Il farmaco di cui tanto parla Trump

È prodotto da Regeneron e contiene anticorpi monoclonali, ma è ancora in fase sperimentale e non è chiaro il suo ruolo nella guarigione del presidente statunitense

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, al suo ritorno alla Casa Bianca dopo un breve ricovero in ospedale per COVID-19, 5 ottobre 2020 (Win McNamee/Getty Images)
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, al suo ritorno alla Casa Bianca dopo un breve ricovero in ospedale per COVID-19, 5 ottobre 2020 (Win McNamee/Getty Images)

Negli ultimi giorni sono aumentate le richieste per il farmaco sperimentale contro il coronavirus di Regeneron che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha molto pubblicizzato dopo averlo ricevuto per trattare il suo caso di COVID-19. Il farmaco non è però ancora disponibile sul mercato ed è nelle fasi iniziali della sua sperimentazione. Inoltre, nonostante le dichiarazioni entusiastiche, al momento non ci sono elementi per sostenere con certezza che sia stato quello specifico farmaco a ridurre i sintomi di Trump, considerato che i medici gli avevano fatto assumere diversi altri medicinali e che ogni paziente risponde in modo diverso a un’infezione da coronavirus.

Regeneron è un’azienda di biotecnologie statunitense e da più di trent’anni produce farmaci di diverso tipo, con particolare attenzione alle ricerche legate al sistema immunitario. I suoi ricercatori hanno di recente sviluppato REGN-COV2, un “cocktail di anticorpi artificiali” (anticorpi monoclonali) progettati per legarsi ad alcune specifiche proteine dell’involucro del coronavirus, in modo che queste non riescano a legarsi alle membrane delle cellule che vengono poi sfruttate dal virus per replicarsi.

Lo sviluppo del farmaco sperimentale era iniziato lo scorso febbraio, poco dopo le prime notizie sulla diffusione del coronavirus oltre la Cina. Nel corso dell’estate, Regeneron ha ricevuto un finanziamento di 450 milioni di dollari dal governo degli Stati Uniti, nell’ambito dell’iniziativa Warp Speed, dedicata ad accelerare lo sviluppo di vaccini e farmaci contro la pandemia. L’azienda farmaceutica sta scommettendo molto sul suo cocktail e ha anche stretto un accordo preliminare con Roche, altra grande multinazionale del farmaco, con la quale collaborare per la distribuzione delle dosi se e quando saranno approvate per la loro commercializzazione.

Il REGN-COV2 è infatti ancora in una prima fase di sperimentazione, dedicata a verificarne la sicurezza ancora prima che l’efficacia. I dettagli sui test clinici svolti finora non sono molti: in un comunicato diffuso la scorsa settimana, Regeneron aveva annunciato che una sperimentazione su 275 individui malati di COVID-19, ma senza sintomi tali da rendere necessario un loro ricovero, aveva mostrato una riduzione della carica virale e dei disturbi associati alla malattia dopo avere ricevuto una dose degli anticorpi monoclonali.

I miglioramenti più significativi erano stati osservati nei pazienti che non avevano sviluppato un’adeguata risposta immunitaria al coronavirus. Sempre secondo Regeneron, il farmaco aveva ridotto la necessità di sottoporsi a visite mediche nel periodo della malattia, in pazienti che già dai primi sintomi non mostravano di avere necessità di ricovero in ospedale.

Sembra quindi che i primi risultati di REGN-COV2 siano positivi, ma è bene ricordare che l’azienda ha comunicato i risultati tramite comunicati stampa, mentre mancano ancora ricerche più estese e soprattutto verificate in maniera indipendente. Saranno necessari altri mesi di test clinici, su un numero maggiore di pazienti, prima di ottenere un’eventuale approvazione da parte delle autorità che vigilano sui farmaci.

Per questi motivi per ora il REGN-COV2 non è utilizzato negli ospedali, salvo non ne sia concesso l’impiego come “cura compassionevole” da parte della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale statunitense che si occupa della sicurezza dei farmaci. Nel caso di Trump è stata concessa questa possibilità ed è stata somministrata una dose del farmaco sperimentale. Regeneron ha detto che finora ha fornito i suoi anticorpi monoclonali in una decina di casi, per altrettanti pazienti per i quali le altre terapie non si erano rivelate efficaci: non è chiaro quanti di questi abbiano trovato giovamento dal farmaco sperimentale.

Annunciando di essersi sentito meglio in pochi giorni, Trump ha anche alluso al fatto che ci siano “centinaia di migliaia” di dosi pronte. In realtà Regeneron ha comunicato di averne prodotte per circa 50mila pazienti, ma che potrebbe arrivare a sei volte tanto entro pochi mesi.

Sfruttando la visibilità ottenuta dopo il miglioramento delle condizioni di Trump, Regeneron ha fatto domanda alla FDA per ottenere un’autorizzazione di emergenza per il suo farmaco, in modo che possa essere impiegato più estesamente negli ospedali prima del termine dei test clinici.

Esperti e osservatori hanno però espresso il loro scetticismo su questa eventualità, perché il REGN-COV2 è in uno stato ancora iniziale di sperimentazione e un suo utilizzo su larga scala, e in condizioni che non possono essere controllate quanto in un test clinico, potrebbe rivelarsi più rischioso che utile, non conoscendo ancora tutti i potenziali effetti avversi del trattamento.

A oggi non ci sono inoltre elementi per dire con certezza se sia stato il REGN-COV2 a far migliorare le condizioni di Trump. Prima e durante il suo breve ricovero ha infatti ricevuto farmaci di diverso tipo, compreso il Remdesivir, un farmaco antivirale che viene somministrato per contrastare la replicazione del coronavirus nell’organismo. A Trump è stato anche somministrato il desametasone, un farmaco antinfiammatorio steroideo che ha dato risultati promettenti nei casi gravi di COVID-19, mentre ha mostrato meno efficacia nel ridurre i rischi di peggioramento nei pazienti con sintomi più lievi.

I medici che hanno seguito Trump hanno fornito informazioni piuttosto lacunose sia durante sia dopo il ricovero in ospedale, e non ci sono quindi dettagli per farsi un’idea più precisa sulla gravità dei sintomi avuti e sulla convalescenza. Anche in presenza di queste informazioni sarebbe comunque difficile stabilire se i miglioramenti siano stati determinati dagli anticorpi monoclonali di Regeneron o meno: proprio per questo si conducono i test clinici e sono previsti protocolli per l’approvazione dei nuovi farmaci.