I primi risultati promettenti del remdesivir contro la COVID-19

Nel più grande studio condotto finora sul farmaco antivirale sono stati registrati miglioramenti nei pazienti, seppure ancora modesti e da approfondire

(Ulrich Perrey/dpa-POOL/dpa via ANSA)
(Ulrich Perrey/dpa-POOL/dpa via ANSA)

Il remdesivir – un farmaco che potrebbe contribuire a trattare la COVID-19 – ha dato risultati promettenti nel più grande studio clinico condotto finora per valutarne l’efficacia. Seppure ancora modesti, i benefici segnalati indicano che il medicinale potrebbe contribuire a ridurre i tempi di recupero per i pazienti più gravi, che talvolta necessitano di un ricovero in terapia intensiva.

Il test è stato promosso dal National Institute of Allergy and Infectious Disease (NIAID), centro di ricerca pubblico statunitense che si occupa dello studio delle malattie infettive, ed iniziato il 21 febbraio scorso con la partecipazione di 1063 pazienti in diverse parti del mondo, tra Stati Uniti, Asia ed Europa. I responsabili per l’analisi del suo andamento hanno fornito una prima relazione il 27 aprile, segnalando che il gruppo di pazienti trattato con remdesivir ha dato migliori risultati rispetto al gruppo di controllo trattato con un finto farmaco (placebo).

I risultati del test non sono ancora stati resi pubblici nel dettaglio, né in una forma preliminare né su una rivista scientifica dopo le necessarie revisioni. Il capo del NIAID, Anthony Fauci, ne ha comunque anticipato gli esiti nel corso di una conferenza stampa presso la Casa Bianca nella serata del 29 aprile.

Fauci ha spiegato che i pazienti trattati con remdesivir hanno avuto in media tempi di recupero dalla COVID-19 di 11 giorni, contro i 15 giorni di quelli trattati con il placebo. I pazienti del gruppo con remdesivir hanno inoltre fatto registrare un tasso di letalità intorno all’8 per cento contro il quasi 12 per cento del gruppo che ha ricevuto il placebo, anche se in questo caso il test non ha portato a risultati statisticamente rilevanti.

Il remdesivir è un farmaco antivirale di recente introduzione, sviluppato dall’azienda farmaceutica Gilead negli anni delle epidemie causate dall’Ebola in Africa occidentale tra il 2013 e il 2016. La sua sperimentazione aveva portato a risultati che sembravano incoraggianti, ma un suo impiego su più grande scala contro l’Ebola rivelò una scarsa efficacia rispetto ad altre soluzioni. Il farmaco era stato anche sperimentato per trattare alcuni casi di SARS e MERS, sindromi respiratorie causate da altri coronavirus, con risultati accettabili.

Come suggerisce la parola, un antivirale serve per rallentare la velocità con la quale i virus si replicano all’interno di un organismo, dando qualche possibilità in più al sistema immunitario di contrastare l’infezione. Farmaci di questo tipo sono piuttosto potenti e possono avere effetti collaterali, per questo devono essere somministrati sotto attenta sorveglianza da parte dei medici.

Considerate le precedenti esperienze con SARS e MERS, negli ultimi mesi il remdesivir è stato oggetto di numerose ricerche per valutarne l’efficacia nei trattamenti contro la COVID-19. Uno studio cinese, da poco pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, e in precedenza per errore dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, non ha portato a risultati altrettanto promettenti. La ricerca era stata però interrotta anzitempo, aveva coinvolto un numero limitato di pazienti e non aveva portato a risultati certi.

Fauci ha spiegato che un miglioramento del 31 per cento, rispetto al gruppo di controllo nei tempi di recupero, non è certo un colpo definitivo per la COVID-19, ma segna comunque quale potrebbe essere una delle strade più promettenti da seguire contro il coronavirus. Come altri farmaci del suo tipo, il remdesivir interviene su un enzima che i virus utilizzano spesso per eludere le difese delle cellule, iniettare il loro materiale genetico e poi sfruttare i meccanismi cellulari per replicarsi.

Alla fine degli anni Ottanta avvenne qualcosa di analogo quando fu introdotto l’AZT per trattare i malati con HIV, il virus coinvolto nell’AIDS. Fu un primo passo importante, che consentì negli anni successivi di elaborare nuovi trattamenti che si sarebbero poi rivelati molto utili per ridurre il più possibile gli effetti dell’HIV (virus diverso dai coronavirus). Ricordandolo, Fauci ha spiegato che ora potrebbe avvenire lo stesso con la COVID-19, in attesa che sia messo a disposizione un vaccino.

Da mesi medici e ricercatori sono alla ricerca della giusta combinazione di farmaci, tra quelli disponibili, per trattare meglio la malattia causata dal coronavirus. I farmaci più promettenti sono quelli che rallentano la replicazione del virus, dando modo al nostro sistema immunitario di imparare a conoscerlo e a sbarazzarsene, prima che causi danni gravi.

Il lavoro di ricerca intorno al remdesivir non è comunque finito: i ricercatori dovranno capire se ci siano fasi della malattia in cui il ricorso al farmaco si riveli più efficace, considerati anche gli effetti collaterali che può causare. Non è per esempio chiaro se sia meglio somministrarlo nelle prime fasi della malattia, quando i sintomi sono meno gravi per ridurre il rischio che peggiorino, oppure in una fase più avanzata della COVID-19.

La ricerca nel frattempo prosegue su numerosi altri fronti, anche per lo sviluppo di farmaci di nuova generazione, pensati specificamente contro il coronavirus. Altri laboratori e aziende farmaceutiche sono invece al lavoro per sviluppare un vaccino efficace, per il quale potrebbe essere necessario fino a un anno per realizzarlo e verificarne sicurezza ed efficacia.