Venti scene che hanno fatto la storia dell’animazione
Prese dalle 100 scelte da Vulture dopo aver consultato esperti e addetti ai lavori: la prima è del 1892
Dopo averci lavorato per mesi, dopo aver chiesto consigli a esperti e addetti ai lavori, e dopo averne prese in considerazione più di 600, Vulture ha scelto le 100 scene che hanno segnato la storia dell’animazione televisiva e cinematografica. Cioè di tutte quelle cose che sono un po’ come «un trucco di magia» perché «ingannano i nostri cervelli facendoci credere che immagini statiche possano muoversi». Vulture ha spiegato di aver scelto scene e non interi film o intere serie per concentrarsi meglio sui momenti in sé dal punto di vista artistico, tecnico o storico, e non sull’intero prodotto audiovisivo e sulla sua qualità complessiva.
Come si fa sempre in questi casi, Vulture ha spiegato i criteri della sua scelta e aggiunto che, come è ovvio, la lista – che va in ordine cronologico dal 1892 al 2019 – «può solo graffiare la superficie di una forma d’arte che per la sua elasticità e capacità di meravigliare non ha pari». Condividendo e riaffermando queste premesse, abbiamo a nostra volta scelto alcune tra quelle scene.
Pauvre Pierrot (1892)
Fa parte, insieme ad altri due cortometraggi, delle Pantomimes Lumineuses di Charles-Émile Reynaud, realizzate prima ancora che i fratelli Lumière inventassero il cinematografo e presentate al museo Grévin di Parigi. Pauvre Pierrot è una forma di teatro ottico, uno strumento che grazie al collegamento, tramite nastri forati, di immagini diverse permetteva di farle scorrere in successione, proiettandole per un pubblico e dando l’idea di movimento. Molto semplicemente, la base di quello che per decenni sarebbe stato tutto il cinema. Riprendendo personaggi e vicende della commedia dell’arte, Reynaud realizzò circa 500 immagini, modificandole poi per permetterne l’utilizzo attraverso il teatro ottico. Era inoltre responsabile delle proiezioni davanti al pubblico, gestendo da solo la velocità con cui scorrevano le immagini e, a volte, andando avanti e indietro per fare dei “bis” di determinate scene.
Giocattoli in città, Dreams of Toyland (1908)
Più di 15 anni dopo Reynaud e già dopo che Georges Méliès aveva a sua volta sperimentato molto con le tecniche di animazione e montaggio, arrivò questo cortometraggio del fotografo e poi anche cineasta britannico Arthur Melbourne-Cooper. Sfruttando la tecnica dello stop-motion, Melbourne-Cooper realizzò, fotografò e poi trasformò in cinema una movimentata città dei giocattoli: quasi un secolo prima di Toy Story.
Gertie il dinosauro (1914)
Un cortometraggio dell’illustratore statunitense Winsor McCay che, nelle parole di Vulture, «gettò le basi per l’animazione del secolo successivo». McCay arrivò all’animazione unendo la sua passione per il vaudeville e quella di suo figlio per quei libri illustrati (c’erano già allora) in cui, per creare l’illusione del movimento di certe immagini, bastava far scorrere velocemente le pagine. Oltre che per una serie di innovazioni tecniche – tra le altre quella relativa al cosiddetto “key frame” – in quello che con ogni probabilità è il primo film di animazione con protagonista un dinosauro, McCay ebbe l’idea di dare una definita personalità al suo personaggio, creato partendo da immagini di brontosauri.
Felix in Hollywood (1923)
Qui il protagonista è «un gatto nero antropomorfo che brama le luci della ribalta» e va quindi a Hollywood. Il cortometraggio, lungo sette minuti, è stato scelto perché ritenuto il primo in cui compaiono, in forma animata, alcuni degli attori più famosi di allora, come Charlie Chaplin e William S. Hart. È anche una sorta di satira dello “studio system” di allora.
Steamboat Willie (1928)
È il primo cortometraggio, diretto da Ub Iwerks e Walt Disney, in cui gli spettatori videro Topolino (e Minnie). Dal punto di vista tecnico, fu notevole l’innovazione del sonoro, perché ci sono sia una colonna sonora che una sincronizzazione tra immagini e rumori. Per quanto riguarda invece il personaggio di Topolino, allora era diverso sia nell’aspetto – non ha ancora i famosi guanti – che nel carattere: era spericolato, arrogante, quasi cattivo. Vulture ne ha scritto: «Solo alcuni secondi sono davvero rimasti nell’immaginario popolare, quelli iniziali, mentre Topolino fischietta e muove il timone. Ma è l’intero cortometraggio ad avere una incredibile rilevanza: per gli avanzamenti tecnologici presenti e perché introdusse un’icona americana».
L’arrivo di King Kong, King Kong (1933)
Il film, famosissimo e molto celebrato, non è di animazione. Ma alcune scene sì: per esempio quella in cui la gigantesca creatura si vede per la prima volta. Per crearla fu realizzato un modello in gomma, lattice e pelle di coniglio di meno di mezzo metro, usando poi stop-motion, miniature, fondali e retroproiezioni per farla sembrare molto più grande. Vulture spiega che l’idea iniziale prevedeva di riprendere dei veri gorilla e dei draghi di Comodo, delegando al montaggio tutto il resto. L’idea fu però scartata.
“Someday My Prince Will Come”, Biancaneve e i sette nani (1937)
«È impossibile sovrastimare l’importanza di questo film per la storia dell’animazione», ha scritto Vulture, aggiungendo che la cosa difficile è stata la scelta della scena. È stata scelta questa perché riuscì a «dare al mondo una canzone di grande fama. Vulture fa anche notare che la scena è emblematica per come e quanto riesca in pochissimo tempo a «stabilire gli elementi centrali di molta di quella che da lì in poi sarebbe stata l’animazione Disney»: come la principessa in cerca del lieto fine, i dettagli caratterizzanti dei nani e gli adorabili animali di contorno.
“Una Notte sul Monte Calvo” e “Ave Maria”, Fantasia (1940)
Ancora Disney (e tutto questo pur togliendo molte altre scene Disney dalla più lunga selezione fatta da Vulture). Perché, soprattutto in quegli anni a metà del Novecento, Disney innovò costantemente l’animazione, spesso rischiando. Come nel caso di questo film di più di settant’anni fa, per il quale ai cinema fu chiesto di cambiare i loro impianti audio: serviva infatti che il suono di certi strumenti arrivasse solo da determinati altoparlanti. I motivi della scelta di queste scene – tra le più ambiziose di un film che già di per sé si proponeva di mostrare, come ha scritto Vulture, «quanto l’animazione non avesse limiti» – stanno nel grande divario che c’è con tutto quello che è arrivato prima, oltre che nel fatto che si fatica a trovare, anche nel dopo, qualcosa di uguale qualità e ambizione.
La morte della madre, Bambi (1942)
Un’altra scena famosissima e dolorosissima che ne influenzò diverse altre, della Disney e non solo. Ma anche, come ha scritto Vulture, «una scena semplicemente meravigliosa»: per la precisione nei movimenti degli animali e per la cura estetica, anche a prescindere dall’assenza di particolari innovazioni tecniche.
L’animazione limitata dei Flintstones (1960)
Nonostante fossero state fatte perlopiù per bambini e ragazzi, negli anni Cinquanta alcune serie animate iniziarono a piacere molto anche agli adulti. Ci volle quindi poco perché qualcuno si mettesse a fare serie appositamente per adulti, da trasmettere di sera anziché di mattina o di pomeriggio. I Flintstones – con le loro risate in sottofondo, con i loro riferimenti di ogni tipo e con le loro storie “da sitcom” che finivano sempre bene – furono tra le prime e tra quelle di maggior successo. Da punto di vista tecnico, I Flintstones resero popolare l’animazione limitata, che riusando spesso gli stessi sfondi permetteva di risparmiare e velocizzare molto la produzione.
– Leggi anche: I Flintstones hanno sessant’anni
La sigla di Heidi (1974)
In un periodo in cui gli anime televisivi giapponesi parlavano soprattutto di fantascienza o di sport, Heidi propose qualcosa di molto diverso, oltre che di qualità. Vulture ha spiegato che per realizzare la serie animata, gli animatori giapponesi visitarono le Alpi svizzere, girarono scene da usare come riferimento e, tra le altre cose, dedicarono grandi attenzioni alla sigla.
The Street (1976)
Un cortometraggio animato della canadese Caroline Leaf, tratto da una storia dello scrittore Mordecai Richler. La principale ragione della scelta da parte di Vulture sta nell’utilizzo della tecnica “paint-on-glass“, ottenuta dipingendo su vetro. Nello specifico, per The Street Leaf dipinse su vetro bianco fotografando poi l’immagine, e ripetendo l’operazione per tutte le immagini successive. Una tecnica che, come ha scritto Vulture, ben si presta a una storia intima, «di amore e di dolore» come quella di questo cortometraggio sui ricordi di un uomo nei giorni in cui era un ragazzo e sua nonna stava per morire.
Il circo di Itano, Space Runaway Ideon (1984)
La scena scelta non ha bisogno di grandi informazioni di contesto sulla serie anime di cui fa parte, perché è stata scelta per la sua «capacità di distinguersi per dinamismo, stile e aspetti visivi», che il suo animatore Ichiro Itano ha mostrato anche altrove e che, come ha scritto Vulture, «da allora è diventata una delle sequenze più copiate dell’animazione». Itano è anche uno degli animatori che diede il là al concetto di sakuga, che fa sì che certi spettatori diventino fan degli animatori, seguendoli con passione (a volte venerazione) da una serie all’altra e dando quindi grande importanza al loro lavoro.
“Take on Me” degli a-ha (1985)
Il video musicale di una nota canzone del gruppo norvegese a-ha, che però prima del video non ebbe grande successo. Per lavorare alle parti animate ci vollero 16 settimane e almeno duemila disegni fatti a mano dall’animatrice Candace Reckinger, che usò poi la tecnica del rotoscopio per rendere più umane le figure animate e che, secondo Vulture, creò «qualcosa di rivoluzionario».
L’inizio di Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988)
L’animazione e la live action (cioè la recitazione da parte di attori in-carne-e-ossa) esistono più o meno da quando esiste il cinema. Ma questo noir di animazione di Robert Zemeckis riuscì a fare convivere le due cose in modo consistente e organico, per tutto un film. La scena scelta da Vulture – probabilmente in seguito a qualche ballottaggio con alcune scene di Space Jam, che però arrivò quasi dieci anni dopo – è la prima perché «in un momento in cui l’animazione era in declino» riuscì a ricordare ai critici «cosa poteva rendere possibile» e a catturare gli spettatori grazie, tra le altre cose, ai tanti omaggi ai cartoni animati del passato.
La gag del divano, I Simpson (1989)
Più che una sola scena, in questo caso Vulture ha scelto di premiare l’approccio con cui per anni, stagione dopo stagione, I Simpson hanno sempre cambiato la fine della loro sigla, quella in cui tutti i membri della famiglia arrivano in salotto, davanti al televisore. Su quel divano, in quella sigla, ne sono successe di ogni: dalle gag più semplici a quelle più elaborate, con “ospiti” da altri cartoni o con animazioni ideate o realizzate da un artista come Banksy o un regista come Guillermo del Toro.
L’inseguimento del furgone, Toy Story (1995)
È uno dei film per i quali si può parlare chiaramente di un prima e di un dopo, per quanto se ne parlò e anche perché fu il primo a essere realizzato usando solo ed esclusivamente immagini generate a computer. Secondo Vulture, è un film che «creò una nuova forma d’arte», ma che lo fece ricordandosi sempre che, alla fine, la cosa più importante è quasi sempre la storia. La scena dell’inseguimento del furgone è stata scelta come miglior esempio sia dei risultati tecnici del film che del tipo di emozioni che riuscì a far provare a chi lo vide.
“All Star”, Shrek (2001)
La prima scena del nuovo millennio tra quelle scelte da Vulture, in un film definito «una pietra miliare per la storia dell’animazione», sebbene sembra che nei piani della DreamWorks non dovesse essere un film molto in secondo piano rispetto al più ambizioso Il principe d’Egitto. Invece Shrek fu un successo e vinse il primo Oscar per il miglior film di animazione della storia. Anche qui la scena scelta è quella iniziale che chiarì fin da subito che i tempi erano cambiati e stava iniziando qualcosa di nuovo.
Gollum e Sméagol, Il Signore degli Anelli – Le due torri (2002)
Uno dei più noti e meglio riusciti casi di animazione all’interno di film non di animazione è senza dubbio il personaggio di Gollum, le cui espressioni e i cui movimenti sono stati fatti con le tecniche del “motion capture” e del “performance capture“, che permettono di portare nell’animazione la vera recitazione e senza le quali il cinema degli ultimi due decenni sarebbe di certo molto diverso. La scena scelta è quella in cui Gollum parla con se stesso (o meglio con Smèagol, una precedente versione di sé).
La fusione di Steven Universe (2019)
Questa serie, iniziata nel 2013 e terminata nel 2019, parla di una guerra intergalattica ma anche, come ha scritto Vulture, di un’avventura del protagonista «per arrivare alla conoscenza di sé e della propria identità». La scena scelta mostra il momento in cui Steven, il protagonista, viene diviso in due da White Diamond (il cattivo), ma poi riesce a salvarsi grazie a una “fusione” che viene raffigurata, come ha scritto Vulture, come un atto di «empatia e intimità». Vulture fa notare inoltre che, sebbene la serie abbia spesso mostrato cose tecnicamente notevoli, nel caso della scena della “fusione” sceglie la semplicità.
La scena qui sotto è un’altra, quella “giusta” si può vedere su Vulture, insieme con le altre 80 scene scelte.