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  • Sabato 12 settembre 2020

I Paesi Bassi hanno deciso di chiudere gli allevamenti di visoni

La decisione è stata anticipata al prossimo marzo, in conseguenza dei casi di contagio di coronavirus tra gli animali

Visoni in un allevamento in Bielorussia (AP Photo/Sergei Grits, File)
Visoni in un allevamento in Bielorussia (AP Photo/Sergei Grits, File)

Entro marzo 2021 gli allevamenti di animali da pelliccia nei Paesi Bassi dovranno essere chiusi, a seguito di un crescente numero di contagi da coronavirus all’interno degli allevamenti stessi. Il termine ultimo per la chiusura era già stato fissato al 2024, dopo anni di proteste sul trattamento dei visoni, carnivori simili a donnole molto usati nell’industria delle pellicce. Oltre ad aver anticipato la scadenza a marzo 2021, il governo olandese ha richiesto l’abbattimento dei visoni negli allevamenti contagiati, offrendo in cambio un risarcimento: lo stesso è successo anche in Danimarca e Spagna.

Il provvedimento di abbattimento nei confronti degli animali è stato deciso dopo che due allevatori e circa il 90 per cento degli animali di un allevamento olandese erano risultati positivi al coronavirus, secondo i dati raccolti dal governo (a oggi non è stato ancora accertato con solide evidenze scientifiche la trasmissione dagli animali agli esseri umani). Dal 2000, otto paesi europei avevano già preso la decisione di vietare l’allevamento di animali da pelliccia, ma ora le motivazioni sono diventate non solo etiche, ma di tipo igienico sanitario.

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Anche altri animali possono risultare positivi al coronavirus, come ha segnalato uno studio dell’università della California condotto su circa 410 specie di vertebrati: è emerso che tra gli animali domestici come gatti, bovini e ovini il rischio è medio, mentre è basso tra cani, cavalli e maiali.

Negli allevamenti intensivi la trasmissione del virus avviene in maniera più veloce rispetto a quanto accadrebbe in libertà: spesso per questioni di riduzione di costi gli animali vivono in condizioni igienico-sanitarie misere, all’interno di piccole gabbie e a poca distanza tra loro, oppure si nutrono dalla stessa mangiatoia.

Nonostante gli allevatori abbiano sostenuto di avere seguito le norme igienico-sanitarie necessarie, il numero di animali contagiati è stato tale da definire gli allevamenti degli effettivi focolai di coronavirus. La decisione di abbattere un numero così rilevante di esemplari ha creato forti discussioni tra i governi dei paesi europei, e numerose associazioni animaliste olandesi nei mesi scorsi avevano presentato ricorso e chiesto di sospendere l’abbattimento fino a che non ci fosse la prova concreta di contagi da visoni a esseri umani, e non viceversa.

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I Paesi Bassi sono uno dei principali produttori di pellame (circa 6 milioni di pellicce l’anno) e ospitano 160 aziende con fatturati annui complessivi di centinaia di milioni di euro; la decisione del Parlamento di porre fine agli allevamenti entro il 2024 era stata vista come una vittoria da parte del “Partito per gli animali” olandese, che aveva insistito sulle condizioni in cui gli animali sono costretti a vivere e sui modi con cui vengono uccisi, attenti a evitare il più possibile il danno alla pelliccia piuttosto che la sofferenza dell’animale. La morte avviene per asfissia tramite gas, con monossido o biossido di carbonio, ma l’associazione animalista Animal Rights aveva riportato prove di trattamenti violenti anche prima che fossero uccisi. Le stesse misure erano già state prese nel 1995 contro l’allevamento di volpi e nel 1997 dei cincilla: l’ultima specie rimasta ad essere utilizzabile per il mercato delle pellicce era il visone.

In seguito ai contagi registrati il governo ha offerto un risarcimento in cambio dell’abbattimento degli animali contagiati, scelta che a sua volta ha generato dubbi e polemiche dal momento che la pericolosità del contagio da parte degli animali non è stata ancora dimostrata con certezza scientifica. Il termine è stato deciso per il mese di marzo 2021 perché solitamente gli allevatori si procurano verso fine autunno i visoni, che poi si accoppiano all’inizio della primavera; a novembre i nuovi visoni hanno 7-8 mesi e possono essere considerati adulti dando avvio al “periodo delle pellicce” (che è il momento in cui sono uccisi); da quest’autunno non potranno essere introdotti nuovi visoni negli allevamenti, quindi dopo avere ucciso gli ultimi animali rimasti le attività dovranno chiudere.

A giugno anche la Danimarca, il paese con la maggiore produzione di pelli di visone (il 28 per cento della produzione mondiale), aveva segnalato un massiccio contagio in due allevamenti e aveva assunto lo stesso provvedimento abbattendo 11 mila animali, senza comunque decidere di chiudere gli allevamenti. A La Puebla, un allevamento nella regione di Aragona in Spagna, in seguito al contagio di 7 dipendenti di un allevamento di visoni è risultato che l’87 per cento degli animali fosse positivo al coronavirus e si è quindi ordinato l’abbattimento di circa 100mila esemplari. Anche nello Utah in agosto alcuni animali morti in un allevamento sono risultati contagiati, ma il Dipartimento dell’Agricoltura statunitense ha annunciato di non ritenere provata la possibilità del contagio nei confronti degli umani.

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Un eventuale futuro divieto europeo del commercio delle pelli di visone avrebbe conseguenze non solo sull’occupazione all’interno del settore zootecnico europeo, ma anche su tutti i settori collegati, come l’industria manifatturiera, quella del commercio al dettaglio e tutte le attività regionali coinvolte. Il settore già da tempo ha un fatturato in costante diminuzione tra tutti i maggiori produttori: Paesi Bassi, Cina, Danimarca e Polonia. Alcune grandi aziende venditrici di pellicce sono fallite e si registrano cali rilevanti dei prezzi nelle maggiori aste danesi e finlandesi. Le cause sono soprattutto la scarsa domanda seguita alle numerose campagne di sensibilizzazione sul maltrattamento degli animali e la tendenza del mondo della moda a puntare su pellicce sintetiche, sia per una questione di sostenibilità ambientale (attraverso l’uso di materiali ecologici) sia per ridurre i costi di produzione.