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  • Mercoledì 19 agosto 2020

In Brasile si protesta contro la decisione di far abortire una bambina di 10 anni

La legge prevede che possa farlo – è stata stuprata dallo zio – ma attivisti religiosi di estrema destra hanno tentato di impedirglielo anche fisicamente

(EPA/DIEGO NIGRO)
(EPA/DIEGO NIGRO)

In Brasile si è tornati a parlare di diritto all’aborto in seguito alle proteste di un gruppo di estremisti religiosi anti-abortisti contro l’interruzione di gravidanza di una bambina di dieci anni, rimasta incinta dopo essere stata stuprata dallo zio. La protesta si è svolta domenica fuori dall’ospedale di Recife con lo scopo di impedire la procedura, prevista per lunedì. In Brasile – dove vive il più grande numero di cattolici nel mondo – l’aborto è considerato dalla legge un reato contro la vita umana, ed è consentito solo in caso di stupro, di rischio di vita per la madre o di anencefalia, una malformazione congenita rara che impedisce lo sviluppo del cranio e del cervello del feto. Anche in quei casi, però, ci sono spesso forti resistenze e ostacoli.

Il nome della bambina e dell’ospedale dove sarebbe stata portata sono stati diffusi da Sara Giromini, un’attivista di estrema destra vicina al governo di Jair Bolsonaro, nota anche come Sara Winter. Non si sa ancora da chi abbia ottenuto queste informazioni. L’episodio ha suscitato moltissime proteste nel paese, soprattutto da parte dei gruppi e delle associazioni femministe che da anni si battono per l’allargamento del diritto all’aborto. Il giudice che si è occupato del caso ha ordinato a Google, Facebook e Twitter di rimuovere i dati della bambina dalle loro piattaforme entro 24 ore.

La bambina, originaria di São Mateus, una città dello stato brasiliano di Espírito Santo, aveva scoperto di essere incinta il 7 agosto, quando era stata visitata nell’ospedale vicino a casa perché lamentava dolori alla pancia. Successivamente era stata interrogata dalla polizia e aveva raccontato di essere vittima degli abusi sessuali dello zio fin da quando aveva sei anni. Anche dopo aver ricevuto l’autorizzazione ad abortire (che in Brasile scatta automaticamente dopo la denuncia di stupro alla polizia), la bambina aveva dovuto viaggiare in aereo per 900 chilometri fino a Recife, perché l’ospedale di São Mateus si era rifiutato di praticare l’intervento.

Quando è arrivata all’ospedale di Recife domenica pomeriggio, l’ingresso principale era già bloccato da un gruppo di attivisti e politici di estrema destra che gridavano insulti al personale medico. Paula Viana, l’attivista per il diritto all’aborto che ha accompagnato la bambina dall’aeroporto all’ospedale, ha raccontato che, dopo essere stata avvisata delle proteste in corso, aveva fatto fermare il taxi per nascondere la bambina nel bagagliaio e farla entrare in ospedale da un ingresso secondario. Viana, che fa parte dell’associazione per i diritti delle donne Curumim, ha detto che «non erano stupite perché sanno di avere un presidente che sostiene queste manifestazioni di odio».

Sara Giromini, la persona che ha rivelato online il nome della bambina e altre informazioni sul suo caso, è un’ex collaboratrice di Damares Alves, pastora evangelica e ministra delle Donne, della Famiglia e dei Diritti Umani del governo di Jair Bolsonaro. In più occasioni Alves ha ribadito il suo forte legame personale con Giromini, parlando di lei come di una figlia. Il Guardian ha scritto di aver visto online un video che è poi stato cancellato in cui Giromini agitava una bambola di plastica che secondo lei aveva le dimensioni di un feto e accusava le autorità di aver rapito la bambina e di aver noleggiato un jet privato per trasportarla in ospedale.

Nel corso della giornata di domenica, oltre 150 attiviste appartenenti a gruppi femministi si sono ritrovate davanti all’ospedale per manifestare a favore del diritto della bambina di abortire. Sui social network sta circolando molto il video in cui le donne recitano in coro un testo che ricorda l’inno cileno diventato negli ultimi anni un simbolo delle battaglie femministe in America Latina e in tutto il mondo.

Gabriela Rondon, avvocata del gruppo per il diritto all’aborto Anis, ha detto che le proteste degli estremisti anti abortisti hanno involontariamente riportato l’attenzione sul dibattito che riguarda la decriminalizzazione dell’aborto in Brasile: «le leggi brasiliane sono chiaramente inadeguate e mettono a rischio milioni di donne», ha detto. «Secondo i dati che abbiamo, mezzo milione di donne è costretto a sottoporsi ad aborto clandestino ogni anno. Vuol dire circa una donna al minuto».

La legge che regola l’accesso all’aborto in Brasile risale al 1940 e negli anni è stata spesso contestata senza però mai essere modificata. Da quando Bolsonaro è diventato presidente, inoltre, qualsiasi proposta da parte dei gruppi femministi di allentare la legge è stata duramente osteggiata dal governo che è appoggiato, tra gli altri, dai cristiani evangelici: una comunità molto numerosa e influente in Brasile, con posizioni severamente anti abortiste.

Una storia simile era stata raccontata dai media di tutto il mondo nel 2009 e riguardava una bambina di 9 anni rimasta incinta di due gemelli dopo un abuso sessuale da parte del patrigno. In quel caso l’autorizzazione all’aborto era dovuta, oltre che allo stupro, anche al fatto che i medici avevano detto che la vita della bambina sarebbe stata messa a rischio dal proseguimento della gravidanza. L’aborto fu praticato nello stesso ospedale di Recife e subito dopo l’arcivescovo cattolico della città annunciò la scomunica della madre della bambina e dei medici che l’avevano operata.