione che ne fa aumentare localmente la temperatura, creando un ambiente ostile per la replicazione del virus.

L’infiammazione fa perdere alle cellule di sostegno la capacità di funzionare adeguatamente, interrompendo l’assistenza che solitamente forniscono ai neuroni olfattivi, che rimangono quindi senza parte delle risorse per funzionare come dovrebbero. Nel caso di un danno infiammatorio contenuto, la capacità di percepire gli odori viene recuperata in fretta da chi ha in corso un’infezione da coronavirus.

In alcuni casi, l’infiammazione si estende oltre le cellule di sostegno e interessa anche i neuroni olfattivi. I danni in questi casi sono dovuti più che altro alla risposta fuori misura del sistema immunitario, e possono essere tali da portare alla distruzione dei neuroni, con tempi di recupero molto più lunghi.

Sandeep R. Datta, un neurobiologo tra gli autori delle ricerche di Harvard sul tema, ha spiegato al Wall Street Journal che ci sono indicatori da non sottovalutare sulla fine che fanno i neuroni olfattivi: “L’ampia diffusione della parosmia riflette il fatto che in alcuni pazienti i neuroni stiano certamente morendo. L’idea più condivisa è che questi neuroni siano uccisi attraverso un meccanismo indiretto”.

Tempi e recupero
Finora non sono state condivise segnalazioni che indichino la possibilità di sviluppare un’anosmia permanente. Anche nei casi più complicati, con il passare del tempo la capacità di percepire gli odori torna gradualmente, man mano che l’organismo ripara i danni. I tempi possono essere lunghi perché la rigenerazione delle strutture nervose impiega di solito più tempo rispetto a quella di altri tessuti del nostro corpo.

Nella fase di ripristino si possono avere sensazioni particolari, che portano a percepire come sgradevoli alcuni odori, soprattutto se forti come quello del caffè o del cioccolato fondente. Non è chiaro perché ciò avvenga, ma secondo i ricercatori potrebbe dipendere dalla complessità del nostro olfatto, che si basa su almeno 350 tipi diversi di recettori, i cui segnali combinati insieme consentono al cervello di percepire un dato odore e di distinguerlo da un altro, anche nel caso di variazioni minime.

Un’ipotesi è che in mancanza di informazioni chiare dalle cellule olfattive, il cervello attivi una modalità di sicurezza nella quale fa percepire come sgradevoli buona parte degli odori. Da un punto di vista evolutivo, questa risposta ha senso: l’associazione di una sensazione sgradevole a un odore che non viene percepito correttamente riduce i rischi di entrare in contatto con sostanze potenzialmente pericolose.

Danni neurologici
Il fatto che l’anosmia sia probabilmente causata dall’infiammazione di alcune particolari strutture nelle cavità nasali sembra inoltre confermare, almeno indirettamente, che il coronavirus non riesca a penetrare nel cervello. Se così fosse, significherebbe che anche altri sintomi neurologici indotti dalla COVID-19 non sono dovuti al diretto influsso dell’infezione virale sul sistema nervoso centrale.

Molti convalescenti in questi mesi hanno indicato di avere sofferto per qualche settimana di difficoltà a concentrarsi, a volte legata alla perdita di alcuni ricordi. Sono in corso numerose ricerche per comprendere meglio questi effetti della COVID-19, ma come spesso avviene con i disturbi neurologi non è semplice trovare risposte, considerata la grande complessità del nostro sistema nervoso.

Aiutare i pazienti a recuperare il senso dell’olfatto il più in fretta possibile potrebbe essere comunque un punto d’inizio importante, perché la capacità di distinguere gli odori è strettamente legata alla nostra salute mentale, al modo in cui ci sentiamo e percepiamo il mondo che ci sta intorno. I malati di COVID-19 con anosmia o parosmia possono soffrire di ansia e depressione a causa di questa condizione, che si aggiunge altri altri effetti della malattia. In alcuni casi il timore che l’incapacità di percepire gli odori sia permanente diventa una causa ancora più significativa di depressione.