130 anni di Man Ray

Perché parliamo ancora dell'artista, regista e fotografo americano, considerato un maestro del dadaismo e del surrealismo

Man Ray nell'ottobre del 1963
(Joseph McKeown/Express/Getty Images)
Man Ray nell'ottobre del 1963 (Joseph McKeown/Express/Getty Images)

Oggi sono i 130 anni dalla nascita di Man Ray, tra i principali esponenti dei movimenti di avanguardia, in particolare del Dadaismo e del Surrealismo, nell’arte figurativa, nella fotografia e nel cinema. Man Ray è ricordato soprattutto per i lavori fotografici: si manteneva grazie alle fotografie di moda, in particolare per Vogue, e ai ritratti, come quelli del mondo bohemien parigino e hollywoodiano (a Pablo Picasso, Tristan Tzara, James Joyce, Gertrude Stein, Jean Cocteau, Salvador Dalì, Peggy Guggenheim) e contemporaneamente sperimentava nuove tecniche fotografiche per creare un mondo straniante, onirico, spiazzante o anche pieno di humour.

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A lungo Man Ray cercò di nascondere i dettagli della sua vita prima di diventare un artista. Il suo vero nome era Emmanuel Radnitzky, era nato il 27 agosto del 1890 a South Philadelphia, in Pennsylvania, da una famiglia di immigrati russi ebrei. Quando aveva 7 anni la famiglia si stabilì nel quartiere di Williamsburg, a New York, e nel 1912 cambiò il cognome in Ray; Emmanuel, che era soprannominato Manny, cambiò successivamente il nome in Man. Il padre gestiva una piccola sartoria in cui lavorava anche la madre che, secondo alcuni critici, influenzò il lavoro di Man Ray, come nei collage e in alcune tecniche pittoriche. Dopo gli studi d’arte iniziò a lavorare come artista commerciale, ma più che agli artisti tradizionali guardava a quelli contemporanei e innovativi, come il fotografo Alfred Stieglitz. Nel 1915 il collezionista d’arte Walter Conrad Arensberg lo presentò al francese Marcel Duchamp, di cui divenne grande amico; insieme, e con altri artisti, fondarono la Society of Independent artists, che organizzava ogni anno mostre collettive d’avanguardia.

In questi primi anni, Man Ray si affrancò dai canoni della tradizione e divenne il principale rappresentante americano del movimento Dada, che stravolgeva le convenzioni dell’epoca, rifiutava la razionalità e la logica ed esaltava la stravaganza, le provocazioni, la totale libertà creativa. Dal 1918 si interessò di fotografia: non la considerava un’arte minore, come molti all’epoca, né un mezzo per rappresentare fedelmente la realtà, bensì uno strumento da indagare, pieno di potenzialità creative. Nel 1920 fondò, con Duchamp e Katherine Dreier, la Société Anonyme, una collezione itinerante considerata il primo museo di arte moderna americano, che nel 1941 fu donata alla Yale University. Nel 1921, dopo la pubblicazione del primo numero di due riviste dadaiste, lasciò New York, sostenendo che «il Dada non può vivere a New York, tutta New York è Dada e non ammette rivali», e arrivò a Parigi, dove viveva Duchamp.

Si trasferì a Montparnasse e Duchamp gli fece conoscere gli artisti e i pensatori che gravitavano nel quartiere, come Tristan Tzara e Picasso. In quell’anno, lo scrittore dadaista (e poi surrealista) Philippe Soupault ospitò nella sua libreria “Librairie Six” la prima mostra interamente dedicata a Man Ray, dove venne esposta una delle sue opere più significative, Cadeau, un ferro da stiro con la base tempestata di chiodi: l’opera era nata dalla fantasia dell’artista che aveva immaginato la nuova inquietante faccia di un oggetto quotidiano.

Sei mesi dopo l’arrivo a Parigi, Man Ray scoprì quelle che chiamò rayographs (rayografie), immagini fotografiche ottenute poggiando gli oggetti direttamente sulla carta sensibile, che esponeva alla luce creando dei negativi. Era una tecnica già conosciuta dai dagherrotipisti (i primi fotografi), ma Man Ray la utilizzò in modo del tutto nuovo, giustapponendo oggetti lontani tra loro che assumevano così un nuovo significato, un nuovo legame illogico e paradossale: le rayografie sono spesso considerate l’inizio della fotografia surrealista. Dopo i primi esperimenti, Man Ray disse che «mi sono finalmente liberato dal rigido mezzo della pittura e lavoro direttamente con la luce». In particolare, nel dicembre del 1922 realizzò la serie Champs Délicieux, che comprendeva dodici rayographs estremamente astratte, slegate dal significato originale, in una zona ambigua che chiedeva all’osservatore di interpretarle con l’immaginazione, i sogni, i ricordi. Nel 1923 girò Le Retour à la raison, il primo film realizzato come sequenza di rayografie, senza l’uso di una telecamera.

In Le Retour à la raison compare anche Kiki de Montparnasse, com’era soprannominata la cantante e modella Alice Prin. Man Ray iniziò una relazione con lei e la ritrasse in molte opere, dai film sperimentali – tra cui anche L’Étoile de mer – alle fotografie, come le celebri Noire et Blanche – dove emerge anche la passione di Man Ray per l’arte africana – e Violon d’Ingres, “il violino d’Ingres”, dove sulla schiena della donna vengono sovrapposte le due f che si trovano sulla cassa del violino (Ingres fu il più importante pittore neoclassico francese).

Le violon d’Ingres in mostra a Londra
(Dan Kitwood/Getty Images)

La tumultuosa storia con Kiki de Montparnasse lasciò il posto a una relazione altrettanto difficile, con la fotografa Lee Miller. Anche Miller fu protagonista di molte opere di Man Ray, in particolare La Révolution Surréaliste, e scoprì con lui la solarizzazione, un processo che permette di modificare un’immagine in fase di stampa mettendo in rilievo i contorni e invertendo i bianchi e neri, che divenne distintiva dello stile di Ray. Quando lei lo lasciò, nel 1932, lui realizzò una delle sue opere più famose, Les Larmes (Le lacrime), una fotografia in primo piano di una ballerina di cancan: guarda altrove, non si intuisce se verso il motivo della sua disperazione o già distratta da qualcosa di nuovo.

Les Larmes in mostra a Londra
(Carl Court/Getty Images)

Nel 1925 le opere di Man Ray erano intanto comparse nella prima mostra surrealista, organizzata a Parigi alla Galerie Pierre, insieme a quelle di Jean Arp, Max Ernst Joan Miró e Pablo Picasso. Oltre al Violino d’Ingres c’era un’altra delle sue opere più famose, Object to Be Destroyed, un metronomo con un occhio che venne distrutto e sostituito più volte. Tra i lavori più noti c’è anche la serie fotografica che ritrae la fotografa surrealista Meret Oppenheim, nuda e in piedi vicino a un torchio da stampa.

Nel 1940 Man Ray lasciò la Francia occupata dai nazisti e si trasferì a Los Angeles; qui incontrò la ballerina e modella Juliet Browner, che sposò nel 1946. Nel 1951 tornarono insieme a Parigi, a St. Germain-des-Prés, dove Man Ray rimase fino alla morte, il 18 novembre del 1976 per una polmonite. Nel 1963 aveva pubblicato la sua autobiografia, Self-Portrait.